Cristo chiede di non rifiutarlo, né in teoria né in pratica, e di vivere come lui insegna
di don Ruggero Gorletti
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COMMENTO AL VANGELO DEL GIORNO DI DOMENICA 8 MAGGIO 2022
Dal vangelo secondo san Giovanni 10, 27-30
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
COMMENTO
L’immagine di Cristo, buon pastore, è una delle immagini più belle che la Scrittura ci offre. La funzione del pastore, nella vita della pecora, è fondamentale. Cosa fa il pastore? Fa sì che le pecore possano ricevere il nutrimento necessario, che non corrano pericoli. In una parola, che possano vivere. Gesù ci dice che le sue pecore sono al sicuro: non andranno perdute in eterno e nessuno può strapparle dalla mano del Padre e dalla mano di Cristo. Anzi, ci assicura, che alle sue pecore Egli dona la vita eterna.
Nella seconda lettura il pastore si confonde con l’agnello: Cristo è insieme agnello, perché è stato sacrificato sulla croce, (l’agnello, nel culto ebraico, era l’animale con cui si facevano i sacrifici) e pastore, perché guida tutti alle fonti dell’albero della vita.
Sono immagini, sia quelle del Vangelo che quelle della seconda lettura, ma sono immagini che ci dicono una grande verità: il Signore si prende cura di noi, ha cura della nostra vita, vuole che viviamo pienamente in questa esistenza, che è comunque contrassegnata anche dal dolore e dalla morte, e soprattutto vuole condurci alla vita eterna, dove non vi sarà più nulla da desiderare – «non avranno più fame e non avranno più sete» – non vi sarà più nulla di negativo – «non li colpirà il sole né arsura alcuna» – e dove il dolore sarà per sempre sconfitto – «Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi».
Perché il Signore possa realizzare in noi il suo progetto che vuole la nostra felicità è necessario che noi siamo sue pecore. Che cosa fanno le sue pecore? Leggiamo il brano di Vangelo: le sue pecore anzitutto ascoltano la sua voce. Ascoltare la sua voce non significa solo ascoltare la sua parola. Significa anche accogliere con fede i suoi insegnamenti e farli diventare pratica concreta nella vita. Gesù ci ricorda che non chi dice: «Signore, Signore» entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre.
È possibile rifiutare di entrare nel gregge condotto dal Signore? Certo che è possibile: la prima lettura ce ne da un esempio. Paolo e Barnaba annunciano la parola del Signore ad Antiochia di Pisidia, una città dove l’annuncio del Vangelo non era mai arrivato. All’inizio la popolazione accoglie volentieri la predicazione, ma quasi subito la gelosia dei Giudei fa sì che il messaggio del Vangelo non venga accolto.
Le parole di Paolo e Barnaba sono pesanti: era necessario che la parola di Dio fosse proclamata anzitutto ai Giudei, ai membri dell’antico popolo di Dio. Ma visto che essi non ne vogliono sapere, la respingono, ecco che si rivolgono ad altri, ai pagani. Rifiutando la parola di Dio, il suo insegnamento – e per rifiutarlo non occorre osteggiarlo apertamente, basta escludere nella propria vita l’insegnamento del Vangelo, non vivere come il Signore ci insegna – essi rifiutano la vita eterna.
Oggi il Signore ci chiede di accoglierlo come pastore, come guida. Ci chiede di ascoltare le sue parole, il suo insegnamento. Ci chiede di non rifiutarlo, né in teoria né in pratica. Ci chiede di vivere come lui ci insegna. Solo così permetteremo al Signore di colmarci di gioia e di Spirito Santo, come i discepoli di Antiochia di Pisidia, e gli permetteremo di condurci la dove la gioia è piena e ogni lacrima sarà asciugata dai nostri occhi.