Cangini e Carfagna: sui “cambi di casacca” e i loro effetti paradossali

Cangini e Carfagna: sui “cambi di casacca” e i loro effetti paradossali

di Andrea Rossi

VOTARE IN SENSO CONSERVATORE E MODERATO E SCOPRIRE DI AVERE ELETTO UN AMICO DELLA SINISTRA E’ UNA DELLE LEZIONI DA TRARRE DALLA ROVINOSA CADUTA DEL “GOVERNO DEI MIGLIORI”

I “girabandiera” in parlamento ci sono sempre stati, ed è probabilmente inutile lamentarsi per lo spettacolo offerto da senatori e deputati prima e dopo la caduta del governo di Mario Draghi.

Non per questo alcune lezioni, devono essere ignorate o sottovalutate. Ritorniamo quindi con la memoria alla campagna elettorale per le amministrative dell’ottobre 2022, per documentare un caso a nostro avviso esemplare; a Bologna, mentre a sinistra i giochi per le candidature erano stati sostanzialmente fatti, e Matteo Lepore, esponente dem ed espressione della sinistra più laicista, vicina ai centri sociali e alle associazioni LGBT, si candidava a diventare successore di Virginio Merola alla guida della città, a destra, come spesso accade, la bagarre su chi poteva contendere al «Partito Democratico» il capoluogo felsineo era ancora in pieno svolgimento.

Fabio Battistini, imprenditore, esponente della consulta delle associazioni familiari, civico senza tessere di partito, risultò più convincente di Andrea Cangini, senatore di «Forza Italia» ed ex direttore de «Il Resto del Carlino», storica testata bolognese. I mugugni attorno a questa scelta si trascinarono per settimane, di certo non smorzati dallo stesso Cangini, che fece comprendere urbi et orbi il suo malumore, tanto che la campagna elettorale di Battistini risultò a tutti poco convincente, e metà dei cittadini del capoluogo regionale preferirono il mare romagnolo o la montagna emiliana alle urne cittadine; il comune venne così consegnato alla sinistra radical chic da sempre abituata a comandare (questo il verbo più adatto) sotto le due torri, con il 62% dei voti e una affluenza ferma al 51% ossia la maggioranza (nemmeno robusta) di metà città. 

Ora, per un attimo, riavvolgiamo il nastro di quegli eventi nemmeno troppo lontani, e proviamo a immaginare un passato e un presente alternativo, come è di moda in molte serie televisive: Andrea Cangini viene candidato sindaco e vince le amministrative, grazie ad una campagna elettorale in cui ognuno fa la sua parte per portare a casa il risultato, e i cittadini vanno a votare in massa, convinti del possibile cambiamento.

Dopo Giorgio Guazzaloca (Bazzano, 6 febbraio 1944 – Bologna, 26 aprile 2017), Bologna torna al centro destra dopo quasi venticinque anni. Tutto bene? A dire il vero no. Perché dopo la caduta del governo di Mario Draghi, Andrea Cangini non soltanto si dimette da «Forza Italia», ma passa, senza alcun tipo di esitazione, nelle fila di «Azione», il movimento fondato da Carlo Calenda, che si propone come alleato determinante (a suo dire) di Enrico Letta e del «Partito Democratico».

Dal che possiamo dedurre che gli infelici abitanti bolognesi si sarebbero trovati di fronte al paradosso che avrebbero potuto avere un primo cittadino di sinistra indipendentemente dal proprio voto.  

Meno eclatante la parabola di Mara Carfagna, ma allo stesso anche essa utile per trarre preziose indicazioni per il futuro. Già showgirl sulle TV del gruppo Mediaset, si è saputa costruire dai primi anni duemila, una solida carriera politica all’interno di «Forza Italia», diventando dal 2008 al 2011 ministro delle pari opportunità nel quarto governo di Silvio Berlusconi.

Considerata vicinissima alle posizioni del Cav, viene riconfermata sempre nel proprio collegio elettorale, ed attualmente ricopre la carica di vicepresidente della Camera dei deputati. Altalenante invece il suo rapporto con i valori che, teoricamente «Forza Italia» dovrebbe rappresentare, ossia quelli del Partito popolare europeo: inizialmente contraria alle unioni omosessuali, cambia dopo qualche anno idea sull’argomento fino a sposare interamente la causa LGBT (posizione condivisa anche da altri esponenti del movimento berlusconiano, per la cronaca) e aggiungendosi alla pattuglia delle femministe militanti nell’ambito, in teoria, conservatore.

Anche Carfagna, dopo la crisi di governo, si è sfilata dal centrodestra per entrare, con tappeto rosso, all’interno di «Azione», sostenendo, non diversamente da Cangini, che Calenda rappresenta il vero liberalismo (sfugge su quali basi, ma questo è altro argomento).

Ora, due elementi non fanno una prova, ma inducono a riflettere: queste convinzioni “liberali” erano già presenti in esponenti di primo piano del centrodestra? E perché non erano state espresse pubblicamente per tempo?

Probabilmente per gli elettori sarebbe stato di qualche interesse conoscere il travaglio interiore di chi, rappresentando valori tradizionali e conservatori, aveva il cuore che batteva “a sinistra” e magari ciò sarebbe stato utile per orientare diversamente il proprio voto. 

In conclusione, al prossimo appuntamento elettorale sarà bene conoscere il vero pensiero dei candidati su temi come vita, famiglia, società e valori tradizionali; come sosteneva Abraham Lincoln (Hodgenville 12 febbraio 1809 – Washington 15 aprile 1865), “si possono ingannare molte persone per poco tempo, oppure ingannarne poche per molte tempo. Di certo non si possono ingannare molte persone per molte volte”. 

 

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