Il relativismo si è infiltrato anche fra le file dei cristiani
di Diego Torre
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“DIRITTI” CHE TALI NON SONO CI VENGONO IMPOSTI DALLE ÉLITE POLITICHE OCCIDENTALI E DAI MASS MEDIA ALLINEATI AL POLITICALLY CORRECT
Vivere oggi la carità è più difficile per il divorzio consumatosi fra tale virtù e la verità sull’uomo e su Dio. Rimane così un buonismo sdolcinato e scalcinato, prono ai capricci del singolo e delle masse, che si agita futilmente inseguendo falsi obiettivi mentre svanisce invece ogni spinta trascendente.
Il relativismo si è infiltrato anche fra le file dei cristiani, la cui capacità di operare e, ancor più , incarnare la carità è divenuta a volte confusa e velleitaria. La cultura relativista, che trova giusto e buono soltanto ciò che piace al momento, è difforme dalla legge divina, finisce per scavare abissi di infelicità e predispone alla perdizione eterna. Dobbiamo allora osservare con attenzione il tempo e le condizioni in cui viviamo, la cultura e la mentalità dominante. E farci un’idea, esatta e cristiana, sui fatti, sulle tendenze e sulle ideologie del nostro tempo, attenti all’ammonimento paolino: «Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono» (1 Ts. 5, 21), coscienti della forza del principe di questo mondo e della sua capacità di mimetizzarsi da angelo di luce; e non per criticare acidamente quanto avviene fuori dalla nostra cerchia ristretta, ma per donare a tutti quella luce di verità che prepara alla felicità eterna.
Nell’enciclica Spe salvi (30 novembre 2007) Benedetto XVI analizza la genesi del tempo moderno, da Francesco Bacone (1561-1626) all’illuminismo, dalla Rivoluzione francese (1789) a Karl Marx (1818-1883), ed esamina come la fede-speranza cristiana si siano trasformate; un’enciclica da leggere e approfondire.
Papa Francesco sottolinea la “povertà spirituale dei nostri giorni, che riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi. È quanto il mio Predecessore, il caro e venerato Benedetto XVI, chiama la ‘dittatura del relativismo’, che lascia ognuno come misura di se stesso e mette in pericolo la convivenza tra gli uomini. E così giungo ad una seconda ragione del mio nome. Francesco d’Assisi ci dice: lavorate per edificare la pace! Ma non vi è vera pace senza verità! Non vi può essere pace vera se ciascuno è la misura di se stesso, se ciascuno può rivendicare sempre e solo il proprio diritto, senza curarsi allo stesso tempo del bene degli altri, di tutti, a partire dalla natura che accomuna ogni essere umano su questa terra” (22.3.2013).
Parola ancor più profetiche, quando violenza privata e guerra irrompono ai nostri orizzonti! La menzogna sulla persona, che la vorrebbe svincolata da ogni verità preesistente, da Dio che l’ha creata fino alla stessa natura umana, è la grande sfida odierna alla nostra fede. Ciò ha potuto affermarsi per una avanzata crescente della mentalità consumista, per la quale l’uomo vale per la sua capacità di fruire dei beni ed è stimato non per quello che è, ma per quello che ha. Oggi vogliono imporci una visione dell’uomo che non tenga alcunché come definitivo e che viva in balia dei suoi bisogni elementari e dei suoi capricci. E’ una mentalità, una moda, una cultura che vanno sempre più affermandosi e che ci fanno quasi rimpiangere il vecchio ateismo razionalista, che andava in cerca di ragioni per negare l’esistenza di Dio.
L’uomo della postmodernità neanche si pone il problema! E’ egli stesso il suo dio, che definisce ciò che è bene e ciò che è male, momento per momento. E quindi, se la vita è causa di sofferenza, sopprimiamola (aborto, eutanasia). Se la famiglia è scomoda sciogliamola (divorzio). Se vogliamo dei figli facciamoli in laboratorio (fecondazione artificiale, sopprimendo quelli in sovrappiù). Se vogliamo cambiare sesso o appartenere a tanti sessi che c’è di strano (anzi colpiamo per via giudiziaria che dissente!)? Tutto ciò viene chiamato “diritto” ed imposto dalle élite politiche occidentali e dai mass media allineati al politically correct.
La libertà diventa così non più lo strumento per ricercare la verità sull’uomo, iscritta in lui dal Creatore, ma lo strumento di ogni fisima e stravaganza, come se esse siano il bisogno più profondo ed autentico. Ma non è così! E lo dimostra l’infelicità crescente della post modernità, soprattutto delle giovani generazioni, che, sature di birra e spinelli, combattono la noia con la violenza (sessuale, o negli stadi o nella guerra fra bande) e non trovano una ragione per vivere con impegno e prospettiva.
In queste condizioni è difficile divenire operatore di carità; ma essa rimane un’opzione assolutamente impossibile se svincolata dalla verità. Anzi: la prima e più grande carità rimane l’annuncio della verità; nei modi, nei tempi e nella gradualità che la prudenza detta. La verità rende liberi.