«Separate le carriere!»: Falcone voleva equo processo e terzietà del giudice
di Giuseppe Brienza
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REFERENDUM: SPIEGHIAMO PERCHÉ VOTARE “SÌ” ALLA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI. ANCHE GIOVANNI FALCONE LA PENSAVA COSÌ…
Cosa accade se vincono i Sì al quesito sulla separazione delle carriere dei magistrati?
Il Comitato promotore dei referendum sulla “giustizia giusta” ha sintetizzato così: «Stop alle porte girevoli per ruoli e funzioni».
In effetti chi, a oltre trent’anni di distanza dall’operatività di un Codice di procedura penale che ha trasformato il pubblico ministero in una “parte” del giudizio, se pure pubblica, può ragionevolmente contrastare la riforma della separazione delle carriere fra P.M. e magistrati giudicanti (cioè “giudici”)?
Anche l’indimenticabile giudice ucciso dalla mafia a Capaci (Palermo) un 23 maggio di trent’anni fa, Giovanni Falcone (1939-1992) era di questa opinione. Per chi volesse conoscerla sulla base delle sue stesse parole può leggere il libro, meritoriamente di larga diffusione grazie alla Bur biblioteca universale Rizzoli dal titolo: La posta in gioco. Interventi e proposte per la lotta alla mafia.
Per quei pochi che non lo conoscessero, ricordiamo che Giovanni Falcone, nato a Palermo nel 1939, entrò in magistratura nel 1964. Dopo essere stato pretore a Lentini (Siracusa) e pubblico ministero e giudice a Trapani, fu dal 1978 al marzo 1991 a Palermo, come giudice istruttore e procuratore della Repubblica aggiunto. Nel marzo 1991 fu nominato direttore generale degli Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia, chiamato a “mettere sistema” il grande patrimonio di conoscenze ed esperienza che nei suoi quasi trent’anni di professione aveva maturato su Cosa Nostra grazie ma non solo al Maxiprocesso per crimini di mafia, inaugurato nel 1986 e conclusosi con sentenza pochi mesi prima del suo assassinio, il 30 gennaio 1992.
Fra le principali proposte che Falcone elaborò in vita per cercare di imprimere una svolta nella lotta alla mafia nel nostro Paese, ciò che avrebbe di sicuro contribuito a favorire uno sviluppo veramente democratico al nostro Paese, ci sono quelle in materia di trattamento ed attendibilità dei “pentiti”, di carcere duro ai mafiosi e sulle intercettazioni telefoniche. In varie occasioni, però, il giudice siciliano si è soffermato appunto anche sul grande tema della separazione delle carriere dei magistrati.
A distanza di decenni il suo pensiero in materia è rimasto assolutamente attuale, e la sua lungimiranza lo ha portato con grande anticipo ad affrontare questioni che ancora oggi sono al centro del dibattito politico-giudiziario. La sua opinione favorevole alla separazione delle carriere dei magistrati fra inquirenti e giudicanti va pertanto tenuta in grande considerazione ora che ci avviamo alla consultazione referendaria del 12 giugno.
Certo, di Falcone servirebbero forse “a monte” di questa riforma le intuizioni, i progetti e le strategie che ci ha tramandato e raccomandato per gestire e migliorare l’organizzazione complessiva della giustizia italiana. Nell’individuazione però delle debolezze e criticità endogene del “sistema giustizia” nazionale, quella della non separazione delle carriere rimane una questione fondamentale.
La regolamentazione delle funzioni e della stessa carriera dei magistrati del pubblico ministero non può infatti essere identica a quella dei magistrati giudicanti, diverse essendo le funzioni e, quindi, le attitudini, l’habitus mentale e le capacità professionali richieste per l’espletamento di compiti così diversi. Investigatore a tutti gli effetti il P.M., arbitro della controversia il giudice.
Il pericolo della conseguente dipendenza del pubblico ministero dall’esecutivo e della discrezionalità dell’azione penale, puntualmente sbandierato tutte le volte in cui si parla di differenziazione delle carriere, è stato ampiamente controbattuto da Falcone. Il quale parti anzitutto da una considerazione di principio: disconoscere la specificità delle funzioni requirenti rispetto a quelle giudicanti, nell’antistorico tentativo di considerare la magistratura unitariamente, equivale paradossalmente a garantire meno la stessa indipendenza e autonomia della magistratura.
Si tratta di una argomentazione che, come ha sempre sostenuto il giudice siciliano, è stata portata avanti in Assemblea Costituente non a caso da uno dei maggiori sostenitori dell’indipendenza della magistratura, ovvero l’on. Piero Calamandrei (1889-1956). L’autorevole avvocato e accademico ha infatti scritto e descritto i numerosi inconvenienti che un sistema di non separazione della magistratura causa, molto più gravi rispetto a quelli di “dipendenza” dall’esecutivo.
In un Paese come il nostro nel quale due cittadini su tre non credono nelle toghe e il 25% neppure denuncia reati commessi nei propri confronti, l’appuntamento delle urne di domenica 12 giugno si presenta quindi come un passaggio obbligato.
Solo recandosi alle urne e votando Sì si potrà finalmente cercare di avviare al più presto una profonda riforma della giustizia e della magistratura italiana. Anche se ci sono tanti problemi sociali ed economici all’orizzonte, occorre fare uno sforzo ed andare a votare tutti e cinque i quesiti di questo referendum sulla “giustizia giusta”. Lo dobbiamo anche a Piero Calamandrei e Giovanni Falcone.
Gli uomini, infatti, passano, ma le idee (grazie a Dio) restano.
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Per una giustizia giusta e un equo processo per tutti conviene informarsi e promuovere il sito ufficiale del Comitato promotore: https://referendumgiustizia.it.