In Canada prosegue la “protesta del sorriso”, ignorata dai media italiani
di Pietro Licciardi
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GRAZIE A UOMINI E DONNE DI BUONA VOLONTA’ IL CASTELLO DI MENZOGNE E OPPRESSIONE DEI GOVERNI STA VACILLANDO. ANCHE PER NOI ITALIANI E’ ARRIVATO IL MOMENTO DI RIPRENDERE IN MANO LE NOSTRE VITE
In Canada prosegue la protesta dei camionisti contro le ormai ingiustificate restrizioni introdotte per contrastare la pandemia da Covid-19 che hanno causato, là come ovunque, pesanti conseguenze sul piano economico e sociale nonché la sospensione dei diritti civili e costituzionali in conseguenza di una gestione “alla cinese” dell’emergenza adottata da governi per lo più di sinistra che oltretutto non ha impedito al virus di fare il suo corso.
Anche in Canada la gente non ne può più ed è scesa finalmente e massicciamente in piazza. Non solo gli oltre 50mila camion del Convoy freedom hanno messo sotto assedio la capitale Ottawa ma già dai primi momenti della protesta i camionisti hanno trovato la solidarietà dei canadesi e adesso anche degli agricoltori, che si sono riversati in massa lungo le strade per salutare e incoraggiare questi lavoratori, che chiedono soprattutto di poter ricominciare a guadagnare per sostenere le famiglie già economicamente provate senza assurde restrizioni e soprattutto senza essere controllati mediante il green pass, sorta di passaporto interno che i governi stanno sempre più usando – come avviene appunto nell’ultimo impero comunista e totalitario rimasto: la Cina – per controllare gli spostamenti e le attività delle persone.
A dire il vero a questi motivi negli ultimi giorni se ne è aggiunto un altro: la richiesta delle dimissioni del premier James Trudeau, il quale anziché incontrare i camionisti e ascoltare le loro richieste ha fin dal principio bollato i pacifici manifestanti con epiteti che ormai in tutto l’Occidente fanno parte del vocabolario della sinistra: fascisti, misogini, razzisti, violenti, suprematisti bianchi, ecc. Accuse false, ridicole e infondate, come stanno mostrando le televisioni libere americane e canadesi che diffondono le immagini di un popolo in festa, che sostiene con cibo e benzina per alimentare il riscaldamento dei camion i manifestanti accampati da giorni all’addiaccio con temperature di parecchi gradi sotto lo zero.
Nelle aree di sosta e lungo le strade cittadine a Ottawa, come a Toronto e Montreal uomini, donne, intere famiglie agitano bandiere nazionali e cartelli, cantano, giocano con i bambini in quella che più che una protesta sembra essere una festa nazionale; la festa di una unità ritrovata tra persone fino a ieri rinchiuse, tenute lontane e separate da un potere che sembra aver colto l’occasione della pandemia per portare avanti ancora più velocemente i propri piani di ingegneria sociale ed economica.
Coinvolti nella protesta anche parecchi cittadini appartenenti ad altre etnie, come gli indiani sik, numerosi in Canada, che intervistati da una Tv commerciale di Nuova Delhi hanno detto di sostenere in pieno le ragioni dei camionisti, diventate ormai quelle di una intera nazione. O come le due signore a suo tempo fuggite dal blocco comunista, intervistate dall’americana Fox News davanti al loro furgoncino pieno di pane, dolci tipici e salcicce della loro terra natia pronte per la distribuzione. «Io sono venuta in Canada per vivere libera», ha detto una di loro, «ma sono due anni ci hanno tolto la libertà. Ci è stato perfino impedito di andare in chiesa. In Polonia c’era il comunismo ma potevamo entrare liberamente in chiesa». Assieme a loro nativi delle tribù canadesi, della Groenlandia e delle altre numerose minoranze immigrate.
Perfino parecchi poliziotti stanno collaborando con i manifestanti, anche se a Ottawa, il sindaco Jim Watson ha mandato le forze dell’ordine in assetto di guerra a sgomberare le aree dove si distribuivano generi di conforto e benzina per il riscaldamento. Ovunque però camionisti, agricoltori e cittadini mantengono la calma e se i media diffondono notizie di scontri e disordini nessuno fino a questo momento ha portato le prove di incidenti significativi avvenuti nel Paese.
In Italia probabilmente la tv e i giornali di regime non riporteranno per intero quello che sta avvenendo in Canada – ma sembra che anche negli Stati Uniti sia partita una analoga mobilitazione per una marcia che dalla California dovrebbe raggiungere Washinghton mentre pure in Nuova Zelanda i camionisti si sono messi in strada – come del resto stanno facendo le reti americane e canadesi allineate con i rispettivi regimi, perché evidentemente si vuole nascondere a tutti i costi il fatto che il diavolo fa le pentole ma spesso dimentica i coperchi.
La pandemia, come hanno fatto intendere chiaramente i padroni del vapore globalista, i quali tirano i fili dei governi di sinistra non soltanto in Usa, Europa e appunto Canada, è stata una «grande opportunità», come ha esplicitamente ammesso lo scorso anno a Davos Klaus Schwab fondatore e attuale direttore esecutivo del Forum economico mondiale, per accelerare i loro piani per il Grande reset e il Green deal, ma si sta dimostrando anche l’occasione per un gran numero di persone di uscire dalla propria ignavia e ritrovare una solidarietà che fino a ieri faceva più parte di certa sinistra retorica che della realtà.
Qualcosa in tal senso si è visto anche in Italia, dove migliaia di persone nelle varie città sono scese in piazza a manifestare o come più recentemente si è visto a Torino, in cui il 5 febbraio ciclisti e cittadini si sono incontrati in piazza Vittorio Veneto per un aperitivo “no green pass”.
Come ha ben descritto la filosofa Hannah Arendt nel suo libro La banalità del male il nazionalsocialismo – ma il discorso vale per tutti i totalitarismi – ha potuto compiere i suoi crimini perché la maggior parte delle persone non ha voluto assumersi la responsabilità di reagire. I crimini nazisti, ha notato Harendt, non sono stati dovuti tanto alla crudeltà dei loro carnefici, ma al fatto che i protagonisti delle atrocità verso gli ebrei si fossero in qualche modo “privati” di pensiero, pienamente inseriti all’interno del meccanismo approntato dallo Stato. I nazisti non erano altro che banali individui inseriti all’interno di un meccanismo infernale. Il che comporta una pericolosa considerazione: chiunque, inserito nello stesso meccanismo, potrebbe agire nello stesso modo. Infatti un buon padre di famiglia, un burocrate, o in generale una persona normale e banale può ritrovarsi a fare del male se inserito in un meccanismo politico–sociale o in un apparato poliziesco che lo spingono ad agire senza pensare.
Pensiamo adesso a quanti – imbambolati da una informazione a senso unico e di regime – hanno augurato ai non vaccinati di morire tra atroci sofferenze, intubati nei reparti di terapia intensiva; a quanti hanno chiesto di non curare i non vaccinati o di far pagare loro di tasca propria le cure mediche; a quelli che al supermercato apostrofavano in malo modo coloro che non avevano la museruola calzata fin sopra il naso. Oppure alla circolare interna all’ospedale Galeazzi di Milano a firma di Fabrizio Pregliasco che negava gli interventi chirurgici ai non vaccinati.
E adesso pensiamo a come vogliamo vivere: se ancora ingabbiati, controllati, ricattati da un governo che continua ad alimentare la paura di un virus che ormai – ci dicono le ricerche medico-scientifiche internazionali – ha la stessa pericolosità di una comune influenza stagionale; oppure vogliamo riprenderci in mano le nostre vite come stanno facendo gli americani e i canadesi, e come hanno già fatto Inglesi, irlandesi finlandesi, danesi, norvegesi…?