Vacanze e buone letture: la testimonianza di una vita tra i libri
di Cinzia De Bellis*
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DONARE UN BUON LIBRO È UNA FORMA DI CARITÀ CHE NUTRE LA MENTE E IL CUORE, AIUTA A CAPIRE CHE NON SIAMO SOLI NEI NOSTRI SOGNI E NEI NOSTRI VIAGGI.
«I libri sono gli amici più tranquilli e costanti e gli insegnanti più pazienti» (Charles W. Eliot). Il piacere della lettura ha origini diverse e disparate per ognuno di noi: un bravo docente, un idoneo nucleo familiare, un percorso di emulazione. Colui che mi ha fatto scoprire il piacere della lettura è stato mio padre, accanito lettore anche in vecchiaia e vigile custode delle sue raccolte letterarie.
Ai tempi della mia infanzia, la sera si andava a letto dopo Carosello (non c’erano fiction, reality o piattaforme streaming) e i padri, al rientro dal lavoro, ci trovavano già dormienti. Mio padre era solito lasciarmi sul comodino, ogni sera, un libro cartonato di fiabe o di novelle. Era il suo bacio della buona notte e, al contempo, l’augurio per il nuovo giorno. Inutile dire quanto fossi legata a questo piacevole rituale e quanti libri divorassi in poco tempo, alimentando in me la curiosità di sapere e scoprire nuovi mondi. Non sempre la scelta dei titoli e dei contenuti era confacente alla mia età, visto che a otto anni, affetta da morbillo e costretta a stare a letto, mi fu data un’edizione ridotta de I Promessi Sposi e, come regalo per la Prima Comunione, cinque volumi della Bibbia, rilegati in pelle bianca della Fabbri Editore con prefazione di Giuseppe Ungaretti. Ad essi seguirono sei volumi de La Divina Commedia e, ormai, il plagio era avvenuto, perché non riuscii più a distaccarmi dalla lettura e dai miei libri che, solo in caso di trasloco, risultavano essere gli oggetti più pesanti da trasportare.
Avevo libero accesso alla libreria di casa, ma alcuni libri mi erano vietati, come quelli di Zola o di Hugo, ma io riuscii a leggerli ugualmente, avendo cura di nasconderli di notte sotto il materasso, come avvenne, anche, per i saggi di psicoanalisi di S. Freud. Durante il mio percorso scolastico non trovai docenti che mi invogliassero alla lettura di testi oltre a quelli prescritti dai programmi ministeriali. Lo studio degli autori si fermava a Verga e scoprire il mondo della Deledda, di Montale o di Pirandello fu solo opera mia. Forse fu per questo che, quando passai dall’altro lato della cattedra, senza coercitive imposizioni, ma attraverso gare e giochi di ruolo, mi allenai a far appassionare i miei allievi al gusto della lettura. Un classico come Pinocchio, Pollyanna, Gian Burrasca, ci accompagnava per tutta la durata dell’anno scolastico e, attraverso letture di gruppo, analisi del testo, riflessioni, agganci interdisciplinari e parodie, si giungeva, a fine anno, all’allestimento di un semplice spettacolo teatrale. Stessa sorte toccò a I Promessi Sposi, spettacolo infarcito di parodie e canzoni della Berti, di Bennato, di Bertoli, ecc.
Tuttora riesco a passare davanti a una vetrina di abiti con studiata indifferenza, ma non riesco a fare a meno di entrare in libreria per gli acquisti delle ultime novità editoriali. Unico cambiamento avvenuto in me è stato quello di rinunciare ad accumulare libri. Un tempo non prestavo facilmente, conscia che non mi sarebbe stato reso o timorosa che fosse trattato con cura e poi mi accorsi che questo “collezionismo” era una forma di “autolesionismo”, un modo per “arredarmi” la vita com’era prima. Fu così che cominciai a donare libri. Le uniche a rifiutarli furono le scuole (paradosso), ma ne usufruirono associazioni culturali, parrocchie, circoli ricreativi, lidi marini e svariati amici. Gli unici testi dai quali non riuscirei a distaccarmi sono la prima edizione dei I Promessi Sposi o quella del dizionario di N. Tommaseo o i dizionari di lingua greca di mio nonno. Tutto il resto è da condividere, perché la bellezza appartiene a tutti e va condivisa, come quella di un tramonto, di un mare d’inverno, di un dipinto del Caravaggio o della Cappella Sistina. La Bellezza è patrimonio dell’intera umanità e maggiore è la condivisione, più essa si esalta e si arricchisce. Il vantaggio del dono consiste in questo: un riverbero di emozioni e conoscenze che, a pioggia, si diffonde su di noi. La diffusione di un testo scritto contribuisce all’evoluzione della civiltà. In fondo, «quando finisci un libro e lo chiudi, dentro c’è una pagina in più. La tua» (F. Caramagna). Ecco perché donare un libro ad un amico è fargli sentire che non è solo nei suoi sogni e nei suoi viaggi.
*Cinzia Vincenza De Bellis – Presidente UCIIM Sezione di Martina Franca (TA)