La legge giudica soltanto gli atti, non le persone (compito di Gesù)

La legge giudica soltanto gli atti, non le persone (compito di Gesù)

di Pietro Madeo

LA LEGGE FU DATA DA MOSÈ, MA LA GRAZIA E LA VERITÀ DA GESÙ CRISTO

Con San Paolo si ha l’esposizione sistematica del culto dell’Antico Testamento come adombrazione del Nuovo: il mosaismo non viene considerato come una legge incapace, nonostante la molteplicità dei precetti, di portar l’uomo alla giustizia, ma come una religione destinata a cedere alla più perfetta religione cristiana, e pertanto non più atta, con la moltitudine dei sacrifici, a produrre qualcosa di perfetto.

L’apostolo nella lettera ai Galati ricorda in particolare come si fosse scontrato pubblicamente con Pietro riguardo al trattamento dei non circoncisi (ovvero dei non giudei). In particolare Paolo condanna un atteggiamento che si stava diffondendo per cui solo gli ebrei convertiti fossero veri cristiani, a differenza degli altri fedeli di origine non ebrea (e quindi non circoncisi).

Questo problema verrà man mano ampliato da Paolo successivamente giungendo alla conclusione che l’essere cristiano non è funzione di una sequela esteriore di una legge, bensì della fede “in Gesù Cristo” (3,22). In merito a tali rapporti conflittuali di Paolo con gli apostoli di Gerusalemme, in realtà gli Atti degli Apostoli evidenziano invece – in base a una diversa visione teologica – come tra lo stesso Paolo e l’intera comunità cristiana vi fosse una completa armonia.

Dall’evento della donna colta in adulterio da Gesù emerge chiaramente quella distinzione tra Legge e grazia di Dio. La legge fu data da Mosè, ma la grazia e la verità da Gesù Cristo. In pratica due ere e due concezioni diverse della giustizia, che dominano l’episodio. Cristo non nega la legge ma ne supera gli inevitabili limiti. La legge giudica soltanto gli atti, non le persone: Gesù invece giudica le persone e sa che al di là dello stato di giustizia legale o di peccato si può inserire in loro un dialogo con Dio nella pura fede.

In tutt’altra posizione sono gli accusatori: dalla loro interrogazione emerge la mentalità legalista, priva di pietà e di umanità, ed è evidente l’intenzione di accusare Gesù. Ma egli non si cura di loro: scrive per terra, avrebbe potuto apostrofarli, ma cerca il bene anche dei suoi nemici; pressato perché si pronunci risponde: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei” Gli incensurati eccoli sul banco degli accusati. La donna rimasta merita la grande parola di Gesù: “Neanch’io ti condanno; va e d’ra in poi non peccare più”.

Dunque l’adultera non rappresenta altro che i membri della Chiesa: al di là dei peccati noi accettiamo l’incontro e il dialogo di fede con Cristo che deve sfociare nel “non peccare più”, non per sola obbedienza alla legge, ma per rispondere alle esigenze di una coscienza che ha incontrato l’Amore di Cristo.

 

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