Papa Francesco: “Armida Barelli non ha ceduto alla bulimia dell’attivismo”
di Sua Santità Papa Francesco*
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IL SOMMO PONTEFICE: “L’ELABORAZIONE DEL SAPERE NON DEVE CEDERE ALL’ASTRAZIONE MA DEVE MISURARSI COSTANTEMENTE CON LA REALTÀ AVENDO SEMPRE A CUORE LA VERITÀ, IL BENE COMUNE E LA CARITÀ”
Armida Barelli è stata una donna che può essere considerata tra i principali protagonisti di quel cammino provvidenziale che è la storia dell’Azione Cattolica. «La Chiesa – ho detto rivolgendomi al Forum Internazionale di AC e ricordando la figura di un “sognatore profondo” come il cardinal Pironio – può testimoniare che l’Azione Cattolica ha aperto nuove prospettive nel campo della responsabilità del laico nell’Evangelizzazione. Molti evangelizzati e formati dall’Azione Cattolica hanno messo verità, profondità e Vangelo in ambiti civili, spesso vietati alla fede. I santi e i beati laici dell’Azione Cattolica sono una ricchezza per la Chiesa. Quelli che sono stati “i santi della porta accanto” di tante comunità» (9 novembre 2021).
Armida Barelli, come ben emerge dal presente volume di Ernesto Preziosi, ha vissuto la sua vocazione, passo dopo passo, avviandosi sulla strada che l’ha condotta ad animare un grande movimento di donne, portandole a vivere in pienezza la propria vocazione e a sentirsi membra vive della Chiesa e ad annunciare il Vangelo. L’azione di Armida si è dispiegata per oltre quarant’anni nella organizzazione del movimento cattolico femminile. Fondatrice di fatto della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, il suo impegno è risultato decisivo anche per il sorgere di altre opere: anzitutto la nascita e lo sviluppo dell’Università Cattolica, poi l’Istituto secolare delle Missionarie della Regalità, infine l’Opera della Regalità volta alla formazione liturgica popolare. Come cofondatrice coinvolse le diocesi nel sostegno all’Ateneo dei cattolici italiani, tessendo una rete popolare di amicizia intorno all’Università, un’opera originale che ha contribuito a far sì che l’elaborazione del sapere non corresse il rischio dell’astrazione ma si misurasse «costantemente con la realtà avendo sempre a cuore la verità, il bene comune e la carità» (Papa Francesco, «Prefazione» al volume III della Storia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Magistero, VeP, Milano 2021).
La sua vicenda esistenziale, ecclesiale e associativa, particolarmente intensa, presenta aspetti per certi versi unici: una radicale scelta di fede vissuta dentro la modernità del Novecento, insieme a un profondo rapporto con la Chiesa fatto di corresponsabilità e di obbedienza. Va ricordato in particolare il rapporto con i tre pontefici che si sono succeduti durante la sua stagione di responsabilità: Benedetto XV, che le affida il primo mandato, Pio XI, che per lunghi anni ne sostiene personalmente lo sforzo organizzativo, e Pio XII, che le conferma fiducia nei drammatici anni della guerra e della ricostruzione. Nella sua esperienza di apostolato ha una centralità decisiva la figura di san Francesco, che la conduce a vivere la vita e l’impegno come radicale risposta vocazionale; a questo si unisce la rinnovata devozione al Sacro Cuore, «nel quale l’amore di Dio s’è fatto incontro all’intera umanità» e che alimenta la fiducia in Dio in tutte le situazioni e prove dell’esistenza.
Con la sua opera ha contribuito in maniera decisiva alla promozione delle giovani donne cristiane nella prima metà del Novecento, al processo di integrazione tra Nord e Sud, estendendo la sua azione anche in campo internazionale. Un lavoro che ha saputo coniugare fiducia in Dio e concreta efficienza organizzativa, fedeltà non prona ma “in piedi” alla Chiesa e ai suoi pastori, frutto della consapevolezza del contributo delle donne laiche nella Chiesa e della determinata convinzione circa la funzione decisiva dell’associazionismo organizzato, strutturato sul piano nazionale e articolato a livello locale. Nel suo originale percorso vocazionale – che fin dalla giovinezza la condusse a una scelta adulta di vita laicale, dedicata all’apostolato – giocano un ruolo rilevante alcuni sacerdoti e religiosi tra cui il gesuita padre Mattiussi. Decisiva poi è la figura di padre Agostino Gemelli, con il quale Armida sviluppa un ininterrotto rapporto di comunione spirituale e di collaborazione operativa, che dura fino alla morte.
Papa Benedetto XV le dice: «La sua missione è l’Italia», e lei – consapevole dei suoi limiti – si mette in viaggio per fondare la Gioventù Femminile nelle diocesi italiane e percorre più volte il Paese in anni in cui i trasporti erano scarsi e non era facile per una giovane donna viaggiare da sola con orari impossibili, spesso notturni, tanto da farla sentire come “una zingara del buon Dio”. Incontra sacerdoti e vescovi, religiosi e soprattutto migliaia di giovani, invitandole a mettersi in gioco come donne, cittadine e cristiane. Tra esse ricordo volentieri la nonna Rosa, che Armida conobbe nel giugno 1924, quando – in visita ad Asti – intervenne al Convegno dell’Unione Femminile, di cui nonna Rosa era dirigente diocesana. Condivise l’esperienza dei discepoli che «“partirono” prontamente “e predicarono dappertutto”» nella consapevolezza che la missione era sostenuta dalla presenza di Dio perché, come dice l’apostolo, «la nostra capacità viene da Dio» (2Cor 3,5). Infatti ricordiamoci che la storia «è guidata dall’amore del Signore e noi ne siamo co-protagonisti» (Papa Francesco, Ai membri del Consiglio Nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, 30 aprile 2021).
La sua vita è fatta di ascolto e accoglienza del Vangelo, divenendo testimone di «un legame tra ciò che si ascolta e ciò che si vive», sintesi «tra Parola e vita» che «rende la fede un’esperienza incarnata» (Ibidem) attraverso percorsi formativi senza mai cedere alla bulimia dell’attivismo. Infatti «i programmi, gli organigrammi servono, ma come punto di partenza, come ispirazione; quello che porta avanti il Regno di Dio è la docilità allo Spirito, è lo Spirito, la nostra docilità e la presenza del Signore. La libertà del Vangelo» (Ibidem).
Una donna che ha fatto della laicità «un antidoto all’autoreferenzialità», caratteristica che permette di camminare insieme per incontrare le persone nella particolare condizione che vivono. Nell’esperienza di Armida Barelli vi è una grande apertura al mondo, ai legami internazionali tra associazioni di giovani donne che, proprio durante il pontificato di Pio XI, andavano diffondendosi in tanti Paesi. Questa sua apertura si è espressa anche nella passione missionaria concretizzata con il sostegno suo e di tutta la Gioventù Femminile a una missione in Cina, con l’aiuto dato alla fondazione di un Istituto religioso, fatto solo di suore cinesi, dedicato a Benedetto XV, il pontefice che, con la lettera apostolica Maximum Illud (1919), diede una impostazione innovativa dello spirito missionario.
La sua esperienza personale segna un passaggio decisivo nella visione del laicato: non più una condizione di minorità, ma la scoperta di come quel vissuto laicale, all’interno del popolo di Dio, sia la strada per vivere la santità. In questo senso, l’esperienza di fede e di impegno ecclesiale della Barelli e il progetto formativo da lei promosso in Azione Cattolica, anticipano la visione dell’universale chiamata alla santità indicata dal Concilio Vaticano II. Con la sua dedizione formativa ha motivato migliaia di donne a spendersi in una esigente missione con le nuove generazioni, anticipando quell’esigenza, oggi sotto gli occhi di tutti, che ho indicato come Patto Educativo globale.
Accanto alla dimensione biografica che l’Autore ha costruita dando spesso voce alla protagonista, il presente volume offre un’approfondita ricerca sull’ambiente associativo e universitario vissuto proprio da Armida Barelli. In anni segnati dalle tensioni sociali e politiche del primo dopoguerra e, successivamente, dall’avvento della dittatura fascista con le derive nazionalistiche e razziste, Armida Barelli si impegna a fondo per formare una mentalità religiosa tra le giovani donne, per renderle capaci di inserirsi attivamente nella società e misurarsi con le novità del tempo con autonomia di giudizio e di comportamento. Attraverso le opere in cui si è impegnata, da lei vissute in stretta connessione tra loro, favorisce la crescita di una cultura “di popolo”, contribuendo in modo determinante al radicamento spirituale di tante giovani donne e alla loro emancipazione. Su questa base, dopo la guerra mondiale, fonda la partecipazione consapevole delle donne alla vita sociale e politica, dando un contributo determinante alla costruzione della democrazia in Italia.
La Chiesa ora la indica come modello di donna che nella propria umanità, con l’intelligenza e i doni che Dio le ha donato, ha saputo testimoniare l’amore di Dio. Un amore che diviene passione per gli uomini e le donne del nostro tempo perché possano fare e far fare esperienza di Chiesa come comunità accogliente, impegnata e gioiosa.
* Prefazione al libro di Ernesto Preziosi, “Armida Barelli, La zingara del buon Dio”
Edizioni San Paolo 2022, pp. 528, euro 25