Le tre sette religiose ebraiche al tempo di san Paolo

Le tre sette religiose ebraiche al tempo di san Paolo

di Pietro Madeo

I LIMITI DELLE POSSIBILITÀ DELLA LIBERTÀ UMANA

Fra tutti i vari problemi esistenti al momento della nascita della Chiesa Cattolica, particolarmente vivo al tempo di Paolo doveva essere quello dei limiti delle possibilità della libertà umana. Esso è particolarmente sofferto da Paolo, ma anche Flavio Giuseppe, quando vuole presentare al mondo occidentale le tre sette principali del mondo ebraico e desidera caratterizzarle rapidamente ed efficacemente, non trova niente di meglio che tracciare brevemente e schematicamente l’atteggiamento di ciascuna di esse di fronte al problema della libertà dell’uomo davanti all’azione di Dio.

«I sadducei – dice Flavio Giuseppe (Bell. Jud. 11,8,164) – sopprimono assolutamente il destino, e pongono Dio fuori della possibilità di fare alcunché di male o anche solo di scorgerlo; essi dicono che è in potere dell’uomo la scelta del bene e del male, e che secondo la decisione di ognuno avviene l’ima o l’altra delle due cose…».

Con la parola “destino” Flavio Giuseppe intende qui, certamente, il gôral, la sorte fausta o infausta che Dio talora assegna alle cose degli uomini nell’Antico Testamento. I sadducei credono nell’uomo e nella sua capacità di forgiarsi un destino qui sulla terra. All’opposto dei sadducei stanno gli esseni: essi credono che tutto venga da Dio, unico autore della storia.

Nelle Antichità Giudaiche (VIII,l, §5), Flavio Giuseppe inizia la sua notizia sugli esseni con queste parole: «Gli esseni insegnano soprattutto a rimettersi per ogni cosa a Dio». Se qualche dubbio può esserci circa l’esatto valore di quel “rimettersi a Dio”, esso viene fugato da un passo analogo delle Antichità Giudaiche (XIII,5,9, §172): «La setta degli esseni afferma che il destino è padrone di tutto e che niente accade agli uomini diversamente da quanto esso ha stabilito». Ricordando che cosa può voler dire “destino” per un ebreo, non restano dubbi circa il pensiero essenico.

Comunque la migliore documentazione di questa convinzione degli esseni, che tutto nel mondo e nella storia è rigidamente predeterminato da Dio, è fornita da un passo del Manuale di disciplina (1QS, III,14 ss.): il passo mostra fino a quali limiti tutto fosse sentito come determinato da Dio (perfino i pensieri degli uomini) e come cogliesse nel giusto Flavio Giuseppe nel caratterizzare le tre sette nel modo che fece. «Dal Dio della conoscenza proviene tutto ciò che è e che sarà. Prima che gli esseri siano, Egli ha fissato tutti i loro pensieri, e quando essi vengono all’esistenza, vivono secondo ciò che di loro è stato fissato. Essi compiranno le loro azioni secondo il pensiero della Sua gloria, senza che nessun cambiamento si possa apportare (ai piani divini)». Così, dunque, gli esseni.

Più o meno intermedia fra le altre due è la posizione dei farisei, che in seguito cercheremo di valutare con maggiore precisione. Attribuiscono, dice Flavio Giuseppe (Bell. Jud. II, 8,14, §§ 162-163), ogni cosa al destino e a Dio, ma ritengono che l’operare giustamente o no dipenda in massima parte dall’uomo; però il destino coopera in ciascuna azione. Sembra che la posizione farisaica desideri in qualche modo salvare due posizioni attestate entrambe nell’Antico Testamento e apparentemente inconciliabili, da un lato la piena responsabilità umana, dall’altro l’azione di Dio nella storia in tutta la sua onnipotenza.

Questa concezione farisaica di una indipendenza reciproca fra l’azione di Dio e la libertà umana, è veramente una concezione nuova ed autonoma rispetto alle altre due, o, pur nella sua personalità, si avvicina più ad una discostandosi dall’altra. La posizione farisaica appare di fatto una semplice variante della posizione sadducea. Se un abisso dovesse essere disegnato a marcare una separazione, questo abisso andrebbe posto fra l’essenismo e il resto delle sette ebraiche. Nel fariseismo in definitiva tutto dipende dall’uomo come nel sadduceismo e se la dottrina farisaica della libertà umana ha avuto uno sviluppo in senso etico, ignoto al sadduceismo, ciò è dipeso da tutta una serie di concezioni religiose proprie del fariseismo e ignote al sadduceismo, e che esamineremo fra breve.

Ora basti osservare che se nel fariseismo quale è tratteggiato da Flavio Giuseppe e quale probabilmente era al tempo in cui Flavio Giuseppe si trovava in Palestina (prima della guerra con Roma) c’è qualche incrinatura in questo senso della libertà dell’uomo, essa è attestata da quell’“in massima parte”, che egli aggiunge all’affermazione per cui i farisei «ritengono che l’operare giustamente o no dipenda dall’uomo» (Cfr. https://letterepaoline.net/2008/12/16/il-problema-della-legge-altempo-di-paolo/). È la spia di un’incrinatura che i rabbini delle età seguenti cercheranno di far scomparire del tutto: essi avvertivano perfettamente che la concezione farisaica della Legge era possibile solo a patto che l’uomo fosse non “massimamente”, ma interamente libero e autonomo.

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