Disinteresse e astensionismo ma «lo Stato è dentro di noi, non solo fuori» (Romano Guardini)
di Sara Deodati
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UNA RIFLESSIONE SU POLITICA E IMPEGNO POLITICO DEI CATTOLICI ALLA LUCE DEGLI ULTIMI CLAMOROSI DATI SULL’ASTENSIONISMO ELETTORALE DEGLI ITALIANI
Il 12 e 26 giugno si è votato per i cinque referendum abrogativi sulla “giustizia giusta” e per eleggere, in primo turno e ballottaggio, i sindaci di ben 65 Comuni italiani, di cui 13 capoluoghi di provincia. Nessuno dei cinque quesiti referendari ha raggiunto, come noto, il quorum, facendo registrare il record negativo di astensionismo della storia della Repubblica con una percentuale di votanti del 20.94%.
Anche coloro che si sono recati alle urne al primo turno per le amministrative sono stati molto pochi, cioè il 54,11% del totale degli aventi diritto.
È significativo che, nella stessa domenica 12, nei Comuni in cui vi erano anche le elezioni amministrative, si è raggiunta una percentuale del 50.90%, quindi più che doppia rispetto al voto referendario, dimostrando come sia cambiato (in peggio) il popolo italiano in termini di partecipazione civica e di interesse concreto su questioni centrali per la libertà come quelle riguardanti il sistema giudiziario. In pratica, abbiamo assistito ad un fatto a dir poco clamoroso: la maggior parte dei cittadini che si sono recati a votare per le amministrative, alle urne non hanno chiesto le schede elettorali per i referendum!
Nel complesso, comunque, direi che la circostanza che solo un quinto degli elettori italiani abbia dimostrato di avere interesse ad esercitare il diritto/dovere di voto in una materia che non può che interessare tutti, considerando che il voto sui quesiti sulla giustizia giusta è stato il più basso mai registrato dal 1974 (i precedenti 67 referendum abrogativi hanno avuto infatti un’affluenza media del 52%) dovrebbe far riflettere, insieme al fatto che ai ballottaggi di domenica scorsa il dato nazionale dell’affluenza è stato del 42,19%, oltre dieci punti in meno rispetto a due settimane fa. Tutto ciò invita a proporre una riflessione sul dovere, in questo caso non solo civico come per il cittadino ma anche morale in quanto rivolta ai cattolici, d’interessarsi e di partecipare alla vita politica, in primo luogo esprimendosi con il voto.
L’impegno sociale e politico del cristiano trova il suo fondamento nella teologia della creazione e dell’alleanza e nel fatto che il Figlio di Dio si è fatto uomo (Incarnazione). Non si può dunque sfuggire alla storia, all’impegno per la giustizia, per la pace, per la salvaguardia della vita umana innocente e della difesa del creato.
C’è una distinzione ma non una separazione fra la fede cristiana e l’impegno sociopolitico. L’urgenza dell’evangelizzazione del sociale e del conseguente impegno politico deriva dalla necessità di superare la frattura fra Vangelo e cultura e di rendere effettivo l’amore verso il prossimo di cui parla il primo capitolo della Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica (24 novembre 2002), firmata dal card. Joseph Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Educare ad una politica buona significa anzitutto educare a coltivare lo spirito di servizio, favorire l’esercizio di una cittadinanza attiva e responsabile, ricordando quella frase straordinaria anche suscettibile di essere fraintesa che scrisse il teologo e Servo di Dio Romano Guardini (1885-1968) nell’ultima delle sue lettere sull’autoformazione: «lo Stato è dentro di noi, non solo fuori».
I laici devono quindi affiancare all’azione di annunciare quella di attualizzare il Vangelo nelle relazioni sociali, raggiungendo l’uomo concreto che vive nella società del suo tempo. Si tratta in definitiva di contribuire a fecondare e fermentare la vita civica e politica con il messaggio del Vangelo.
Ci sono molti documenti e testi magisteriali che parlano dell’impegno dei cristiani in politica e della necessità di perseguire, anche in forma associata, il bene comune. Direi che nell’epoca contemporanea non possiamo che partire dall’enciclica di Giovanni XXIII Pacem in terris (11 aprile 1963) e dalla costituzione pastorale Gaudium et Spes, approvata dal Concilio Vaticano II il 7 dicembre 1965.
A fattor comune questi due documenti invitano concretamente il cristiano a non perseguire nell’attività politica meri interessi privati o personali. Come insegnò Pio XI con una formula molto efficace che è stata ripetuta nell’ultimo secolo da tutti i successivi Pontefici, compreso (più volte) Papa Francesco, «la politica è la forma più alta di carità» (Udienza ai dirigenti della Federazione Universitaria Cattolica del 18 dicembre 1927).
Nell’esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici del 30 dicembre 1998 san Giovanni Paolo II ricorda anche che il cristiano deve perseguire il bene comune ma, concretamente, esiste una difficoltà specifica ad identificare di volta in volta e cercare di mettere in pratica i fondamenti della fede nello specifico contesto culturale o sociale nel quale si è chiamati a vivere.
Da questo punto di vista un tentativo importante è stato offerto, per quanto riguarda il periodo di passaggio dalla “Prima” alla “Seconda Repubblica” italiana, da Rocco Buttiglione con il libro Il problema politico dei cattolici. Dottrina sociale e modernità (1993).
Alla luce dell’itinerario storico che il filosofo cattolico ricostruisce relativamente alla Democrazia cristiana, egli propende per l’inopportunità di riproporre un partito unico dei cattolici in Italia, diversamente a quanto fu fatto nel Secondo dopoguerra. Allora si trattava infatti di porre un argine al materialismo che era presente soprattutto nelle fila del Partito comunista italiano ma, nell’attuale periodo di relativismo etico, la DC o il PPI non avrebbero più senso, tanto più che la maggior parte dei cattolici italiani stessi, a partire dagli anni Settanta, hanno “privatizzato” la loro Fede, annullandone sostanzialmente la valenza pubblica e politica.
Essendo il relativismo un nemico anche forse più pervasivo del materialismo precedente, comunque visibile, ai cattolici ben formati spetta il ruolo di lievito nei partiti e movimenti che, naturalmente, non li strumentalizzino ma possano intessere un dialogo ed una collaborazione feconda con essi.
Secondo Buttiglione, rifacendo un “partito dei cattolici”, si ripeterebbe il danno cui abbiamo assistito a partire dagli anni Settanta, ovvero il cedimento sui valori e, talvolta, sull’etica pubblica che si riverbera sull’Istituzione-Chiesa che, per sua natura, non dovrebbe essere compromessa nelle vicende della politica partitica perché suscettibile di accogliere ed essere aperta a tutti.
Come dovrebbe agire dunque il cattolico di oggi, privo di un partito “dedicato” nell’ambito della vita civica e politica? È finita l’epoca della “delega in bianco” e, questo esito, alla luce dei principi del Magistero che abbiamo solo accennato fin d’ora, è solo un bene! Ma il cattolico deve anche evitare il disimpegno con la “scusa” che la politica è “corrotta”, oppure è “sporca” o cose del genere.
Probabilmente non troverà mai un partito o movimento che possa corrispondere al 100% nei suoi principi e programmi al diritto naturale e cristiano ma, riprendendo la mai troppo citata “Nota dottrinale” della Congregazione per la Dottrina della Fede il cattolico è anzitutto chiamato «a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono “negoziabili”» (n. 3).
Quindi è questo il primo “comandamento” dell’azione (e partecipazione) civica e politica: non sostenere programmi od esponenti che, direttamente o indirettamente, si pongano al di fuori del “recinto” dei principi non negoziabili: vita, famiglia, educazione. Per non fare esempi italiani, possiamo limitarci a quello più madornale che riguarda la “coerenza eucaristica” di un politico che, pur definendosi “cattolico” come il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, promuove attivamente aborto, omosessualismo ed eutanasia.
Non dimentichiamo, infatti, che la Dottrina sociale della Chiesa non è un “optional” ma è una branca della teologia morale. Come richiamato dal Concilio Vaticano II, quindi, la coerenza tra fede e vita e tra vangelo e cultura impone ai cattolici in politica di «compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del vangelo. Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura, pensano di poter per questo trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno» (Cost. Past. Gaudium et spes, n. 43. Cfr. anche Giovanni Paolo II, Esort. Apost. Christifideles laici, n. 59).
L’onorevole Buttiglione! Ero molto giovane, quando, nel ’99, diede la sua fiducia al primo governo guidato in Italia da un (post)comunista (D’Alema).