Essere giornalisti: un servizio all’umanità e alla storia
di mons. Franco Moscone*
–
L’ARCIVESCOVO DI MANFREDONIA-VIESTE-SAN GIOVANNI ROTONDO: «ESSERE GIORNALISTI È UN SERVIZIO ALL’UMANITÀ E ALLA STORIA, UN SERVIZIO CHE PUÒ VERAMENTE TRASMETTERE VANGELO ED ENTRARE IN DIALOGO E CAMMINO CON L’UMANITÀ INTERA»
La frase con cui si conclude il testo del profeta Osea, «voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti» [Os 6,6], è una delle affermazioni, a mio giudizio, più taglienti del Primo Testamento. Una frase che Gesù stesso farà sua e utilizzerà nella sua predicazione. Gesù poi cita anche «andate, capite cosa significa misericordia voglio e non sacrifici». Ci possiamo chiedere: ma che cos’è l’amore, che cos’è la conoscenza di Dio?
Brevemente risponderei così: alla prima domanda più che domandarci cos’è l’amore, domandiamoci “chi è l’amore”. L’amore è Dio, è l’amore di Dio incarnato in mezzo a noi; è Cristo fattosi uomo, entrato nella nostra storia assumendone tutte le dinamiche, eccetto il peccato che deve guarire. Per forza Dio vuole l’amore più dei sacrifici e dei vari rituali.
Vuole suo Figlio in noi, in ognuno di noi, nell’esperienza concreta della nostra vita.
Alla seconda domanda “che cos’è la conoscenza di Dio?”, risponderei così: la conoscenza di Dio è la conoscenza dell’uomo, delle persone, di ogni persona. La conoscenza di Dio è lo sguardo evangelico secondo i criteri delle beatitudini, nell’intreccio degli sguardi umani. È il riconoscere nel volto di ogni persona un tratto unico ed eterno del volto di Dio che in Cristo si è fatto uomo e ha assunto la nostra vita.
Credo che, da questa affermazione, anche i fratelli e le sorelle che esercitano la professione del giornalismo possano trovare da credenti un vero alimento che dà alla loro, alla vostra professione, motivazioni veramente grandi: saper leggere il volto di ogni persona e riconoscerne i tratti della divinità. Saper riconoscere la storia come attraversata dalla logica di Dio, che è logica di creazione e di salvezza.
Saper evidenziare nella cronaca del momento una presenza più grande e che va oltre, che costruisce e garantisce il futuro.
È un servizio, quindi, quello dell’essere giornalisti. Un servizio all’umanità e alla storia, un servizio che può veramente trasmettere Vangelo ed entrare in dialogo e in cammino con l’umanità intera.
Accogliete quindi questa frase, questa affermazione, come strumento e interpretazione, cartina di tornasole della vostra professionalità: «Amore voglio, non sacrificio. Conoscenza di Dio più degli olocausti».
Poi, abbiamo ascoltato una parabola di Gesù unica, solo l’evangelista Luca ce la presenta.
Viene normalmente conosciuta col titolo del fariseo e pubblicano al Tempio. È interessante la motivazione con cui Gesù presenta questo testo: «per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti» [Lc 18,9] e quindi disprezzavano gli altri. La giustizia è parte fondamentale e integrante del cammino dell’umanità e in modo particolare del cammino del credente. È lo sforzo di tutta la storia umana organizzata, di costruire le leggi e percorsi di giustizia. È l’annuncio della beatitudine evangelica «beati coloro che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati» [Mt 5,6]. Vivere la giustizia è, esattamente con le stesse caratteristiche, sforzo biologico della sete, della fame. Ma l’aggettivo giusti, che poi diventa sostantivo i giusti, è un rischio, una bestemmia quando lo vogliamo applicare a noi stessi. Non esiste nessun giusto sulla terra, anzi ne esiste uno solo, Cristo. Tutti gli altri siamo bisognosi continuamente della sua giustizia, della sua giustificazione, della sua misericordia. Non consideriamoci giusti. Considerarci giusti è un peccato, un peccato di superbia, un peccato che diventa disprezzo degli altri, del prossimo, diventa strumento diabolico di divisione e di violenza. Consideriamoci invece, bisognosi di essere raggiunti nel cuore, nella mente e nelle azioni dall’unica giustizia di Dio, dall’amore che si chiama Gesù, dall’incontro con Lui.
Se prendiamo coscienza di questo, allora ci renderemo conto che i due personaggi di questa parabola, albergano nella nostra vita. Uno lo dobbiamo temere e controllare, il fariseo, perché ci porta alla presunzione della giustizia e alla diabolica divisione da Dio e dagli altri. L’altro, il pubblicano, lo dobbiamo invece far crescere come coscienza, per riconoscerci in ciò che veramente siamo e affidare al Signore, a Dio, la nostra condizione di pubblicani, riconoscendoci esercito di peccatori e, allora, saremo giustificati. Entreremo nel cammino della Storia della Salvezza e quell’umiliazione diventerà motivo di esaltazione come conclude il testo del Vangelo, perché «chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato» [Lc 14,11].
Per chiudere e ritornare al gruppo degli amici dell’UCSI (Unione Cattolica Stampa Italiana), aggiungo una frase che possa aiutare la vostra professione: saper individuare, cogliere negli avvenimenti della cronaca, questa situazione ed evidenziarci l’umiltà, ossia la fragilità dell’umanità. Un’umanità che, se lasciata a se stessa, diventa preda della violenza e della divisione, crea solo violenze e guerre, ma se accolta col cuore di Dio e del Vangelo diventa inizio di un cammino di ripresa, di rinascita, di rialzamento e per usare la parola di Gesù… di esaltazione, ossia di salvezza. Amen.
* arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo.
L’articolo riproduce parte del testo dell’omelia della Messa celebrata in occasione dell’incontro-ritiro dei giornalisti dell’UCSI Puglia, che si è tenuto a San Giovanni Rotondo (Foggia) il 26 marzo 2022 (pubblicato per gentile concessione di VOCI e VOLTI. Periodico dell’Arcidiocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, anno XII – n. 115 del 9 aprile 2022, p. 12).