Davanti alla croce una celebrazione austera e sobria, ma non priva di maestà
di Giuliva Di Berardino
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IL VENERDÌ SANTO – PASSIONE DEL SIGNORE
La liturgia di questo giorno è austera e sobria, ma non priva di maestà. La celebrazione del primo giorno del Triduo pasquale è incentrata nell’immolazione dell’Agnello di Dio, che toglie il peccato, e nel segno della sua morte gloriosa: la croce. I fedeli che seguono con attenzione questo Triduo santo, dopo il preludio festivo della sera precedente, hanno l’opportunità di passare con Cristo attraverso il mistero della passione, morte e sepoltura, nella luce della risurrezione.
L’ Ufficio delle letture si apre con tre salmi, i quali si applicano in modo particolare a Cristo che soffre nella Passione: il salmo 2 che ricorda la congiura dei nemici (cfr. At 4,24-30), il salmo 21 che Gesù recitò sulla croce (cfr. Mt 27,39-44) e il salmo 37 che descrive il dramma dell’uomo che soffre mentre i suoi amici restano a una certa distanza da lui (cfr. Lc 23,49). La lettura biblica (Eb 9,11-28) ci presenta Cristo come pontefice e mediatore della nuova alleanza, che en¬tra nel santuario celeste portando il suo sangue redentore.
La lettura patristica di san Giovanni Crisostomo spiega la tipologia dell’agnello pasquale e commenta il colpo di lancia di Longino. Le Lodi, specialmente con le antifone, insistono sul valore redentore della morte del Signore e sul trionfo della croce, aspetto messo in evidenza principalmente dal salmo 147. La lettura breve di questa Ora, come quella delle tre Ore medie, è presa dal quarto canto del Servo del Signore (Is 53).
Le antifone di terza, sesta e nona ricordano separatamente i vari momenti della Passione, mentre i salmi (Sal 39, 53 e 87) hanno quasi il tono della preghiera di Gesù che si offre al Padre sulla croce. Ma il centro della liturgia di questo giorno è occupato dal¬la celebrazione della Passione.
L’azione liturgica deve cominciare dopo il mezzogiorno, verso le tre del pomeriggio, a meno che ragioni pastorali suggeriscano un’ora più tarda. I paramenti sacri usati nella funzione sono di color rosso, il colore dei martiri in segno di vittoria. Perciò, il venerdì santo non è un giorno di lutto, bensì di amorosa contemplazione della morte del Signore, fonte della nostra salvezza.
La struttura della celebrazione è molto semplice e molto espressiva: la liturgia della Parola, l’adorazione della croce e la comunione. Non vi è rito iniziale, se non la prostrazione con la faccia a terra del sacerdote e dei ministri e un’orazione che chiede al Signore che si ricordi della sua misericordia, poiché Gesù Cristo istituì il mistero pasquale per mezzo del suo sangue in nostro favore. Una seconda preghiera, che può essere usata in luogo della precedente, si ispira a 1Cor 15,45-49 e chiede che anche noi possiamo ottenere il frutto della Passione di Cristo.
La liturgia della Parola si apre col quarto canto del Servo del Signore (Is 52,13-53,12), lettura profetica applicata a Gesù che «dà la sua vita in espiazione» e che contiene un’impressionante descrizione della Passione del Signore. Il salmo (Sal 30) ha come risposta le parole di Cristo sulla croce: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46), che procedono dallo stesso salmo. Nella seconda lettura, il Servo si presenta come il Sommo Sacerdote che, offrendosi come vittima, «divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli ubbidiscono» (Eb 4,14-16; 5,7-9).
Da parte sua, il Vangelo è il racconto tradizionale della Passione secondo san Giovanni. La liturgia ha preferito questo racconto, conoscendo l’intenzionalità e il punto di vista del quarto Vangelo. Per Giovanni, la croce è la suprema rivelazione dell’amore di Dio e della completa libertà di Gesù (cfr. Gv 3,16; 13,1; 17,1). D’altra parte, la presenza di Maria ai piedi della croce e la scena del colpo di lancia, tratti propri di questo racconto, hanno un valore straordinario per la Chiesa, rappresentata nella Madre di Gesù — la donna di Gv 2,4 — e nei simboli dell’acqua e del sangue che sgorgano dal costato aperto di Cristo.
Dopo le letture e l’omelia, la liturgia della Parola si chiude con la solenne preghiera universale: bellissimo formulario che ci è giunto, con alcuni ritocchi moderni, dalla liturgia romana del secolo V. La gerarchia e l’universalità delle intenzioni è estremamente istruttiva. Subito dopo dovrebbe venire il rito della comunione; ma l’azione liturgica del venerdì santo intende concentrare l’attenzione dei fedeli non sul sacramento memoriale della Passione del Signore, bensì sul segno della croce. L’adorazione della croce da parte di tutto il popolo è preceduta dalla sua ostensione a tutta l’assemblea: « Ecco il legno della croce, al quale fu appeso il Cristo, Salvatore del mondo».
Durante l’adorazione, si canta l’antifona «Crucem tuam adoramus» d’origine greca, e l’inno Crux fidelis. In quest’inno, l’accenno all’albero del paradiso è molto chiaro: il frutto di quell’albero produsse la morte; il frutto della croce è la vita stessa. Da parte loro, i lamenti del Signore evocano il mistero della glorificazione e della divinità di Gesù, che muore ferito dall’amore e pieno di tenerezza per il suo popolo.
La partecipazione eucaristica alle specie consacrate nella sera precedente — di qui, il nome di Messa dei presantificati dato a questo rito — completa la celebrazione, che termina con l’orazione per il popolo invocando la benedizione di Dio su di lui. Sebbene l’azione liturgica della Passione sostituisca i Vespri, la Liturgia delle Ore non li omette; e prende il salmo 115 della liturgia pasquale giudaica per la sua chiara applicazione eucaristica al sacrificio di Gesù (cfr. 1Cor 10,16; 11,26), il salmo 142, che pare un’eco del poema del Servo del Signore, e il cantico Fil 2,6-11, che rivela i sentimenti di Gesù durante la Passione. Dopo la celebrazione della Passione o dei Vespri, la Chiesa s’immerge nel silenzio dell’attesa della Risurrezione.
Il venerdì santo è giorno di digiuno, ma d’un digiuno non penitenziale come quello della Quaresima, ma pasquale (cfr. SC 110), perché ci fa vivere il passaggio dalla Passione alla Risurrezione. Questo digiuno non è un elemento secondario del Triduo pasquale. Perciò, la Chiesa raccomanda che sia praticato anche durante tutto il sabato santo.