Anche sulle comunità montane emerge l’incompetenza del governo Draghi
di Daniele Trabucco, Augusto Sinagra e Carlo Vivaldi Forti
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DEL RESTO CHE COSA C’È DA ASPETTARSI DAL MINISTRO GELMINI?
Il Ministro (senza portafoglio) per gli Affari regionali e le autonomie Maria Stella Gelmini (Forza Italia), ha confermato che il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera al disegno di legge di iniziativa governativa recante disposizioni per la valorizzazione delle zone montane.
Il testo sarà assegnato in prima lettura alla Camera dei Deputati per iniziare l’iter in Commissione referente.
Premesso che il Parlamento italiano potrà modificare ed emendare il testo, vanno rilevate alcune criticità.
In primo luogo, non contiene una definizione dei Comuni montani, rimettendo ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge ordinaria dello Stato n. 400/1988 su proposta dello stesso Ministero per gli Affari regionali e le autonomie e sentito il parere della Conferenza unificata Stato-Regioni-Province autonome di Trento e Bolzano/Bozen, la definizione dei criteri di individuazione (art. 2).
Ora, il riferimento da parte del disegno di legge al DPCM (in puro spirito contiano) implica non solo il rinvio ad una fonte secondaria di produzione del diritto sottratta alla dialettica politica con il venir meno della possibilità di un’ampia discussione sul concetto di “zone montane”, ma anche l’adozione di un atto formalmente amministrativo e sostanzialmente normativo escluso da qualunque controllo preventivo di legittimità.
In secondo luogo, é evidente il mancato coordinamento tra il comma 1 dell’art. 2 del disegno di legge ed il comma 3 del medesimo articolo: da una parte, nell’individuazione generale dei Comuni montani, si fa riferimento principalmente al criterio altimetrico senza indicarne altri con buona pace del principio di legalità formale, dall’altra si richiamano ulteriori criteri (il calo demografico, la difficoltà di accesso ai servizi pubblici etc.) per l’adozione di un ulteriore decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri funzionale, all’interno dell’elenco dei Comuni montani, ad individuare quelle realtà comunali destinatarie di misure di incentivazione di cui parlano gli articoli successivi, introducendo così una differenziazione all’interno delle stesse amministrazioni comunali montane.
E questo può porre alcuni dubbi di costituzionalità, in quanto l’art. 44, comma 2, della Costituzione vigente del 1948 lascia intendere che la legge possa certamente introdurre provvedimenti economici e produttivi ad hoc, ma a favore di tutte le zone montane.
Sarebbe interessante, sul punto, valutare sia le implicazioni della eventuale legge anche con la nuova formulazione degli artt. 9 e 41 del Testo fondamentale, a seguito dell’entrata in vigore della legge costituzionale n. 1/2022, sia il rispetto del parametro della ragionevolezza ex art. 3, comma 1, Cost., inteso quale coerenza della differenziazione legislativa.
In secondo luogo, con particolare riferimento alla c.d. “sanità di montagna” (art. 7 del d.d.l.), anche ammesso che, nella materia concorrente “tutela della salute ex art. 117, comma 3, Cost. (cfr. sent. n. 328/2006 Corte cost.), sia difficile distinguere i principi dagli aspetti di dettaglio (Paoletti), ci si potrebbe chiedere se il rinvio al decreto del Ministero della Salute riguardante, ad esempio, i criteri per l’assunzione di incarichi nell’ambito delle aziende e/o strutture ubicate nei territori montani non si ponga in contrasto con la sfera di competenza delle Regioni ordinarie riferibile all’organizzazione sanitaria.
Inoltre, non si può non ricordare, come autorevole dottrina ha da tempo evidenziato, che “qualsiasi disposizione ricompresa sotto l’etichetta della “tutela della salute” deve necessariamente porre norme a protezione di quello stesso bene, insuscettibile di tutele territorialmente differenziate” (cfr. D. PARIS, Il ruolo delle Regioni nell’organizzazione dei servizi sanitari e sociali a sei anni dalla riforma del Titolo V: ripartizione delle competenze e attuazione della sussidiarietà, in Amministrazione in Cammino, 2007, p. 8).
In terzo luogo, non muta la filosofia di fondo con cui il legislatore statale, fin dalla legge ordinaria dello Stato n. 991/1952, ha considerato la montagna: un habitat “passivo” destinatario di una politica assistenzialistica e non protagonista attivo cui riconoscere una vera autonomia (si veda il fallimento della legge ordinaria dello Stato n. 56/2014, voluta dall’allora maggioranza parlamentare di centro-sinistra, che ha depotenziato le Province ed introdotto la figura evanescente di quelle “interamente montane e confinanti con Stati esteri“).
Del resto che vi aspettate da un Ministro che non solo ha sfasciato l’Università centralizzando le “baronie” con il sistema delle abilitazioni nazionali per la I e la II fascia, creando la precarizzazione dei ricercatori (legge n. 240/2010), ma credeva all’esistenza di un tunnel tra l’Abruzzo e la Svizzera? Deus avertat!