Russi e Ucraini divisi dalla guerra, non dalla nascita

Russi e Ucraini divisi dalla guerra, non dalla nascita

di Matteo Castagna

LE RADICI RELIGIOSE ORTODOSSE DEGLI UCRAINI RIMANGANO FORTI E SONO UN OSTACOLO ALL'”ATLANTISMO PIÙ TOTALE”

Il conflitto tra Russia ed Ucraina viene spiegato come determinato da una contrapposizione etnica. Allo stato attuale, Mosca e Kiev appaiono come nemici inconciliabili, non solo dal 24 febbraio, dal momento che nel Donbass erano in guerra già da otto anni.

Ma fino a pochi anni fa i due popoli hanno convissuto sotto la stessa bandiera, almeno dal IX secolo, con la fondazione di Rus’ di Kiev. Sanguinose lotte e persecuzioni, probabilmente maggiori rispetto alle attuali, vi furono ad opera di Stalin, che ordinò la distruzione di ogni forma di nazionalismo ucraino, tra fucilazioni e deportazioni di massa. La motivazione era politica perché la Russia sovietica, per la sua posizione strategica, non voleva che l’Ucraina si avvicinasse troppo all’Occidente.

Il Donbas fu ceduto dalla Russia all’Ucraina dopo la guerra civile e la Crimea nel 1954. Dopo un sostanziale periodo di pace e serena convivenza, Stalin impose il russo come lingua obbligatoria e distrusse tutte le élite di stirpe ucraina presenti sul territorio. Col crollo del Muro di Berlino, nel 1989, la situazione mutò radicalmente: il russo divenne “protetto costituzionalmente” e l’ucraino fu proclamato lingua ufficiale. I rapporti tra i due popoli restarono fraterni.

Sulla scia della “rivoluzione arancione”, il 23/01/2005 venne eletto Presidente della Repubblica Viktor Andrijovyč Juščenko al posto di Leonid Danylovyč Kučma , in carica dal 1994. Il cambio al vertice fu determinante, perché il secondo, al contrario del primo, desiderava l’ingresso nella NATO e nell’Unione Europea, appoggiato dal partito del suo delfino Viktor Janukovyc. Dal canto suo, il Presidente russo Dmitrij Medvedev bollò subito come antirusso il nuovo corso.

La rivista Limes (6/2022) con Andrea Sceresini ci spiega che “le conseguenze non si fecero attendere. Nel 2006 Gazprom aumentò da 50 a 230 dollari per mille metri cubi il prezzo del gas venduto all’ucraina, scatenando una crisi energetica che coinvolse anche molti Paesi europei. Janukovyc e i suoi iniziarono a spingere con insistenza sul tasto della contrapposizione etnica e identitaria”.

Il Prof. Oleksij Bondarenko, dell’Università di Kent, scrisse: “in questo modo il vago malcontento sociale di quello che un tempo era stato il cuore industriale del Paese, venne riempito di richiami alla specifica identità locale, fondata su aspetti storici, linguistici e culturali. In contrapposizione alle politiche di ucrainizzazione dopo la “rivoluzione arancione” del 2004, a Donec’k e Luhans’k il Partito delle regioni di Janukovyc enfatizzava il carattere distintivo del Donbass. Il suo passato glorioso come centro industriale dell’impero, la centralità della lingua russa e il richiamo alla federalizzazione del Paese divennero tutti elementi del patriottismo regionale di Janukovyc, funzionale al mantenimento del suo feudo” (O. Bondarenko ne l'”Invasione russa dell’Ucraina: breve storia del conflitto in donbass”, Valigia Blu, 3/4/2022).

Il governo di Kiev, con le politiche di decomunistizzazione dell’Ucraina del Presidente Petro Porosenko iniziate il 15/05/2015 fu sempre più accostato dall’opinione pubblica al Terzo Reich. L’antifascismo ha, nel mondo russo un’accezione fortemente nazionalistica e patriottica. Antifascista, dalla prospettiva del Cremlino, era l’Armata Rossa di Stalin, che respinse l’invasione nazista oltre “i sacri confini” della Patria. Pertanto, la confusione di simboli e bandiere, considerati in un determinato modo nel mondo occidentale, hanno il senso opposto nelle regioni dell’Est.

L’azione degli agenti occidentali della NATO e degli Stati Uniti, a partire dalla “rivoluzione arancione” ha invogliato la popolazione ucraina, con il benessere tipico del mondo yankee, ad avvicinarsi allo stile di vita occidentale, sebbene le radici religiose ortodosse rimangano forti e, dunque, un ostacolo all’ “atlantismo più totale” degli ucraini. Gli uomini di potere, invece, sono già da anni collusi con l’Occidente liberale. La scelta di Zelensky di far entrare, proprio in questo momento, leggi gay friendly va proprio nella direzione d’una scelta di campo filoamericana, che si contrapponga all’austerità dell’Ortodossia del Patriarca Kirill, amico di Putin.

Le provocazioni non portano mai alla pace. Semmai, inaspriscono gli animi. Una soluzione diplomatica non può arrivare, se ciascuno si arrocca sulle sue posizioni. Appare alquanto azzardato andare ad aizzare l’orso russo, adesso che pure la Cina muove su Taiwan, dopo che Putin ha detto: “abbiamo tutti gli strumenti. Quelli di cui nessuno può vantarsi ora. E noi non ci vantiamo. Se necessario li useremo. E voglio che tutti lo sappiano”.

 

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