In attesa di una classe politica responsabile e capace chi si prenderà cura di noi?

In attesa di una classe politica responsabile e capace chi si prenderà cura di noi?

di Matteo Impagnatiello

L’EMORRAGIA DI PERSONALE SANITARIO E LA RISOLUZIONE DELLA VII COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

Negli ospedali mancano medici e infermieri. La pandemia da coronavirus ha colpito duramente il Paese, mettendo a nudo le già presenti criticità del Servizio Sanitario Nazionale, stremato da un definanziamento di circa 28 miliardi, sottratti alla sanità pubblica dal 2010 al 2019.

Nonostante la cronica carenza di medici e infermieri, in Italia resta tuttora in vigore il numero programmato per accedere alle facoltà medico-scientifiche. Nel 2019 l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) aveva rilevato che il numero dei medici, sia coloro che lavoravano presso i nosocomi pubblici sia i medici di famiglia, era in calo. Più della metà dei sanitari aveva superato i 55 anni di età, quindi molto vicini al pensionamento. Ancora più grave è la situazione riferita agli infermieri: nel 2019 il loro numero era inferiore alla media dell’Unione europea (5,8 ogni mille abitanti contro gli 8,5 della Ue). Il Covid-19 non ha fatto altro che peggiorare il quadro. Oggi mancano più di 60.000 infermieri: quasi 27.000 al nord, circa 13.000 al centro e 23.500 al sud e nelle isole. Si stima che tra il 2020 e il 2024 andranno in pensione 35.129 medici e 58.339 infermieri, creando un vuoto d’organico di 8299 medici e 10.054 infermieri.

L’undici febbraio scorso, la VII Commissione (Cultura, Scienza e Istruzione) della Camera dei deputati ha adottato una risoluzione in cui – si legge al punto 3 – impegna il Governo “ad adottare iniziative per garantire un incremento congruo, pari o superiore al 10% del valore attuale, del numero delle ammissioni ai corsi di laurea di cui in premessa”.

Il ministro dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, ha dichiarato che il suo ministero interverrà sulle domande somministrate nelle prove d’accesso ai corsi di medicina e chirurgia, che conterranno meno cultura generale e più parte tecnica. Inoltre, il ministro ha specificato che “dal prossimo anno l’accesso programmato per medicina e chirurgia diventa un percorso: ci saranno investimenti per l’orientamento e la preparazione sin dalle superiori e al posto del quizzone ci sarà un test di orientamento e ingresso che potrà essere ripetuto. Continuerà a esserci una data nazionale stabilita dal ministero, ma sarà quella in cui tutti i candidati dovranno inserire a sistema il punteggio migliore conseguito nei test partendo dai quali verrà costruita la graduatoria nazionale”.

Migliore strategia gattopardesca non poteva essere messa in campo.

Intanto, per almeno dieci anni il blocco di nuove assunzioni ha reso impossibile la sostituzione del personale sanitario che cessava il rapporto di lavoro. Questa carenza di personale ha significato – per medici e infermieri rimasti a lavorare negli ospedali – dover gestire un carico di lavoro che ha mal conciliato la vita lavorativa con quella privata. I medici denunciano il mancato ricevimento di incentivi oltre che lo scarso coinvolgimento nei processi decisionali. Sono accresciuti i compiti burocratici e il rischio di denunce e/o aggressioni. Nel 2009 i medici ospedalieri che hanno scelto di licenziarsi sono stati 1849; nel 2019 sono aumentati fino a diventare 3123.

La professione infermieristica sconta una organizzazione del lavoro non ottimale. Accade, spesso, che personale di reparti con proprie specifiche competenze (ciò è avvenuto in particolar modo durante la pandemia, per sopperire al sottorganico diffuso e realizzare in tutta fretta i reparti per il trattamento dei pazienti contagiati dal coronavirus) venga all’improvviso trasferito e smistato in altre sezioni, annullando così l’esperienza acquisita e arrecando disagio al personale interessato.

Non va meglio ai medici ospedalieri che, a maggio del 2021, avevano accumulato più di  cinque milioni di giorni di ferie arretrate e più di dieci milioni di ore di straordinario. Non c’è da meravigliarsi, quindi, per il costante aumento delle dimissioni di personale dalla sanità pubblica.

Per colmare gli importanti vuoti d’organico, la risoluzione sta nell’abolizione del numero chiuso. Affinché non resti una chimera, essa va accompagnata da maggiori risorse da destinare alle università. Tali risorse andranno a coprire i costi per la costruzione di nuove aule, l’implementazione del corpo docente, l’ampliamento delle borse di specializzazione: così da poter ospitare decine di migliaia di studenti desiderosi di prestare, un giorno, il giuramento di Ippocrate.

In attesa di una classe politica responsabile e capace, che intervenga con provvedimenti tesi a sbloccare l’impasse in cui versa la sanità italiana, chi si prenderà cura di noi?

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