Italia al voto: retroscena e volontà popolare
di Matteo Castagna
–
IL ROSATELLUM È IL PRODOTTO DI MATTEO RENZI CHE GARANTISCE L’INGOVERNABILITÀ DEL PAESE ALLA COALIZIONE CHE NON SUPERA LA MAGGIORANZA ASSOLUTA, PERCHÉ NON PREVEDE PREMIO DI MAGGIORANZA PER CHI PIGLIA PIÙ VOTI. IL RISCHIO DI TORNARE AD UNA SITUAZIONE SIMILE A QUELLA DEL 2018, OVE IL CENTRODESTRA NON ARRIVI AL 50,01% È ALTO, SOPRATTUTTO PER GLI ERRORI COMMESSI NEGLI ULTIMI DUE ANNI, SIA DALLA LEGA A TRAZIONE GOVERNISTA, CHE DAI FEDELISSIMI E FEDELISSIME DELL’ALA LIBERAL DI BERLUSCONI
Dunque si voterà il 25 Settembre 2022. Anche la comunità ebraica (45.000 persone in tutta Italia) lo permette, grazie a un comunicato del rabbino capo di Roma, perché il loro capodanno inizia a sera.
Tutti, tra i partiti e tra gli opinionisti, si aspettavano un “Draghi-bis”, memori anche delle anomalie di questa legislature, che ha prodotto tre governi in quattro anni e mezzo.
Non può stupire una tendenziale convergenza di vedute, sottolineata da media e social d’ogni matrice, nella definizione della legislatura iniziata dopo le elezioni politiche del 4 marzo 2018 come la peggiore a memoria della gente.
L’accanimento terapeutico nei confronti di questa legislatura viene attribuito, giustamente, a Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica di vecchia scuola democristiana, molto amico del Presidente emerito Giorgio Napolitano, orientato in maniera piuttosto chiara verso il centrosinistra. Il Conte 1 è rimasto in carica dal 1º giugno 2018 al 5 settembre 2019 come governo di coalizione tra le due forze politiche, all’epoca più votate: Il M5S e la Lega.
Il Papeete di Salvini fu, molto probabilmente un’ingenuità pagata cara, ma il garante della Costituzione, ovvero il Presidente della Repubblica, vista la gran confusione emersa, non avrebbe dovuto vedere le condizioni politiche per la nascita di un Conte 2, che, infatti, è rimasto in carica dal 5 settembre 2019 al 13 febbraio 2021. La disomogeneità dei partiti avrebbe dovuto essere l’elemento dirimente per sciogliere le Camere e mandarci al voto nell’autunno del 2019.
Questo, il primo grande errore di Mattarella, cui non va gettata addosso tutta la croce, perché la scelta compiuta verso l’ennesimo governicchio (il Conte 2) vide protagonisti i principali leader del globalismo europeo. E qui, sarebbe doveroso comprendere che la sovranità non appartiene al popolo – come dice la Costituzione – ma alla UE, che la esercita nei termini stabiliti dalla Bce. Il paziente Italia, nel frattempo, si è aggravato progressivamente, sempre più, sino ad arrivare all’agonia attuale, soprattutto sul piano economico e sociale.
Va detto che il Presidente Mattarella credeva di sfangarsela pure stavolta, tramite una maggioranza raccogliticcia, all’insegna della nota scuola democristiana del “tirare a campare”. Il Paese non ne ha beneficiato, però il Pd sì e molto, visto che se si tiene conto del mandato prorogato di Napolitano e del secondo mandato di Mattarella, un uomo del Pd è al Quirinale da più di un ventennio.
La volontà di evitare le elezioni politiche fino alla farsa corrisponde alla pregiudiziale nei confronti del centrodestra, che non sarebbe affidabile a governare il Paese in quanto troppo poco europeista e sbilanciato su posizioni euroscettiche, sovraniste, conservatrici. Mattarella ha fatto di tutto per mantenere in sella il Pd e il suo alleato, divenuto, col Conte 2, fisiologica ed espressa costola della sinistra, ovvero il Movimento 5 Stelle, rivelatosi il più grande bluff anti-sistema dal dopoguerra.
Sul piano istituzionale e politico, sia il Conte 1 che il Conte 2, prodotti del Presidente Mattarella, si sono rivelati una barzelletta su ogni fronte: dalla gestione dell’emergenza sanitaria, alle riforme, all’immigrazione, alle pensioni. L’elezione del Presidente della Repubblica, cui ambiva Draghi ma data a Mattarella perché il centrosinistra non avrebbe trovato nomi alternativi per fare il premier di “unità nazionale”, è stato l’ennesimo pasticcio trinariciuto, con la regia tra i globalisti europei e Enrico Letta.
Abituati ai giochini di Palazzo tipicamente italiani, credevamo tutti che una personalità come quella di Draghi, in questo momento storico, non potesse essere sfiduciata o messa nelle condizioni di rassegnare le dimissioni. Eppure, con lo strappo di Luigi Di Maio, l’avvocato di se stesso Giuseppi è riuscito a dilaniare il già litigioso Movimento 5 Stelle, ha tirato troppo la corda e, uscendo dall’Aula non votando il Dl Aiuti ha fornito al centrodestra un assist che neppure Omar Sivori avrebbe saputo fare, così mentre Draghi rassegnava le prime dimissioni, Salvini e Berlusconi si preparavano a intestarsi la vittoria politica, senza sfiduciare formalmente Supermario.
Mattarella ha constatato l’indisponibilità del premier dimissionario Mario Draghi, che, con eleganza, ha rimesso a Mattarella le sue dimissioni irrevocabili, costringendolo, nel marasma più totale, a sciogliere le Camere. Teatrino squallido, se pensiamo alle vere priorità del Paese, alle imprese che chiudono e all’inflazione che si avvicina al 10%. Ora, comunque, sarà Draghi a gestire l’ordinaria amministrazione fino all’insediamento del nuovo governo, tenendo conto che la parola “ordinaria”, in questo Paese è molto elastica e interpretabile. Luigi Bisignani, che di retroscena se ne intende, scrisse su Il Tempo, già il 23/06/22: “Il governo vivacchia come i peggiori della Prima Repubblica.
Il presidente del Consiglio non è in grado di tenere insieme la squadra e ora gli cascherà addosso il Pnrr. Tutti danno per finito il governo, anche se c’è la smania di potere del Pd e la mancanza di coraggio del Quirinale che lo tengono in vita. È come un malato di Covid intubato, non ha alcuna spinta propulsiva”. Bisignani designava la fine di Draghi con queste parole: “non credo proprio che farà il premier dopo il 2023, finirà come Conte. Tutti dicevano che sarebbe stato premier a vita e poi abbiamo visto come è finito. D’altronde i sondaggi vengono gestiti a Palazzo Chigi e fino a quando sarà premier sarà il migliore di sempre”.
Oggi la domanda d’attualità si pone spontanea. Nonostante il Pd sia il primo partito, al momento la sua coalizione non supera il 30%, soprattutto a causa della devastazione del Movimento 5 Stelle e del fatto che Di Maio dispone, forse, dei voti di famiglia. Gli altri sono cespugli. La vittoria del centrodestra, che si è rapidamente ricompattato, grazie alle circostanze, sembrerebbe scontata, anche se si presentasse alle urne solo la metà degli aventi diritto. Ci sono due incognite, qualora questo si avverasse: chi farà il premier e la legge elettorale.
Sulle chance di Giorgia Meloni di guidare l’esecutivo, Luigi Bisignani parla nuovamente con cognizione di causa: “i poteri forti non glielo faranno fare. Lei dovrebbe indicare adesso un presidente del Consiglio di grande standing e levatura internazionale; se facesse questo gesto aprirebbe il gioco. È giovane, che fretta ha di fare il premier? Vuole farsi massacrare dalle banche d’affari di tutto il mondo? E certo – sentenzia Bisignani – non basterà a salvarla la simpatia di cui gode negli Stati Uniti”.
Il Rosatellum è il prodotto di Matteo Renzi che garantisce l’ingovernabilità del Paese alla coalizione che non supera la maggioranza assoluta, perché non prevede premio di maggioranza per chi piglia più voti. Il rischio di tornare ad una situazione simile a quella del 2018, ove il centrodestra non arrivi al 50,01% è alto, soprattutto per gli errori commessi negli ultimi due anni, sia dalla Lega a trazione governista, che dai fedelissimi e fedelissime dell’ala liberal di Berlusconi. Non occorre un campo largo al centrodestra, in questi giorni di campagna elettorale, ma un campo chiaro, ben rasato, compatto sull’orizzonte valoriale comune cristiano e compiutamente conservatore. Si facciano le liste senza nani, ballerine e leccapiedi, ma con persone leali, competenti e di esperienza, nonché programmi seri ed attuabili, non roboanti promesse irrealizzabili, perché tutt’Italia vorrebbe passare l’inverno al caldo, fare la spesa a prezzi equi e vivere una vita il più possibile normale.