Storia, contesto, rilevanza e impatto sulle comunità cristiane del corpus paolino
di Angelica La Rosa
–
“LE LETTERE DI SAN PAOLO. INTRODUZIONE, TRADUZIONE E COMMENTO“, UN NUOVO STUDIO DEL MONACO BENEDETTINO BENOÎT STANDAERT
Nel Nuovo Testamento ci sono quattordici lettere che formano un corpus unitario che porta il nome dell’apostolo Paolo, noto come corpus paolino. Come è andato formandosi? Quali scritti appartengono a Paolo e al suo team missionario? Quali, invece, sono frutto delle comunità nate dalla sua testimonianza e dal suo ministero apostolico? Come e quando le quattordici lettere sono state progressivamente raccolte e tramesse, come un tesoro prezioso e imprescindibile, alla Chiesa universale?
A queste e ad altre domande risponde in “Le lettere di San Paolo. Introduzione, traduzione e commento” (Edizioni San Paolo, 960 pagine, euro 29) Benoît Standaert, che non si limita a offrire il testo integrale e il commento di tutto il corpus paolino ma ne ricostruisce la storia, il contesto, la rilevanza e l’impatto sulle comunità cristiane delle origini.
Benoît Standaert è un monaco benedettino dell’abbazia di Sant’Andrea a Zevenkerken, nei pressi di Brugge nelle Fiandre occidentali. Ha studiato a Roma, Gerusalemme e Nimega. Si occupa da anni di formazione in patria e all’estero.
Scrive nell’introduzione l’autore:
Nella biblioteca del Nuovo Testamento ci sono quattordici lettere che formano un corpus unitario sotto il nome dell’apostolo Paolo. Tuttavia, nemmeno nei primi secoli dell’era cristiana si era convinti che tutto questo corpus fosse stato scritto o dettato dall’apostolo delle genti. L’esegesi degli ultimi tre secoli ritiene che siano solo sette i testi certamente “autentici”: Romani, 1 e 2 Corinzi, Gàlati, Filippesi, 1Tessalonicesi e Filèmone. Sull’autenticità della lettera ai Colossesi permangono dei dubbi e non si sa bene cosa pensare; come ha detto Ernst Käsemann: «Colossesi è la più “autentica” delle lettere “non autentiche”, e la più “non autentica” delle lettere “autentiche”». Quanto a 2Timòteo, lettera testamentaria, alcuni credono fermamente che contenga numerosi frammenti antichi che risalgono all’apostolo stesso. Ci chiediamo: è lecito ripercorrere questo corpus come un tutto unitario, e commentare insieme ciò che è di Paolo e ciò che viene dalla tradizione paolina, che è di una generazione successiva, o anche più? L’idea stessa di un corpus viene dalla tradizione, ed esattamente dalla fine del II secolo. Ma già prima, l’editore della lettera agli Ebrei era consapevole di creare un corpus letterario, una completezza che è espressa, fra l’altro, dal numero delle “14” lettere. L’analisi letteraria e il commento ai testi mostreranno l’interazione costante che c’è tra le diverse lettere, siano esse autentiche o posteriori a Paolo. L’originalità di ogni testo si disvela proprio grazie a questa lettura d’insieme: lo si vede in modo più chiaro, rileggendo ogni lettera alla luce delle altre. È quello che questo volume cercherà di fare.
Riflettendo sull’ordine delle lettere paoline Standaert sottolinea che:
Nei manoscritti e nell’antichissimo Canone Muratoriano (200 ca.) si trovano ben otto diverse varianti nell’ordine delle lettere paoline. Vi hanno giocato diversi criteri, in una curiosa interazione tra loro: il primo è quello della lunghezza, che ha collocato all’inizio della lista i testi più lunghi. Poi quello dell’importanza tematica: Romani è messa al primo posto perché è la sintesi e il vero «Vangelo» di Paolo. Poi, qua e là, si nota il criterio della cronologia biografica. Infine, c’è la varietà dei destinatari: le sette lettere alle Chiese vengono messe prima di quelle indirizzate alle singole persone, cioè ai collaboratori di Paolo: Timòteo, Tito e Filèmone. Alla fine viene collocato lo scritto agli Ebrei che è fuori categoria perché non si indirizza né a una Chiesa in particolare, né a una persona singola. Per questo testo, in certi manoscritti ha prevalso il criterio della lunghezza, così che Ebrei è messa subito dopo Romani. In almeno tre casi, Ebrei viene piazzata fra le lettere indirizzate a una Chiesa e le lettere indirizzate ai tre collaboratori di Paolo. Si dà anche il caso di 1 e 2Corinzi che, venendo considerate una sola lettera, passano a volte davanti a Romani. Gàlati è più corta di Efesini ma viene messa prima per ragioni di natura biografica: le tre lettere della cattività, alle quali appartiene Efesini, risalgono all’ultimo periodo della vita dell’apostolo e vengono messe dopo le altre. La lettera a Filèmone, benché sia anch’essa una lettera della cattività, è relegata alla fine per la sua brevità – è la più corta di tutte – e perché è indirizzata a una persona singola e non a una Chiesa. Nel caso delle “lettere pastorali” l’ordine iniziale ha subìto l’influsso del criterio di lunghezza che ha finito per collocare 1Timòteo all’inizio e Tito alla fine. 2Timòteo, essendo la lettera testamentaria dell’apostolo, si troverebbe meglio alla fine di questa piccola collezione; e Tito, con la sua apertura, la più solenne di queste lettere, è servita a volte come porta d’ingresso per tutte e tre.
Alla luce di queste riflessioni l’autore ha deciso di distribuire le quattordici lettere in modo un po’ diverso da quello che troviamo nelle Bibbie contemporanee.
L’ordine è il seguente:
– prima lettera ai Tessalonicesi;
– seconda lettera ai Tessalonicesi;
– lettera ai Gàlati;
– prima lettera ai Corinzi;
– seconda lettera ai Corinzi;
– Lettera ai Romani;
– Lettera ai Filippesi;
– Lettera a Filèmone;
– Colossesi;
– Efesini;
– Tito;
– prima lettera a Timòteo;
– seconda lettera a Timòteo;
– Ebrei.