Un pensiero a chi vorrebbe l’equo processo in Italia, ricordando Enzo Tortora…
di Giuseppe Brienza
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PERCHÉ VOTARE “SÌ” AI QUESITI SUI LIMITI DEGLI ABUSI DELLA CUSTODIA CAUTELARE, SULL’EQUA VALUTAZIONE DEI MAGISTRATI E SULLA RIFORMA DEL CSM? ANCHE PER EVITARE CHE SI RIPETANO NUOVI MACROSCOPICI ERRORI E “SUPPLIZI” COME QUELLO PATITO DA ENZO TORTORA…
Chi sta cercando di mettere il silenziatore ai referendum sulla giustizia giusta che si terranno tra soli dieci giorni? Per la risposta prego arrivare alla fine di questo articolo…
Iniziamo a osservare che la mancanza di dibattito pubblico e di informazione cui stiamo assistendo in queste ultime settimane è un’offesa nei confronti della democrazia e dei cittadini italiani. E ci conferma che l’appuntamento del 12 giugno sarà forse l’ultimo treno per cercare di cambiare il “sistema giustizia” nel nostro Paese. Sarebbe davvero un peccato perderlo!
Vogliamo rompere il muro del silenzio costruito attorno ai referendum sulla giustizia giusta? Chiediamoci anzitutto perché i grandi media non ne parlino quasi mai. Eppure domenica 12 giugno, oltretutto in un solo giorno (dalle ore 7 alle 23), gli italiani sono chiamati a votare per ben cinque quesiti ammessi dalla Corte costituzionale: abrogazione della Legge Severino; limiti agli abusi della custodia cautelare; separazione delle carriere; sistema di elezione del Csm; equa valutazione dei magistrati nei consigli giudiziari distrettuali.
Se guardiamo ai dati del trentaquattresimo Rapporto Eurispes, che descrivono un Paese nel quale solo l’8% dei cittadini pensa che la nostra giustizia funzioni, verrebbe facile l’appello a votare Sì a tutti e cinque i quesiti! Dopo anni infruttuose o false riforme, per cambiare il Sistema dobbiamo andare tutti a votare!
Ma a nostro avviso il silenzio sui referendum non deriva solo dal potere di pressione e dall’affinità ideologica dei grandi media con le “Toghe Rosse”. Deriva anche dalla paura dei partiti del centrodestra di perdere questa sfida alle urne.
Pensando a chi vorrebbe una giustizia giusta e un equo processo nel nostro Paese, il ricordo non può che andare alla vicenda del noto giornalista e presentatore televisivo Enzo Tortora (1928-1988). Il “caso Tortora” è stato il più clamoroso episodio di mala-giustizia nel nostro Paese. Risale, come sappiamo, al giugno 1983, quando il conduttore di “Portobello“, accusato da alcuni “collaboratori di giustizia” di trafficare droga per conto della Nuova Camorra Organizzata (NCO) di Raffaele Cutolo, venne arrestato con tanto di foto e di riprese Tv di lui in manette condotto dai carabinieri.
Gli inquirenti di Napoli si fidarono delle rivelazioni di uno psicopatico, tale Giovanni Pandico (detto ‘o pazzo) che, leggendo sull’agendina di un’amica del camorrista Giuseppe Puca il nome di un tale Enzo Tortona (con la n), rivelò si trattasse di Enzo Tortora, «quello del pappagallo».
I giudici istruttori ritennero credibile una tale ricostruzione, avallata da altri pentiti del “calibro” di ‘o animale (Pasquale Barra) e cha-cha-cha (Gianni Melluso). Fatto sta che Tortora, completamente estraneo ai fatti, passerà in totale 271 giorni in carcere, per poi essere condannato a 10 anni di reclusione in primo grado per associazione a delinquere di stampo camorristico e traffico di stupefacenti. L’assoluzione con formula piena arrivò in appello solo nel 1986, confermata in Cassazione un anno più tardi. Pm, giudici istruttori e giudici del tribunale di Napoli, nonostante i gravi errori commessi, furono tutti promossi.
Ma se i cittadini italiani decidessero di abrogare la norma oggetto del Quesito referendario n. 2 sui limiti agli abusi della custodia cautelare, le misure cautelari sarebbero applicabili soltanto nei casi stabiliti dal primo periodo della lettera c) dell’art. 274, comma I c.p.p., vale a dire solo per «gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata». La custodia cautelare in carcere che resterebbe in vigore solo per quei reati particolarmente gravi che giustificano un’attenzione sensibilmente alta da parte dello Stato.
In un Paese civile “chi sbaglia paga”, ma solo dopo un regolare processo che conduca – esperiti tutti i gradi di giudizio previsti dalla legge – a sentenza definitiva. Il 12 giugno ribadiamo dunque il nostro Sì allo Stato di diritto e No al giustizialismo! Per questo va anche affermato il principio che i magistrati non possano essere controllati solo da altri magistrati (Quesito n. 4).
Dicendo infine Stop allo strapotere delle correnti dei magistrati, abrogando l’obbligo per un magistrato che voglia essere eletto nel CSM di trovare le 25/50 firme richieste per presentare la propria candidatura (Quesito n. 5), si finirebbe d’imporre a chi si voglia candidare di ottenere il beneplacito delle correnti politicizzate o, il più delle volte, di essere formalmente iscritti. Quindi con l’attuale obbligo nessun “cane sciolto” è stato e potrà mai essere ammesso a candidarsi nell’organo di autogoverno dei magistrati. I posti, dovendo chiedere i voti, sono riservati solo a personalità legate alle correnti e, quindi, da queste “tele-comandabili”.
Con il Sì, invece, si tornerebbe alla legge originale sul CSM del 1958, che prevedeva che tutti i magistrati in servizio potevano proporsi a componenti del Consiglio Superiore, presentando individualmente e semplicemente la propria candidatura. Senza “sbarramenti all’ingresso” avremmo votazioni che mettono finalmente al centro del voto il magistrato e le sue qualità personali e professionali, non gli interessi delle cricche o l’orientamento politico di gruppi o associazioni particolari.
Cambiamo insieme la giustizia votando cinque SÌ ai referendum del 12 giugno. Lavoriamo per un Paese che non inneggi più al tintinnio delle manette…