Il digiuno nelle religioni orientali: il Buddismo e l’Induismo
di Giuliva di Berardino
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NON ESISTE UNA RELIGIONE CHE NON RICONOSCA E NON PREVEDA UNA QUALCHE FORMA DI DIGIUNO
Non esiste una religione che non riconosca e non preveda una qualche forma di digiuno. E se cominciamo a chiederci per quale motivo, una delle risposte si trova proprio nella concretezza della vita e che tutti possiamo comprendere: non si può sperimentare cosa sia l’abbondanza senza aver sperimentato e vissuto la scarsità. Questa logica della vita diventa anche esperienza spirituale e religiosa, perché non può esistere il digiuno senza che segua a questo un pasto, una festa.
Per tutte le tradizioni religiose, il digiuno assume un ruolo di disciplina, esercizio, legame comunitario, preghiera, concentrazione, atto votivo. Il Buddhismo ha reso il digiuno un vero e proprio esercizio dello spirito, l’Induismo l’ha reso uno strumento necessario per vivere la contemplazione.
Per gli indù l’obiettivo della vita è l’autorealizzazione o il raggiungimento della consapevolezza dell’assoluto. Il digiuno controlla la passione, argina le emozioni e i sensi, perciò, secondo le scritture indù, il digiuno è un grande strumento di autodisciplina che conduce l’uomo ad accordarsi con l’assoluto. Secondo la filosofia indù, il cibo significa gratificazione del corpo, per questo non gratificare i sensi vuol dire elevarli alla contemplazione perché è attraverso il controllo del corpo fisico, delle emozioni e della mente, che si può arrivare all’obiettivo finale della conoscenza e alla liberazione dal ciclo della rinascita, in unione col trascendente.
Il Buddhismo considera come uno dei fondamenti della meditazione il rapporto con il corpo e l’ascolto di tutte le relazioni che il corpo vive. Il digiuno è uno dei modi più importanti per esercitare il controllo sul proprio corpo, in modo da ottenere un livello più alto di spiritualità, restando tuttavia una fase iniziale di autodisciplina. Il Buddha, parlando del Nirvana come uno stato di pace perfetta della mente, libera dal desiderio, dalla rabbia e da altre condizioni che la imprigionano, afferma che la vera radice del male è il desiderio. Ora, poiché il cibo è il desiderio più basilare dell’uomo, è importante rinunciare a questo desiderio primario per ottenere la libertà dalle tentazioni mondane.