Quei fatti poco chiari sulla morte di Archie Battersbee
di Marisa Levi
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PERCHÉ QUESTE BATTAGLIE TRA MEDICI E GENITORI DI MINORI AVVENGONO SEMPRE IN INGHILTERRA?
Sabato 6 agosto sono stati staccati i macchinari e Archie Battersbee è morto.
Ancora una volta in Inghilterra c’è stata una dura battaglia legale fra medici e genitori, ai quali “per il migliore interesse del minore” non è stata data l’opportunità neppure di trasportare il figlio a morire in un hospice.
Mi sembra comunque che ci sia qualcosa di poco chiaro in questa triste vicenda.
“Morte cerebrale” è un criterio per accertare la morte quando cuore e polmoni sono mantenuti vitali con un sostentamento tecnologico.
Se era effettivamente stata accertata la morte cerebrale, il ragazzo era morto e non avrebbe avuto senso tenerlo attaccato alle macchine.
E che senso avrebbe avuto parlare del suo “miglior interesse”? O giustificare il fatto di non trasferirlo in un hospice perché il trasferimento “avrebbe potuto essergli fatale”?
E anche la battaglia dei genitori che senso avrebbe avuto?
E come mai due ospedali stranieri si sarebbero dichiarati disposti ad accoglierlo?
Se invece si trattava di “coma irreversibile”, il ragazzo era vivo e la battaglia dei genitori era pienamente giustificata.
Giustamente Assuntina Morresi diceva a TG2000: “perché queste battaglie tra medici e genitori di minori avvengono sempre in Inghilterra? Che cosa non funziona lì nel rapporto fra medici e genitori?”.
L’Anscombe Bioethics Centre, un istituto inglese di Bioetica, è intervenuto più volte su questo caso, sottolineando come nella legge inglese in questi casi c’è una sistematica carenza di rispetto nei confronti del ruolo e della responsabilità dei genitori.
Per esempio si è stabilito un tutore per tutelare il miglior interesse di Archie, come se i genitori fossero meno qualificati a difendere i suoi interessi.
A questo si aggiunge una eccessiva deferenza nei confronti dei medici e il pregiudizio che i pazienti in stato di minima coscienza non possano ricevere alcun beneficio dalla vita.
Inoltre pare che medici e giudici prendano molto più sul serio l’espressione del desiderio della rinuncia al trattamento che quella di riceverlo e continuare a vivere.
Uno dei giudici che ha sentenziato il distacco della ventilazione per Archie ha affermato che “la corte non può autorizzare o dichiarare legale la continuazione del trattamento perché compromette la dignità di Archie, lo priva della sua autonomia (!) e contrasta assolutamente col suo benessere”.
Inoltre il giudice ha dichiarato che, bilanciando le probabilità, era più verosimile che Archie fosse morto piuttosto che vivo e quindi il trattamento serviva solo a ritardare la morte, ma era incapace di prolungarne la vita.
“Molto probabilmente morto” non è morto abbastanza, commenta il Centro di Bioetica. Chi non è morto è vivo. E in effetti seppellireste una persona solo perché “probabilmente morta”?