Non esiste una religione che non riconosca qualche forma di digiuno

Non esiste una religione che non riconosca qualche forma di digiuno

di Giuliva di Berardino

LA PRATICA DEL DIGIUNO NELLE RELIGIONI


In questo tempo di Quaresima che stiamo vivendo siamo chiamati a esercitare il nostro spirito alla penitenza che si concretizza nelle antiche pratiche già segnalate nella Bibbia che sono la preghiera, il digiuno e l’elemosina.

Queste pratiche penitenziali offrono alla persona la possibilità di riflettere sulla propria vita, ma anche di migliorarsi. La prima cosa che bisogna dire è che la persona che pratica penitenza non è una persona triste, ma è semplicemente qualcuno che cerca di prendersi cura di sé, a partire dall’aspetto più interiore e profondo, spirituale, della propria persona. Pertanto, nonostante la penitenza abbia un risvolto nella vita biologica, come tutte le pratiche spirituali, quando ci mettiamo in relazione col nostro corpo anche in modo spirituale, non è possibile evitare la penitenza, perché essa è disciplina e quindi anche educazione che tende a realizzare, nel tempo, una bellezza interiore nella persona che la pratica.

Fare penitenza, quindi, non ci avvilisce, non ci abbassa, anzi! ci migliora e ci eleva, perché ci pone nel mondo come persone significative che sanno essere generose, sanno accogliere le diversità e sanno mettersi in relazione con la natura e con gli altri esseri umani, oltre che con Dio.

Chiunque creda in un Dio pratica, di fatto, una certa disciplina, perché cerca una via di sapienza che lo possa mettere in una giusta ed equilibrata relazione con la natura, col cibo, con le cose e con le persone. Praticare le norme della penitenza è un modo per imparare sempre meglio a vivere bene ogni giorno e a costruire la pace che Dio desidera per tutti i popoli della terra.

Ci sono pratiche di penitenza che possono mettere infatti i diversi popoli in dialogo tra loro, perché si identificano come pratiche comuni. Soprattutto la pratica del digiuno, le cui origini risalgono davvero alle origini dell’umanità, quando per primo l’uomo ha sperimentato la carestia e l’abbondanza, vissuta sempre in riferimento alle divinità di riferimento.

Non esiste una religione che non riconosca e non preveda una qualche forma di digiuno. E se cominciamo a chiederci per quale motivo, una delle risposte si trova proprio nella concretezza della vita e che tutti possiamo comprendere: non si può sperimentare cosa sia l’abbondanza senza aver sperimentato e vissuto la scarsità. Questa logica della vita diventa anche esperienza spirituale e religiosa, perché non può esistere il digiuno senza che segua a questo un pasto, una festa.

Per questo tutte le tradizioni religiose custodiscono questo “ritmo esistenziale” della vita, questa verità dell’esperienza umana che si concretizza in modi diversi: L’Islam, ad esempio ha fatto del digiuno un pilastro di fede, Ebraismo e Cristianesimo ne hanno fatto una forma di espiazione dai peccati o dagli eccessivi egoismi che portano a stare male, il Buddhismo ha reso il digiuno un vero e proprio esercizio dello spirito, l’Induismo l’ha reso uno strumento necessario per vivere la contemplazione.

Per tutte le tradizioni religiose, il digiuno assume un ruolo di disciplina, esercizio, legame comunitario, preghiera, concentrazione, atto votivo.

Nei prossimi giorni vedremo la pratica del digiuno nelle varie religioni.

 

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