La Rinascita Italiana parte da politiche per la natalità e arriva… alla riforma della giustizia!
di Giuseppe Brienza
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«ORMAI I BAMBINI ARRIVANO SOLO A LAMPEDUSA» TITOLA IL NUOVO NUMERO DELLA RIVISTA “IL BORGHESE”, DIRETTA DA GIUSEPPE SANZOTTA. IN EFFETTI AL CROLLO DELLE NASCITE IN ITALIA SI CONTRAPPONGONO I CONTINUI SBARCHI CHE, DALL’ISOLA SICILIANA, SEMBRANO DAR LUOGO AL PERICOLO PAVENTATO DA MOLTI DELLA “SOSTITUZIONE ETNICA” DEL NOSTRO POPOLO
Una cicogna che porta due piccoli neonati di colore sulla copertina dell’ultimo numero de “Il Borghese”. Sulla vignetta, disegnata da Alessio Di Mauro, campeggia la scritta: “Crollo delle nascite in Italia. Ormai i bambini arrivano solo a Lampedusa”. Ci si riferisce al fenomeno dei continui sbarchi che approdano nell’isola siciliana e, letti insieme all’inverno demografico italiano, rischiano davvero in pochi decenni di dar vita all’odiato fenomeno della sostituzione etnica.
L’editoriale di apertura del numero di febbraio della rivista mensile di cultura e politica edita da Pagine, invece, commenta il 30° anniversario di Tangentopoli e s’intitola ottimisticamente: “Rinascita Italiana”.
Nel suo fondo il direttore Giuseppe Sanzotta ricorda come dai processi scaturiti dalla “rivoluzione politico-giudiziaria” di Mani Pulite, dai quali è uscito del tutto indenne il solo Movimento Sociale Italiano (Msi), scontiamo ancora gravi conseguenze sul rapporto tra politica e impresa. Ai problemi della giustizia, che sono ancora insoluti dopo il periodo traumatico 1992-94, oltretutto, si aggiunge la sfiducia e il disincanto dei cittadini nei confronti del funzionamento della democrazia e di ogni autorità politica o istituzionale.
«Dopo Tangentopoli – scrive Sanzotta – la politica italiana ha stentato a riprendersi il ruolo che le spetta in una democrazia. I partiti si sono trasformati, ma soprattutto si è diffusa nell’opinione pubblica un’idea sbagliata della politica, vista come il male. Si sono affermati movimenti che hanno fatto dell’antipolitica la propria bandiera con quell’uno vale uno, che ha portato al mancato riconoscimento delle competenze. I disastri di questa politica lo vediamo oggi. Basta vedere i danni provocati da politici improvvisati. Stiamo parlando naturalmente dei 5Stelle, non solo, ma di un certo giustizialismo che ha stravolto alcuni principi fondamentali. L’avviso di garanzia è diventato una condanna. Le assoluzioni processuali quasi delle notizie da tenere segrete. La sinistra ha messo le mani sulla magistratura, la vicenda Palamara dovrebbe aprire gli occhi anche a chi ostinatamente ha voluto tenerli chiusi» (p. 3).
Segue l’articolo di Italo Inglese contro l’attuale pericolo che, in generale il diritto di proprietà privata ma, in particolare quello sulla casa, sta correndo a causa del “socialismo post Covid” cui stiamo assistendo sia da parte del Governo di Roma sia dalla Commissione di Bruxelles.
«Gli alfieri del collettivismo – denuncia in proposito il giornalista e scrittore – sono tornati alla carica per comprimere quello che Leone XIII definì “diritto naturale”. Questa tendenza, simile ad altre d’impronta “progressista” che analogamente si prefiggono di distruggere i capisaldi della nostra civiltà, va fortemente contrastata perché, come ha affermato il filosofo Dario Antiseri, “uno Stato, dove non esiste la proprietà privata, è uno Stato in cui sono automaticamente cancellate tutte le libertà fondamentali”. È particolarmente sotto tiro la proprietà immobiliare, già falcidiata da un’elevata pressione fiscale e afflitta dal blocco degli sfratti e dal meccanismo del cosiddetto equo canone che, secondo l’economista Paul Krugman, ha creato distorsioni nel mercato della casa, conflitti, cause in tribunale ed ha probabilmente concorso al degrado del patrimonio abitativo».
L’ennesimo attentato al diritto di proprietà e al risparmio individuale è rappresentato, afferma Inglese, dalla recente delirante proposta di direttiva europea che, «col pretesto della transizione energetica – il grande business, progettato a tavolino, del nostro tempo –, determinerebbe una severa diminuzione del valore del nostro patrimonio immobiliare (domanda retorica: diminuirebbero corrispondentemente anche le rendite catastali?) e addirittura introdurrebbe potenzialmente vincoli all’autonomia privata per compravendite e locazioni» (Crisi della proprietà privata nella società liquida, p. 32).
Al tema dell’imbarbarimento del linguaggio, che rischia di trasformare la nostra società in una incomprensibile Babele, è dedicato l’articolo del filosofo Hervé Cavallera, ordinario di Storia della pedagogia all’Università del Salento, dal titolo “La dissoluzione della consapevolezza” (pp. 55-56). Si riferisce al crescente utilizzo di termini e frasi mutuate dall’inglese, la lingua ormai propria della scienza e della tecnica, nell’idioma che un tempo fu di San Francesco D’Assisi, Francesco Petrarca e Dante Alighieri. Oltre alla perdita di originalità ed identità, è noto che l’inglese costituisca un linguaggio meno ricco e complesso di quello della nostra Italia e, se a questo si aggiungono le papere dell’utilizzo generalizzato del Basic English da parte di politici, insegnanti, giornalisti e conduttori, «[…] si comprende bene che si è ormai arrivati al grottesco e bene fa l’Accademia della Crusca a sollecitare il corretto uso di termini italiani. Di fatto, il tutto potrebbe essere semplificato col dire che l’imbarbarimento culturale in atto sta conducendo ad un monstrum linguistico che non ha precedenti nel passato».
Marcello Veneziani dedica la sua rubrica mensile Ultimatum alla «passione per l’Italia, per la sua redenzione e per la sua indipendenza» del grande scrittore lombardo Alessandro Manzoni (1785-1873). Nel pezzo, intitolato “Manzoni il patriota”, il giornalista e scrittore richiama in proposito tutta la sua opera, «dai versi del Marzo 1821 al testo estremo sull’indipendenza d’Italia del 1873».
Nei suoi lunghi 88 anni di vita, Manzoni accompagnò si può dire tutto il “processo risorgimentale”, «dagli albori dei primi moti alle guerre d’Indipendenza, alla proclamazione dell’Unità d’Italia fino a Roma Capitale. […] Fu lui nel 1833 a dettare la chiusa patriottica all’Ettore Fieramosca di Massimo d’Azeglio. Firmò l’appello dei milanesi a Carlo Alberto per invocare l’aiuto del regno piemontese nella lotta contro gli austriaci. Manzoni fu critico verso l’ipotesi giobertiana di una confederazione di stati guidata dal Papa, ma anche verso ogni altro assetto confederale, come quello proposto da Cattaneo; […] si rifiutò di partecipare alle manifestazioni per l’incoronazione di Ferdinando I nel 1838; emigrò volontariamente a Lesa (dove avrebbe scritto e poi distrutto un Dialogo sull’Unità d’Italia) e poi andò oltre il Ticino frequentando i fuorusciti di varia estrazione politica; rifiutò un’onorificenza del governo austriaco e nel 1858 non volle ricevere l’arciduca Massimiliano d’Asburgo. Manzoni non riconosceva il diritto divino dei sovrani ma riteneva la monarchia la forma più adatta per l’unità e la libertà della nazione. Si riconobbe nella linea politica di Cavour e nel Piemonte sabaudo. E si schierò con lo Stato italiano contro il potere temporale del Papa […]; accettò la cittadinanza onoraria in Roma Capitale nel 1872, nonostante la bolla di Papa Pio IX contro “gli invasori” dopo lo sfregio della Breccia di Porta Pia» (p. 80).
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