La Bibbia e le “conquiste” della scienza

La Bibbia e le “conquiste” della scienza

di don Gian Maria Comolli*

L’UOMO E L’UNIVERSO DELLE COSE: UN RAPPORTO COMPLESSO E PROBLEMATICO CHE PORTA CONTINUAMENTE ALLA CRISI DELLA SOCIETÀ E, INFINE, DELL’AMBIENTE (COMPENDIO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA, NN. 456-465)       

Partendo dall’insegnamento della Bibbia il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (2 aprile 2004) considera molto positivamente sia le “conquiste” della scienza sia il progresso della tecnica (cfr. n. 457). Introducendo in termini generali il rapporto fra scienza e Fede, infatti, il Compendio ricorda che «i risultati della scienza e della tecnica sono, in sé stessi, positivi» (n. 457), e che «l’attività umana individuale e collettiva, ossia quell’ingente sforzo col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita corrisponde al progetto di Dio» (n. 456).

Tale concetto è stato ribadito in termini magistrali da san Giovanni Paolo II che, nel suo intervento al Symposium sulla fisica del 18 dicembre 1982, ha affermato: «da credenti in Dio, che ha giudicato “buona” la natura da lui creata, noi godiamo dei progressi tecnici ed economici, che l’uomo con la sua intelligenza riesce a realizzare», considerazioni da applicare anche all’ambiente naturale e all’agricoltura. Ma serve porre attenzione, o meglio va ribadito il concetto di “retta applicazione”, perché come avverte il Compendio «noi sappiamo che questo potenziale non è neutro: esso può essere usato sia per il progresso dell’uomo, sia per la sua degradazione. Per questa ragione, è necessario mantenere un atteggiamento di prudenza e vagliare con occhio attento natura, finalità e modi delle varie forme di tecnologia applicata» (n. 458).

Inoltre, occorre tenere presente che «il punto di riferimento centrale per ogni applicazione scientifica e tecnica è il rispetto della persona, che deve accompagnarsi ad un doveroso atteggiamento di rispetto nei confronti delle altre creature viventi” (Compendio, n. 459). In definitiva, «se l’uomo interviene sulla natura senza abusarne e senza danneggiarla, si può dire che interviene non per modificare la natura ma per aiutarla a svilupparsi secondo la sua essenza, quella della creazione, quella voluta da Dio” (Compendio, n. 460).

Da questa constatazione nasce l’appello ripreso dal Compendio a tutti gli scienziati: «lavorando in questo campo, evidentemente delicato, il ricercatore aderisce al disegno di Dio. Dio ha voluto che l’uomo fosse il re della creazione’. In fondo, è Dio stesso che offre all’uomo l’onore di cooperare con tutte le forze dell’intelligenza all’opera della creazione» (n. 460).

Oggi, però, il rapporto uomo-ambiente è in crisi. Cosa determina questa problematica? Il progresso chiuso alla trascendenza, che asseconda ideologie scientiste e tecnocratiche supportate da posizioni di dominio e predatorie, anzitutto, risponde il Compendio (cfr. nn. 461-462). Ebbene, oggi il creato, è vissuto primariamente come un oggetto da sfruttare e da manipolare, ignorando pure la scarsità e l’esiguità delle risorse. Di fronte a questa funesta visione, la questione ecologica, deve percorrere due strade: la deferenza dovuta all’uomo nella sua unitotalità e il superamento delle valenze materialiste inadatte a contemplare e onorare la natura.

Ribadisce in tal senso il Compendio: «si è diffusa una concezione riduttiva che legge il mondo naturale in chiave meccanicistica e lo sviluppo in chiave consumistica; il primato attribuito al fare e all’avere piuttosto che all’essere causa gravi forme di alienazione umana» (n. 462). Inoltre, spesso, l’ambiente è assolutizzato anche sovrapponendo alla materia la dignità della persona, piombando così nell’ecocentrismo o nel biocentrismo che finiscono per «eliminare la differenza ontologica e assiologica tra l’uomo e gli altri esseri viventi, considerando la biosfera come un’unità biotica di valore indifferenziato. Si viene così ad eliminare la superiore responsabilità dell’uomo in favore di una considerazione egualitaristica della “dignità” di tutti gli esseri viventi» (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti ad un Convegno su ambiente e salute, 24 marzo 1997).

È in evoluzione quell’errore antropologico che autorizza a disporre indiscriminatamente della creazione, distante dalle leggi del Creatore, dimenticando che più la vita umana è in armonia con l’ambiente più si incrementerà anche il riguardo e l’attenzione alla natura. Da qui l’urgenza dell’intersecarsi delle scienze con l’etica, poiché solo congiungendo le nuove capacità scientifiche con una forte dimensione etica, la comunità internazionale sarà «in grado di promuovere l’ambiente come casa e come risorsa a favore dell’uomo e di tutti gli uomini, sarà in grado di eliminare i fattori d’inquinamento, di assicurare condizioni di igiene e di salute adeguate per piccoli gruppi come per vasti insediamenti umani. La tecnologia che inquina può anche disinquinare, la produzione che accumula può distribuire equamente, a condizione che prevalga l’etica del rispetto per la vita e la dignità dell’uomo, per i diritti delle generazioni umane presenti e di quelle che verranno» (Compendio, n. 465).

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*sacerdote ambrosiano, collaboratore dell’Ufficio della Pastorale della Salute dell’arcidiocesi di Milano e segretario della Consulta per la Pastorale della Salute della Regione Lombardia. Cura il blogwww.gianmariacomolli.it.

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