Gli alpini e i tromboni del politicamente corretto
di Diego Torre
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LA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI RIMINI HA CHIESTO L’ARCHIVIAZIONE DELLA DENUNCIA DI UNA DONNA CONTRO ALCUNI ALPINI ACCUSATI DI MOLESTIE SESSUALI
Come si ricorderà, il 5-8 maggio scorso si è svolta a Rimini, dopo due anni di stop forzato, la 93° Adunata Nazionale degli Alpini, arrivati anche dall’Australia, dal Brasile, dal Canada e da altre parti del mondo.
Ricorreva inoltre il 150° di fondazione del Corpo e le penne nere sono sfilate davanti al Labaro dell’Associazione Nazionale Alpini e alla tribuna per ben undici ore con le 18 bandiere di guerra (più una di istituto) dei reparti del Comando Truppe.
Gli alpini, si sa, sono degli allegroni a cui piace cantare e magari alzare un po’ il gomito; giusto un po’ non di più. Qualcuno forse fra gli oltre 400.000 presenti nella tre giorni, lo ha alzato anche troppo, ed è partita una denuncia per molestie da parte di una ventiseienne che avrebbe ricevuto insulti sessisti e sarebbe stata strattonata.
Associazioni femministe hanno prontamente raccolto tante altre segnalazioni (ma la denuncia è solo una).
I tromboni del politicamente corretto, ministri compresi, e mass-media in prima linea hanno fatto partire subito la macchina del fango contro il machismo che “evidentemente” circola fra le penne nere, attivando un discreto linciaggio mediatico e arrivando a chiedere una cambio di mentalità nei componenti del corpo stesso.
Quando simili bravate (e peggio) le fanno gli extracomunitari le indignazioni sono invece poche, blande e brevi. E mi pare giusto! Gli alpini sono tradizionalmente maschi (ma da parecchio tempo ci sono anche le donne), bianchi, italiani, patrioti e possibilmente “guerrafondai”, e (perché no?) “fascisti”. Sono anche amati dagli italiani, che ne hanno apprezzato nel tempo la capacità di sacrificio e dedizione, particolarmente dai triveneti che vivono con loro una sorte di simbiosi storicamente consolidata.
Quindi politicamente scorretti sotto tutti i profili. Qualunque pretesto per additarli al pubblico ludibrio è buono. A nulla sono servite le prese di distanza e le condanne dell’Associazione, che ha fatto però rilevare come in tanta folla potesse passare per alpino chiunque avesse comprato un berretto in una bancarella; il linciaggio massmediatico è stato d’obbligo.
A nulla è servita l’appassionata difesa del sindaco di Rimini, del Partito Democratico: «Adesso il tema sono gli alpini perché alpini, i militari perché militari. Adesso, e lo si dice esplicitamente, l’obiettivo accusatorio è quello di impedire ogni Adunata degli Alpini di qui in avanti, e in ogni città d’Italia… la sacrosanta protezione delle vittime di molestie, non sovrasta nel giudizio una grande festa popolare che è stata anche una festa di civiltà e di sostanziale comportamento rispettoso nei confronti della comunità riminese». E conclude: «vorrei che l’Adunata degli Alpini potesse tornare a Rimini prima possibile».
Dopo due mesi però la Procura della Repubblica di Rimini ha chiesto l’archiviazione della denunzia per molestie non essendo stata possibile l’identificazione dei presunti autori per la copertura solo parziale delle telecamere di sorveglianza della zona, nè l’unica testimone oculare, l’amica della giovane, sarebbe stata in grado di riferire particolari utili all’identificazione degli autori delle molestie; così pure la vittima. Lo ha confermato il procuratore capo, Elisabetta Melotti.
Premesso che di imbecilli se ne trovano in tutti gli ambiti, soprattutto in folle dalle dimensioni di quella che ha pacificamente invaso Rimini, ci chiediamo: ma non è che in tanto livore anti-militare, anti-maschile, anti-patriottico abbia pesato anche qualche pregiudizio ideologico?