Regno Unito, la pervicacia nel voler sopprimere giovani “pazienti fragili” è sempre più diabolica
di Gianmaria Spagnoletti
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CARTOLINE SBIADITE DA LONDRA
Dietro l’apparenza di nazione avanzata e orgogliosa della propria storia, la Gran Bretagna nasconde la mancanza di valori e di rispetto per la vita. “Guardiamo al futuro”, dice la Regina, ma il futuro sono anche i ragazzini a cui un giudice sospende le cure.
Qualche settimana fa, la Gran Bretagna è balzata su tutte le prime pagine dei giornali grazie ai festeggiamenti per il Giubileo di Platino (70 anni di regno) della Regina Elisabetta. Quindi, fino ai primi di giugno, il Paese è stato tutto un “fiorire” di ritratti della sovrana, parate militari e decorazioni a tema “Union Jack”: insomma, un tripudio di orgoglio nazionale per una ricorrenza già entrata nella storia: in effetti, Elisabetta II ha l’indubbio record di essere la sovrana britannica con il più lungo regno di sempre (ha battuto persino la Regina Vittoria) essendo salita al trono alla morte del padre Giorgio VI nel 1952.
Di tutte queste celebrazioni resterà soprattutto una frase pronunciata dalla sovrana: “Guardiamo al futuro”. Ma chi vedrà il futuro? I giovani, e non certo la 96enne Elisabetta che, per forza di cose, nei prossimi decenni apparterrà alla storia. Quindi non un programma personale, ma un incoraggiamento alle nuove generazioni.
La Regina Elisabetta II
Tuttavia, calato il sipario sul Giubileo di Platino, si torna alla dura realtà. Archie Battersbee è un dodicenne inglese in coma dal 7 aprile, quando è stato trovato privo di conoscenza a casa propria, nell’Essex, forse a causa di una assurda “sfida” raccolta via internet. Dopo che i sanitari hanno dichiarato inesistente la sua attività cerebrale, un giudice ha sentenziato che debba essere lasciato morire.
La madre ha annunciato che darà battaglia contro la sentenza con l’aiuto di avvocati e di associazioni per la tutela di minori. Ma il copione sembra già scritto: l’obiettivo è di far morire Archie come è stato fatto morire Charlie Gard, e anche Alfie Evans, Isaiah, e altri bambini in condizioni simili. Sono fatti che causano ancora clamore quando riguardano dei pazienti così giovani, ma in Gran Bretagna si attua la sospensione delle cure per i pazienti molto anziani già da un bel pezzo.
L’incontro fra Papa Francesco e mons. Cavina con Thomas Evans, papà del piccolo Alfie
Quindi, in fin dei conti, nulla di nuovo sotto il sole: ormai si è fatta strada l’idea della vita intesa come una “patente a punti” laddove i punti ti vengono scalati man mano che la persona perde salute o autosufficienza. Questo spiega anche come mai la pervicacia nel voler sopprimere giovani “pazienti fragili” riesca ad andare a braccetto con i festeggiamenti per una sovrana che, nonostante i suoi 96 anni gode ancora di buona salute.
C’è una curiosa formula per definire il ruolo di Elisabetta II: la regina “regna ma non governa”: cioè fa da garante delle istituzioni e non interviene nelle questioni interne. Insomma, è una specie di “simbolo”, amato tanto in Patria quanto all’estero. Tutto ciò che le fa da corollario, ad esempio i monumenti come Buckingham Palace, o le Guardie in giubba rossa, sono una “vetrina” che fa da attrazione per i turisti e da ricordo delle glorie passate per i sudditi. In realtà, al di fuori delle luci della ribalta, il quadro generale è molto più fosco: quello di un Paese che lascia morire i suoi abitanti più deboli.
E se le prime vittime sono Alfie, Charlie, Isaiah e Archie (oltre ai bambini che vengono abortiti) significa che si uccide proprio quel “futuro” auspicato dalla regina e se ne prepara uno dove la regola è la “sopravvivenza del più forte”. Non sto a ricordare che questo concetto è nato proprio in Inghilterra e ha dato i suoi frutti peggiori nell’applicazione in campo “sociale”, andando ben al di là delle intenzioni del suo creatore, Charles Darwin, che lo aveva inventato come pura teoria (cioè spiegazione provvisoria) sulla c.d. “evoluzione delle specie” e non come modello per la società.
Charles Robert Darwin
A questo si accompagna la teoria eugenetica, creazione di Sir Francis Galton, cugino di Darwin, il quale immaginava di poter migliorare la razza umana con delle selezioni, come si fa nel caso dei buoi o dei cavalli. Non a caso, il grande scrittore Gilbert Keith Chesterton scriveva, col suo sottile humor, che gli eugenisti speravano di “attingere alla superiore civiltà […] dei cavalli da tiro”.
La citazione è tratta dal libro “Eugenetica e altri malanni” (ottima l’edizione di Cantagalli del 2008) che andrebbe letto da cima a fondo, magari sotto l’ombrellone (e anzi, andrebbe reso “testo obbligatorio” per politici, insegnanti e “intellettuali”, o aspiranti tali).
L’impressione che si ricava dal testo è che il creatore di Padre Brown abbia saputo vedere da lontano la piega che avrebbero preso queste teorie, ben oltre la sua epoca (e pensare che è un libro pubblicato nel 1919, ma vergato in gran parte un decennio prima). Ottima anche l’appendice, dove vengono presentati ampi stralci degli scritti originali di Galton, nei quali si spiega che, in ultima analisi, lo scopo dell’eugenetica era di fare una “selezione naturale” favorendo la procreazione delle classi alte e impedire quella delle classi povere. Ripropongo uno stralcio dalle note dell’Editore:
“La società renderà semplicemente più arduo per taluni gruppi avere e allevare figli. Non ci vuole molto a immaginare come: alte tasse, limitate possibilità di lavoro, comunità infestate dal crimine, scuole pubbliche scadenti; e la cultura in generale potrebbe essere strutturata in modo da rendere la genitorialità il più possibile difficile e ingrata per questa gente“.
La copertina di “Eugenetica e altri malanni” (Cantagalli 2008)
Altro che “Guardiamo al futuro” della Regina: sarebbe più indovinato il “nessun futuro” cantato dai Sex Pistols in “God Save the Queen”. (Per la cronaca l’ex frontman dei Sex Pistols Henry John Lydon, alias Johnny Rotten, sembra andare in direzione contraria anche in questo, dato che attualmente si occupa della moglie malata di Alzheimer).
A ben vedere, quanto preannunciato da Chesterton nel 1919 si è realizzato in pieno. Anzi, si tratta di una stravittoria: denatalità, saldo negativo morti-nascite (in Italia), addirittura morte proposta come “alternativa alle cure”, sia quelle palliative (ancora poco conosciute in Italia), sia alle cure in generale (in Canada), quando invece il dovere del medico sarebbe di salvare dalla morte.
Ai tempi in cui Chesterton controbatteva alle teorie eugenetiche, i grandi mali che sembravano legittimare una “selezione” della popolazione erano la tubercolosi e l’alcolismo; in seguito, il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie delle città inglesi abbatté drasticamente la mortalità della popolazione, specie dei bambini. Ora queste teorie, mai del tutto defunte, ritornano come presunta risposta alle sofferenze dei malati, o come rimedio a condizioni sociali ritenute inadeguate per fare famiglia (vedi sopra).
Gilbert Keith Chesterton
Dimenticate per questa volta il richiamo a Hitler e al nazismo, che pure portarono l’eugenetica al massimo grado: il “primato” dell’invenzione spetta alla “vecchia Inghilterra”, che ancor oggi si pregia di applicarla a dei bambini. Ma senza dire apertamente che si tratta di “selezione dei più deboli”, altrimenti fa brutto. Infatti “gli eugenisti”, scriveva Chesterton, “sono soprattutto eufemisti”. Se leggerete il suo interessante saggio, magari durante le vacanze, vedrete che il futuro a cui si appella la Regina sembra tutt’altro che roseo. Ma prima capirete, meglio riuscirete a reagire.