Opportunità e rischi della globalizzazione secondo la Dottrina sociale della Chiesa

Opportunità e rischi della globalizzazione secondo la Dottrina sociale della Chiesa

di don Gian Maria Comolli*

SICCOME LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA OFFRE ELEMENTI INDISPENSABILI PER OGNI EFFICACE PROGETTO DI RIFORMA DELLA SOCIETÀ, NE ESAMINIAMO LE POSSIBILI RICADUTE SULL’ATTUALE SISTEMA ECONOMICO-FINANZIARIO “GLOBALIZZATO”

Nel Compendio della Dottrina sociale della Chiesa (2 aprile 2004) il fenomeno della globalizzazione è definito come «il processo di crescente integrazione delle economie nazionali, sul piano del commercio di beni e servizi e delle transazioni finanziarie» (n. 361).

Evento non nuovo, poiché i rapporti e anche i vincoli economici e finanziari tra attori operanti in Paesi diversi esistono da molto tempo ma, negli ultimi decenni, il ruolo dei mercati finanziari in seguito alla liberalizzazione degli scambi e alla circolazione dei capitali si è enormemente ampliato, consentendo la transizione di ingenti somme di capitali, da una parte all’altra del pianeta, in tempi brevi. Ciò ha rafforzato il rapporto tra globalizzazione economico-finanziaria e progresso tecnologico, ma ha pure accresciuto la disuguaglianza tra Paesi avanzati e Paesi in via di sviluppo anche a livello sociale e di sapere, essendo diverse le possibilità di accesso.

La globalizzazione, se ben orientata, potrebbe costituire un importante motore per il commercio in grado di contribuire alla crescita delle varie economie. Ma, il commercio internazionale, a questo fine, andrebbe messo al riparo da alcune distorsioni, cominciando dalle politiche protezionistiche per giungere allo sfruttamento delle materie prime provenienti dai Paesi poveri. Di conseguenza, alcuni criteri etici fondamentali, che potremmo riassumere con il termine di “solidarietà”, dovrebbero orientare le relazioni economiche internazionali. Ne elenchiamo qui di seguito alcuni tratti dal n. 364 del Compendio DSC:

  • il perseguimento del bene comune e la destinazione universale dei beni;
  • l’equità nelle relazioni commerciali;
  • l’attenzione ai diritti e ai bisogni dei più poveri nelle politiche commerciali;
  • la cooperazione internazionale.

Il Compendio, comunque, ai nn. 365-367 inserisce anche altri elementi nella visione della solidarietà. Ci riferiamo a:

  • difesa dei diritti umani,
  • salvaguardia delle specificità locali e delle diversità culturali per non correre il rischio di un ritorno a un intollerabile colonialismo;
  • alleanza fra le generazioni.

La globalizzazione, come accennato, ha notevolmente influenzato i mercati finanziari, fatto senz’altro positivo poiché ha originato una notevole crescita economica e, la più intensa mobilità dei capitali, ha permesso alle attività produttive di disporre di maggiori risorse. Ma, pure questo ambito, a volte, staccandosi dalla ricchezza effettiva e dai cicli produttivi con transazioni che hanno abbondantemente superato in volume quelle reali, ha provocato una pericolosa espansione monetaria e creditizia che ha prodotto, a partire dagli anni 2000, crisi finanziarie e economiche globali con conseguenti fallimenti di banche e di imprese, danneggiando duramente soprattutto le famiglie.

Ciò è stato possibile non esistendo a livello internazionale adeguate regolamentazioni. Secondo Muhammad Yunus, economista e banchiere bengalese, ideatore e realizzatore del microcredito moderno, «il commercio mondiale è come un’autostrada con cento corsie che solca la superficie del globo.  Ma se questa autostrada rimane senza pedaggio, senza semafori, senza limiti di velocità e di ingorgo e perfino senza le linee di separazione fra le corsie, essa verrà rapidamente occupata da tir provenienti dai paesi con le economie più potenti. I veicoli più piccoli, come i camioncini dei contadini o i carretti a buoi e i risciò a piedi del Bangladesh saranno inesorabilmente espulsi» (Un mondo senza povertà, Feltrinelli, Milano 2008, p. 19). Di fronte a questo far west, l’invito del Compendio è di predisporre un quadro normativo che consenta stabilità oltre una retta competizione.

Altro aspetto critico della globalizzazione è quello di aver limitato il potere e l’influenza dei singoli Stati nazionali nella programmazione e nella gestione delle politiche economiche. Questi ultimi sono infatti spesso condizionati da dinamiche economico-finanziarie sovrannazionali, cioè vincolate dalle aspettative dei mercati globali dei capitali e dalle sempre più incalzanti richieste di credibilità provenienti dalle oligarchie che controllano il mondo finanziario. Per far fronte a questa situazione e superare il rischio che sia l’economia a guidare la politica e non viceversa, inglobando in un nuovo monopolio tutta la vita dell’uomo, il potere politico deve estendere la sua azione al di là dei confini nazionali, conseguendo una dimensione operativa almeno “regionale” (nel senso di continentale), per poter indirizzare e avere voce anche nei processi economici, affinché siano sempre supportati dalla morale e dalla giustizia, prevalentemente nei riguardi delle nazioni più deboli. Non possiamo dimenticare che in passato la eterogeneità tra potere politico e potere economico e la compresenza di norme etiche e norme di diritto positivo all’interno del mercato, hanno consentito lo sviluppo delle libertà costituzionali vigenti in vari Paesi. Ebbene, è indispensabile un nuovo equilibrio, tra bene comune e libertà d’impresa, tra indirizzo politico e opportunità economiche.

Come afferma il Compendio, infatti, «uno dei compiti fondamentali degli attori dell’economia internazionale è il raggiungimento di uno sviluppo integrale e solidale per l’umanità, vale a dire, “la promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo”» (n. 373). L’ultima affermazione citata, tratta dall’enciclica Populorum progressio (26 marzo 1967) di san Paolo VI sollecita un’equa distribuzione delle risorse e la convinzione che a livello economico, politico e culturale, tutti i popoli, siano congiunti da un destino comune che deve essere sorretto dalla solidarietà.

Uno sviluppo più umano e solidale, ammonisce sempre il Compendio, gioverà pure ai Paesi ricchi che vivono profonde crisi esistenziali. Le nazioni ricche, in effetti, chiuse in sé stesse, avvertono «una sorta di smarrimento esistenziale, un’incapacità di vivere e di godere rettamente il senso della vita, pur in mezzo all’abbondanza dei beni materiali, un’alienazione e una perdita della propria umanità in molte persone, che si sentono ridotte al ruolo di ingranaggi nel meccanismo della produzione e del consumo e non trovano il modo di affermare la propria dignità di uomini, fatti a immagine e somiglianza di Dio» (n. 374).

A tal fine, quindi, come raccomanda spesso Papa Francesco, appare indispensabile un investimento ed un’opera educativa e culturale che abbracciano soprattutto le fasce più giovani delle varie società (cfr. nn. 375-376).

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* sacerdote ambrosiano, collaboratore dell’Ufficio della Pastorale della Salute dell’arcidiocesi di Milano e segretario della Consulta per la Pastorale della Salute della Regione Lombardia. Cura il blog personale: www.gianmariacomolli.it

 

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