Non arrestiamo il passo contro l’eutanasia, non rinunciamo ad amare!
di mons. Franco Moscone*
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MESSAGGIO DELL’ARCIVESCOVO DI MANFREDONIA-VIESTE-SAN GIOVANNI ROTONDO MONS. FRANCO MOSCONE IN OCCASIONE DELL’INCONTRO PROMOSSO DALL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE MEDICI CATTOLICI (AMCI): “CONTRO L’EUTANASIA PER NON RINUNCIARE AD AMARE” [CENTRO DI ACCOGLIENZA “S. MARIA DELLE GRAZIE” DI SAN GIOVANNI ROTONDO (FOGGIA) 25 MAGGIO 2022]
A tutti e a ciascuno assicuro la vicinanza e la preghiera per l’impegno che l’Associazione Medici Cattolici Italiani svolge ogni giorno a favore di chi soffre.
Il titolo del convegno, “Contro l’eutanasia, per non rinunciare ad amare”, è evidenziazione del Vangelo come cura e servizio della vita soprattutto nel momento di maggiore debolezza e a rischio di significanza. È solo l’Amore che muove tutto e dà senso: quando non si ama o non si è amati, tutto diventa insopportabile e perde di senso, purtroppo anche la vita! Per questo motivo il primo dovere di ogni persona è lasciarsi amare, amare e insegnare ad amare.
Questo dovere voi sanitari lo conoscete molto bene e cercate di applicarlo ogni giorno con la cura e l’assistenza delle persone malate. È un’arte che conoscete bene anche voi giuristi e quanti vi impegnate nella società per il bene della persona. Un impegno che richiede sempre maggior forza e decisione quanto più la persona è nella condizione di bisogno.
La cura del dolore fisico e della sofferenza psicologica ed esistenziale, infatti, è un impegno che travalica le professioni sanitarie e richiede la partecipazione di tutte le forze civili, sociali e politiche: è segno d’umanità matura, di quella umanità che ci vede tutti “sofferenti” e “soccorritori”; di quella umanità in cui tutti tendiamo una mano per chiedere aiuto e tutti siamo chiamati ad afferrare la mano dell’altro che si tende verso la nostra.
Oggi parlerete di progetti di leggi che intendono “favorire una buona morte”, il “suicidio assistito”, o provocare la morte col consenso del malato. Certamente, mettere fine ad una vita in situazione di estrema precarietà e sofferenza sembra rappresentare la via facile e simulare pietà per chi chiede di porre fine al dolore attuando una decisione che di umano ha ben poco.
È urgente impegnarsi con professionalità e testimoniare praticamente ciò che veramente significa “mettersi accanto e chinarsi per curare”. Oggi si parla della necessità di eliminare il dolore e la sofferenza anche attraverso il favorire il fine vita, ma molto meno della persona che prova dolore, che vive nella sofferenza, che si sente insignificante e magari di peso per gli altri e, per questo, vede la morte come via d’uscita.
Se la dignità e professionalità del medico, di ogni medico, implica sempre la cura del dolore fisico, il medico cattolico deve guardare all’interezza della persona ed aver cura della sua sofferenza fisica, morale, psicologica e spirituale.
Vi trovate nella Casa Sollievo della Sofferenza che con il suo nome esprime tutto ciò che il suo Fondatore Padre Pio ha chiesto e continua a chiedere a quanti vi lavorano, e promette a chi vi approda per necessità:
- CASA: è il luogo dove ciascuno può sentirsi accolto ed amato, per quello che è, qualunque sia la condizione fisica e sociale;
- SOLLIEVO: non si garantisce guarigione ad ogni costo, perché si sa bene che vi sono malattie inguaribili, situazioni cliniche che non possono essere cambiate; però è doveroso e possibile sempre procurare sollievo, cura, assistenza ogni giorno più qualificata e qualificante;
- della SOFFERENZA: non si tratta solo del dolore fisico, che la malattia può provocare, ma del coinvolgimento totale della persona, con il suo corpo, la sua mente, il suo cuore, il suo spirito e che si estende a tutto il nucleo familiare ed alle relazioni significative di ogni paziente che viene accolto nella Casa Sollievo della Sofferenza!
Così, nell’esortarvi ad un generoso impegno per la vita ripeto questa sera le parole pronunciate da Padre Pio nel giorno dell’inaugurazione della Casa: «Non arrestiamo il passo, rispondiamo solleciti alla chiamata di Dio per la causa del bene, ciascuno adempiendo il proprio dovere: io, in incessante preghiera di servo inutile del Signore nostro Gesù Cristo, voi con il desiderio struggente di stringere al cuore tutta l’umanità sofferente con l’azione illuminata della Grazia, con la liberalità, con la perseveranza nel bene, con la rettitudine d’intenzione».
* Testo pubblicato per gentile concessione di VOCI e VOLTI. Periodico dell’Arcidiocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, anno XII – n. 117 del 17 giugno 2022, p. 12)