Il PD e il “pifferaio di Putin” che non deve parlare dalle reti del servizio pubblico
di Dalila di Dio
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IL “CUSTODE DELLA LIBERTÀ” DI STAMPA ANDREA ROMANO (PD) E LA PRESENZA (NEGATA) DEL PROF. ALESSANDRO ORSINI…
Una cosa è certa: se Alessandro Orsini si fosse presentato in prima serata su Rai Tre sostenendo che Volodymyr Zelensky è un grande statista, che bisogna sanzionare la Russia senza soluzione di continuità e inviare quante più armi possibili all’Ucraina, a nessuno sarebbe importato di lui, della sua partecipazione a qualsivoglia programma, del compenso percepito per presenziare a Cartabianca.
Il problema non è la competenza di Orsini, né che Orsini sia titolato a parlare di geopolitica né, tantomeno, i duemila euro percepiti per partecipare a una puntata del programma di Bianca Berlinguer.
In discussione è ciò che Orsini pensa del conflitto tra Russia e Ucraina, le sue idee e il fatto che gli possa essere consentito di esprimerle pubblicamente.
È in discussione, in buona sostanza, la libertà di Orsini di manifestare liberamente il proprio pensiero: quella cosuccia sancita dall’art. 21 della Costituzione, brandito nelle ultime ore dall’intellighenzia piddina tutta, in difesa dell’amico Massimo Giannini destinatario – udite udite! – di un esposto alla Procura della Repubblica da parte dell’ambasciatore russo in Italia, stranamente risentito per la prima pagina del quotidiano La Stampa, che, qualche giorno fa, titolava: “Guerra Ucraina-Russia: se uccidere Putin è l’unica via d’uscita”.
Il suddetto esposto attenterebbe alla libertà di stampa, sarebbe un attacco inaccettabile alla libertà di informazione, e, per questo, nel prendere le difese del quotidiano, il Partito Democratico ha fatto sapere che “tutta la comunità democratica gli è accanto dopo gli attacchi e le intimidazioni dell’ambasciatore russo”.
Bene, anzi benissimo: sinceri democratici in difesa della libertà di stampa, della libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero, dell’art. 21 della Costituzione.
Tutto bello se non fosse che appena 48 ore prima – quarantotto ore prima – l’intera corazzata del PD si era scagliata con tutta la veemenza possibile contro Alessandro Orsini – “professore filo-Putin” (cit. La Stampa) – reo di aver sollevato dubbi sulle posizioni assunte dall’Italia – in ossequio ai desiderata di UE e NATO – sul conflitto in corso: il problema del PD, però, è che Orsini è uno di loro.
«Sono cresciuto in CGIL, ero iscritto all’UDU, mi sento un uomo di sinistra schifato» ha risposto qualche giorno fa a Corrado Formigli che lo interrogava circa la sua collocazione politica.
Così, nell’impossibilità di appiccicargli l’etichetta di pericoloso fascista e aspirante sovvertitore dell’ordine democratico, come usano fare, di routine, per neutralizzare l’avversario politico, Andrea Romano e i suoi sono dovuti ricorrere alle maniere forti: il sociologo della LUISS sarebbe un “pifferaio di Putin” a cui deve essere impedito di parlare dalle reti del servizio pubblico.
Detto, fatto. Nel volgere di qualche ora, in ossequio al dettame dei sinceri democratici, «la direzione di Rai 3, d’intesa con l’Amministratore Delegato della Rai, ha ritenuto opportuno non dar seguito al contratto originato su iniziativa del programma Cartabianca che prevedeva un compenso per la presenza del professor Alessandro Orsini nella trasmissione».
Niente di nuovo sotto il sole: d’altronde, gli odierni paladini della libertà di stampa si sono sempre distinti per la loro coerenza.
Andrea Romano, in particolare, sembra essere un vero sacerdote e custode dell’art. 21 della Costituzione: fu lui, appena un anno fa, a sentenziare «quelli che lavorano contro i vaccini dovranno essere zittiti, non bisognerà nemmeno dargli diritto di parola da nessuna parte, stavolta non scherziamo».
Andrea Romano sembra avere particolarmente a cuore la libertà di stampa: negli ultimi mesi ha presentato quesiti alla Commissione di Vigilanza RAI sul TGR Abruzzo – lamentando che «il Presidente della Regione Abruzzo, come esponente politico di Fratelli D’Italia, gode di una sovraesposizione mediatica, certamente superiore alla consistenza della forza politica a cui appartiene» e chiedendo «come i vertici Rai intendano agire per ripristinare quanto prima l’equilibrio dell’informazione nel TG Rai dell’Abruzzo e il rispetto del pluralismo delle opinioni» – contro la trasmissione Anni 20 – rea di avere mandato «in onda un servizio firmato da Antonio Rapisarda gravemente distorsivo della realtà dei fatti; all’interno del servizio sono state rilanciate fake news di matrice anti europeista come quella secondo la quale l’Europa ci chiederebbe di “mangiare da schifo” con relativo riferimento a “tarme essiccate a colazione” e “biscotti alla farina di vermi“, sulla campagna vaccinale europea e “responsabile” delle chiusure e sul pacchetto europeo di aiuti che comporterebbe “debiti, riforme e nuove tasse” reclamando provvedimenti “per stigmatizzare la suddetta scelta editoriale e scongiurarne il ripetersi“», nonché contro la trasmissione Report sulla vicenda Renzi-Mancini-Carrai.
Romano si è poi preoccupato del rispetto del segreto investigativo e del principio di formazione della prova nel dibattimento (sic!) nel quesito contro la trasmissione “Presa Diretta” sul processo “Rinascita Scott”, chiedendo alla RAI di intervenire per tutelare il principio della presunzione di innocenza (ovviamente, il fatto che nell’inchiesta fossero coinvolti esponenti del PD è del tutto irrilevante. Ai sinceri democratici il principio di non colpevolezza sta a cuore sempre, però se ne ricordano solo quando colpisce loro).
Nelle mire dell’esponente del PD anche il corrispondente della RAI Marc Innaro, accusato di “rilanciare la propaganda pro Putin”, semplicemente per aver raccontato ciò che è evidente: l’espansione della NATO verso est negli ultimi 30 anni.
Ma è contro Report che il più sincero dei democratici ha dato prova della sua totale dedizione al rispetto dell’art. 21 della Costituzione, pietra angolare della sua attività politica: lo scorso 1 novembre la trasmissione si sarebbe resa colpevole aver diffuso «senza alcun contraddittorio dubbi sull’efficacia dei vaccini, perplessità sulla durata della copertura degli anticorpi, affermazioni del tutto campate in aria sulla “larga frequenza di effetti collaterali” dopo la somministrazione del vaccino anti Covid, speculazioni dietrologiche sul “grande business della terza dose” detenuto da “multinazionali del farmaco” concentrate solo a “accumulare enormi profitti con la perdita di efficacia della terza dose“, dubbi sulla efficacia del Green Pass e della sua eventuale estensione». Davvero inaccettabile!
Pertanto, in quella occasione, il custode della libertà di stampa Andrea Romano ritenne doveroso chiedere alla Commissione di Vigilanza “quali iniziative intendesse mettere in campo per ristabilire un livello corretto e veritiero di informazione sui vaccini anti Covid”. Insomma, al bando i pericolosi esposti alla Procura della Repubblica.
Nessuno tocchi “La Stampa”, quella di Torino. Per tutta l’altra stampa, quella con la s minuscola, c’è il PD.
Meglio un morto in casa che Romano e compagni dietro la porta!