Draghi e i soldi pubblici per comprare il consenso del popolo

Draghi e i soldi pubblici per comprare il consenso del popolo

di Luigi Mercogliano 

SI PREVEDE UN AUTUNNO ROVENTE NEL QUALE SI APRIRÀ UN BARATRO ANCORA PIÙ PROFONDO PER GLI ITALIANI

Fate bene attenzione, perché sta per essere perpetuata la più grande fregatura che nessuno governo, finanche quelli a guida tecnica susseguitisi negli anni a partire da quelli presieduti da Amato, Ciampi, Dini, Prodi e Monti, è mai riuscito a fare.

Il Presidente del Consiglio non eletto, messo lì per imposizione diretta di Bruxelles e Washington, sta per compiere una delle operazioni di propaganda politica e di raggiro mediatico propagandistico tra le più grandi di sempre che, per la prima volta dal 2000 e per la prima volta in assoluto in Italia, non parte dall’assunto di dover tagliare la spesa ma dall’esatto contrario: “calano i consumi, bisogna innalzare i salari”, questo il senso del suo ragionamento.

I sindacati sono ovviamente con lui, oggi più che mai. E come potrebbero non starci proprio adesso? Ma la fregatura dov’è? Tranquilli, la fregatura è come sempre dietro l’angolo, non temete.

Draghi ha raccolto l’eredità del Conte 1 e 2 apprendendo una cosa che gli era già chiara: con i soldi pubblici si compra la sensibilità e il consenso del popolo.

Allora la strategia è evidente, ma è il perno su cui fa leva la comunicazione che è cambiato proprio al fine di renderla credibile. A differenza dei suoi precedessori, infatti, il messaggio non è “risaniamo il debito attraverso sacrifici”, né è “facciamo nuovi debiti per gestire la fase emergenziale e risanare l’economia e poi facciamo sacrifici per ripagarlo”. No, assolutamente.

Il messaggio stavolta cambia paradigma e dal tradizionale “più debito per gestire la crisi, più sacrifici domani per sanare il debito”, si è passati al “meno salari è uguale a meno consumi”, quindi la nuova ricetta non è più quella del bonus che gestisce l’emergenza, ma è l’intervento diretto e strutturale sugli stipendi per agevolare la ripartenza dell’economia e rendere tangibile un più forte e concreto aumento del potere di acquisto delle famiglie che indirettamente contrasti il crescere dell’inflazione.

Di pari passo, ovviamente, ad un intervento che eviti l’effetto dell’impennata dei costi, che solitamente è direttamente proporzionale all’aumento dei salari e al rinnovo dei contratti.

Il nuovo paradigma quindi è “più salari, più consumi, più velocemente usciamo dalla crisi”. Poche e vaghe parole quindi su “misure generiche” da mettete in campo poi. Detta così sembra quasi un sogno. Ed è qui (nel sogno) che si nasconde la fregatura, immancabile come sempre.

E la fregatura sta nel fatto che oggi col Dl Aiuti si è già patteggiato col sindacato, ovviamente complice, una strutturalità graduale del Bonus 200 (le mancette dei 200 euro per ora limitate al solo mese di luglio) e una spinta su Confindustria per un rapido rinnovo dei contratti collettivi da troppo tempo scaduti. Quindi, al sindacato – cosa che nessuno vi dirà, né da parte governativa, né da parte politica né, ovviamente, da parte sindacale – è stato chiesto già oggi di rendersi disponibile nell’immediato a varare entro la fine di questa legislatura una pesante riforma pensionistica che innalzerà dal 2023 l’età pensionabile e renderà obbligatoria una proposta detta tra le righe dal Ministro Orlando a voce strozzata in gola durante la relazione annuale del Presidente Inps sulla sostenibilità del sistema previdenziale italiano, spiegando la riforma del salario mimino di cui si fa da settimane un gran parlare.

Questa proposta, in sintesi, prevede che sarà introdotta per legge una riduzione graduale dell’orario di lavoro dei lavoratori che superano una certa età anagrafica e una data anzianità contrattuale per prepararli gradualmente alla condizione di uscita dal lavoro e di accesso alla prestazione pensionistica con un tenore salariale sensibilmente ridotto, per abituarli cioè al fatto che il loro assegno pensionistico sarà sensibilmente inferiore e vi accederanno ovviamente in un range temporale sensibilmente allungato.

In poche parole, resti al lavoro più tempo ma col salario ridotto. Col vantaggio per lo Stato che l’Inps ti pagherà più tardi la pensione – che, è bene ricordarlo, ci costruiamo tutti con i nostri versamenti – e te la pagherà per meno tempo, visto che la prospettiva di vita, anziché allungarsi, con questi chiari di luna si riduce sempre di più.

E la Confindustria – l’altro attore protagonista della partita non ancora chiamato al tavolo da Draghi, il cui appoggio all’operazione è però fondamentale – cosa ci guadagna in questa operazione? Confindustria ci guadagna che con la riduzione graduale dell’orario di lavoro dei lavoratori prossimi all’età pensionabile – che, nel mentre, è bene ricordarlo verrà innalzata sensibilmente – altri lavoratori entreranno a coprire il gap delle ore lasciate libere da questi, ma i nuovi assunti saranno contrattualizzati con forme di lavoro ancora più precarie di quelle del Jobs Act renziano attualmente in vigore.

Pertanto, alla luce di tutto quanto esposto, il nuovo motto decantato da dare in pasto al popolo bue è “buste paga più pesanti per uscire dalla crisi, rilanciare l’economia e combattere il carovita”. Quello occulto, che circola già negli ambienti dei tecnocrati, è invece “ti faccio credere che ti do qualcosa oggi, ma in realtà ti sto già mettendo pesantemente le mani in tasca per il tuo domani senza che tu nemmeno te ne accorga”.

Ovviamente, a tutto questo si aggiungerà una proroga sine die del reddito di cittadinanza per garantire quella pax sociale che questa misura ha contributo a mantenere nel drammatico biennio che ci siamo lasciati alle spalle. E questo per tenere buona una grossa fetta di popolazione che ormai, nel bene e nel male, su di esso si è adagiata.

Nessuna menzione, infine, ai tagli che già ci sono e che proseguiranno sul fronte Scuola, Università, Ricerca e Sanità per recuperare ulteriori tredici miliardi da destinare a nuove armi per continuare a finanziare una guerra non nostra che con l’autunno procurerà – cosa sulla quale anche si è taciuto con la complicità della stragrande maggioranza dei media – blackout tecnici nelle ore notturne e razionamenti energetici per contenere l’utilizzo del gas, visto che con il taglio del gas russo siamo già al fondo del barile.

Infine, la politica del ladrocinio su pensioni e futuro, che oggi viene venduta come un intervento importante e senza precedenti sui salari per aiutare concretamente gli italiani alle prese con la crisi, passerà ben presto (subito dopo l’estate) per il nuovo ciclo vaccinale e per le nuove limitazioni alle libertà personali. E qui il motto è già pronto: si passerà dal “non ti vaccini, ti ammali, muori” al molto più efficace “non ti vaccini, non ti pieghi, non percepisci l’aumento di stipendio”.

Si prevede un autunno davvero caldo. Un autunno rovente. Nel quale si aprirà un baratro ancora più profondo per gli italiani se la politica non la finirà di guardare al solo dato meramente elettorale, iniziando finalmente a rivendicare nuovamente il ruolo di primato sull’economia.

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