Un certo tipo di musica usata nelle chiese non aiuta la preghiera ma è deleteria

Un certo tipo di musica usata nelle chiese non aiuta la preghiera ma è deleteria

di Aurelio Porfiri*

IN CHIESA CERTA MUSICA NON È AFFATTO “NEUTRALE”…

Perché siamo consapevoli dell’influsso della musica sulla nostra anima ci siamo sempre battuti perché si prendesse coscienza di come un certo tipo di musica usata nelle nostre chiese (che non si riesce a chiamare musica sacra) sia non solo di ostacolo alla preghiera, ma possa risultare anzi deleteria. Non si comprende come sia possibile che coloro che dovrebbero vigilare permettano la desacralizzazione della liturgia facendo del male non solo ai fedeli stessi, ma offendendo in certi casi persino Dio.

Esiste naturalmente una differenza fra dissacrare e desacralizzare. Chi dissacra presuppone il sacro, come nei poemi goliardici medievali in cui usando melodie gregoriane si cantavano testi licenziosi; chi desacralizza cerca di fare a meno del sacro. Purtroppo l’enfasi che è stata posta sulla Messa come banchetto piuttosto che come atto sacrificale non ha aiutato.

Come mai si dimentica quanto ha insegnato sulla musica sacra san Pio X? Papa Sarto, nel Motu Proprio del 1903, ha scritto infatti che “la musica sacra, come parte integrante della solenne liturgia, ne partecipa il fine generale, che è la gloria di Dio e la santificazione e edificazione dei fedeli. Essa concorre ad accrescere il decoro e lo splendore delle cerimonie ecclesiastiche, e siccome suo officio principale è dì rivestire con acconcia melodia il testo liturgico che viene proposto all’intelligenza dei fedeli, così il suo proprio fine è di aggiungere maggiore efficacia al testo medesimo, affinché i fedeli con tale mezzo siano più facilmente eccitati alla devozione e meglio si dispongano ad accogliere in sé i frutti della grazia, che sono propri della celebrazione dei sacrosanti misteri. La musica sacra deve per conseguenza possedere nel grado migliore le qualità che sono proprie della liturgia, e precisamente la santità e la bontà delle forme, onde sorge spontaneo l’altro suo carattere, che è l’universalità. Deve essere santa, e quindi escludere ogni profanità, non solo in se medesima, ma anche nel modo onde viene proposta per parte degli esecutori. Deve essere arte vera, non essendo possibile che altrimenti abbia sull’animo di chi l’ascolta quell’efficacia, che la Chiesa intende ottenere accogliendo nella sua liturgia l’arte dei suoni. Ma dovrà insieme essere universale in questo senso, che pur concedendosi ad ogni nazione di ammettere nelle composizioni chiesastiche quelle forme particolari che costituiscono in certo modo il carattere specifico della musica loro propria, queste però devono essere in tal maniera subordinate ai caratteri generali della musica sacra, che nessuno di altra nazione all’udirle debba provarne impressione non buona”.

In quei tempi si era compreso che la musica non è neutrale, nel senso che essa può avere una intenzione che può essere buona ma può anche essere negativa. E chi deve vigilare su questo? Perché alcuni Vescovi continuano a favorire nei loro uffici liturgici dei “cortigiani” piuttosto che persone che abbiano anche il coraggio di contraddirli, sulla base della loro specifica competenza, per il bene della Chiesa e della sua liturgia?

 

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