La comunità politica: fondamento, finalità e suo rapporto con la società civile
di Don Gian Maria Comolli*
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LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA PROGETTO PER RIFORMARE LA SOCIETÀ: IL FONDAMENTO E IL FINE DELLA COMUNITÀ POLITICA
Il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (2 aprile 2004) parlando della comunità politica non ne fornisce la definizione preferendo più concretamente illustrarne il fondamento e il fine.
«La comunità politica – leggiamo nel n. 384 – scaturisce dalla natura delle persone, la cui coscienza ‘rivela e ordina perentoriamente di seguire’ l’ordine scolpito da Dio in tutte le Sue creature: ‘un ordine etico-religioso, il quale incide più di ogni altro valore materiale sugli indirizzi e le soluzioni da dare ai problemi della vita individuale ed associata nell’interno delle comunità nazionali e nei rapporti tra esse».
Di conseguenza, i dirigenti della comunità politica hanno l’obbligo di porre al centro delle finalità collettive l’uomo che, dotato di razionalità, deve di fronte a ogni scelta potersi assumere le sue responsabilità. Solo così offrirà sensi e significati, non solo alla sua esistenza individuale ma anche al corpo sociale di cui è membro, senza dimenticare il suo bisogno innato di trascendenza.
Dunque solo nel servizio al popolo la comunità politica realizza la sua missione.
Ma cos’è un popolo e che cosa lo qualifica?
Un popolo non è una moltitudine amorfa o una massa inerte da manipolare e strumentalizzare, ma una totalità di individui che deve possedere l’opportunità di formarsi una propria opinione sulla cosa pubblica, esprimere liberamente l’individuale sensibilità politica e farla valere con modalità confacenti al bene comune.
Qualifica un popolo l’insieme di accordi e leggi cui corrispondono diritti e doveri personali e comunitari, una cultura condivisa, una lingua comune. Ciò che però caratterizza in primo luogo una comunità politica «è la condivisione di vita e di valori, che è fonte di comunione a livello spirituale e morale» (n. 386). A ogni popolo corrisponde in generale una Nazione, ma per varie ragioni non sempre i confini nazionali coincidono con quelli etnico-culturali. Sorge così la questione delle minoranze, che storicamente ha originato non pochi conflitti (cfr. n. 387).
Per la Dottrina sociale della Chiesa anche le minoranze costituiscono gruppi con specifici diritti e doveri da tutelare, ma contemporaneamente tutti devono collaborare al bene comune dello Stato.
Perché ogni persona sia il fondamento e la finalità della comunità politica è primario riconoscere, tutelare e rispettare i suoi diritti inalienabili che possiamo anche definire “diritti umani”, cioè quei diritti irrinunciabili da riconoscere al singolo appartenendo al genere umano, indipendentemente dalle origini, dai legami o dai luoghi. Un tipico esempio è la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.
I diritti umani, inoltre, racchiudono le primarie esigenze morali e giuridiche dell’individuo e sono sorretti da quattro pilastri: dignità, libertà, uguaglianza e fratellanza. La dignità mostra che l’uomo è riflesso dell’immagine di Dio oltre che, come dichiarava il filosofo tedesco Emmanuel Kant (1724-1804), è un fine e mai un mezzo. La libertà, ha più recentemente esposto il filosofo francese Jean-Luc Nancy (1940-2021), non va intesa come un concetto astratto, ma «come un dato esperienziale, una componente insostituibile della vita, che va declinata, vissuta e per la quale bisogna avere degli obiettivi sempre più alti».
L’uguaglianza assicura la partecipazione politica e pubblica. La fratellanza fa riferimento ad alcuni diritti: da quelli economici a quelli sociali e culturali. Dal perseguimento di questi diritti, superando favoritismi e posizioni di privilegio, deve sgorgare nel cittadino un pieno adempimento dei relativi doveri.
Nella comunità politica una particolare attenzione va posta alla fraternità. Afferma il Compendio: «il significato profondo della convivenza civile e politica non emerge immediatamente dall’elenco dei diritti e dei doveri della persona. Tale convivenza acquista tutto il suo significato se basata sull’amicizia civile e sulla fraternità» (n. 390).
Ebbene, è insufficiente per costruire il bene comune, il ricorso unicamente alla giustizia e al diritto, o meglio, queste due tutele giuridiche devono intersecarsi con l’“amicizia civile” e la “fraternità” radicati sulla benevolenza, punti nodali per acquisire disinteresse, donazione e disponibilità alle esigenze dell’altro. Purtroppo, queste caratteristiche, sono spesso disattesi nelle società politiche moderne e contemporanee, soprattutto a causa delle ideologie individualistiche e collettivistiche.
In conclusione, «l’obiettivo che i credenti devono proporsi è la realizzazione di rapporti comunitari fra le persone. La visione cristiana della società politica conferisce il massimo rilievo al valore della comunità, sia come modello organizzativo della convivenza sia come stile di vita quotidiana» (n. 392).
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*sacerdote ambrosiano, collaboratore dell’Ufficio della Pastorale della Salute dell’arcidiocesi di Milano e segretario della Consulta per la Pastorale della Salute della Regione Lombardia. Cura il blog: www.gianmariacomolli.it.