O Dio o mammona
di Padre Giuseppe Tagliareni*
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UNA BRAMOSIA CRESCENTE NON PUÒ ESSERE MAI SODDISFATTA DA CIÒ CHE È MATERIALE
“Non potete servire a Dio e a mammona” (Mt 6,24; Lc 16,13), dice il Signore. Mammona significa benessere materiale, ricchezza, possesso di beni terreni. Chi fa scopo della sua vita quello di cercare e accumulare ricchezze e denari, si allontana da Dio e spera di trovare in queste cose la sua sicurezza di vita e felicità. Ma in verità, si ha tutto il contrario, perché la fame di denaro e di potere è all’origine d’infiniti mali dei singoli e della società. Gesù ci avverte che la vita dell’uomo non dipende dai suoi beni e anzi chi più ha, più si affanna.
La vita ci è data da Dio solo e nessuno può comprarla: la riceviamo gratis, come dono d’amore di qualcuno che ci genera e ci mette al mondo per divina disposizione. È un dono preziosissimo ma anche un tempo di prova che ha una scadenza: quella della morte, un evento fatale che nessuno può scongiurare. Come ben si vede, ogni vivente prima o poi cessa di vivere: “Nessuno può riscattare se stesso o dare a Dio il suo prezzo… per vivere senza fine e non vedere la tomba” (Sal 49,8.10). La morte si pone come ineluttabile fine dell’esistenza terrena. Ma come ci è stato rivelato, segue subito il giudizio divino e la sentenza eterna.
Se si smarrisce la prospettiva dell’eternità, ci si rivolge ai beni terreni con una bramosia crescente che non può essere mai soddisfatta da ciò che è materiale. Si sceglie di cercare il denaro, perché è convertibile con ogni bene commerciabile e capace di appagare il desiderio di possesso e perciò di accrescere il potere della persona. Chi può spendere, può comprare tutto ciò che vuole, tranne la vita, l’amore e tutte le cose spirituali come Dio e il Cielo. Ma chi ha denaro, di solito vuol averne sempre di più, per essere più ricco e più potente, per superare amici e conoscenti, per poter meglio fronteggiare rovesci di fortuna e sventure e ridersela dell’avvenire. Mammona acceca la persona e la rende dura di cuore e impreparata alla morte.
La parabola del fattore infedele e quella del ricco stolto (cfr.Lc 16,1-8; Lc 12,13-20) ci fanno capire che è beato chi fa buon uso delle ricchezze e non sta ad accumulare per se stesso. La vera furbizia non sta nel diventare sempre più ricchi, ma nel saper fare della ricchezza terrena un mezzo per conquistarsi il Cielo e non per candidarsi ai tormenti dell’Inferno, come il ricco epulone, che pur potendo non seppe beneficare il povero Lazzaro che giaceva alla sua porta (cfr. Lc 16,19-31).
Ma queste parabole ci insegnano un’altra grande verità: che di tutto siamo amministratori e che dobbiamo rendere conto a chi ci ha dato tutto, cioè a Dio. Se la ricerca famelica di beni è una bramosia pericolosa, il loro possesso è stoltezza se non si apre alla carità verso il prossimo: l’unica cosa che ne renderebbe proficua la disponibilità. Tutti i beni infatti, da Dio vengono e sono per tutti; guai se si dimentica la destinazione universale. Ciò vale soprattutto per le ricchezze della terra e del mare, le immense energie del cosmo come il sole, etc. Il Creatore le ha fatte per tutti e non è giustificabile chi se ne impossessa e le sfrutta solo a suo beneficio e ne possiede il monopolio.
Di tutto si deve rendere conto al momento del divino giudizio, che segue immediatamente alla morte. Allora, se saremo stati fedeli a Dio nei beni temporali, ci saranno affidati quelli eterni, perché Dio premia la fedeltà a Lui; viceversa se saremo stati infedeli, non ci verrà affidato più alcun bene in eterno. La vita terrena infatti, è prova; in essa nulla c’è di definitivo. Però tutto è significativo e di tutto ci verrà chiesto conto, perché Dio è giusto e non può lasciar passare la minima ingiustizia senza adeguata riparazione. È saggio colui che si prepara debitamente a quel decisivo incontro, a cui seguirà l’eterna sentenza.
Al giorno d’oggi è corrente l’insano modo di educare i propri figli o soggetti ad essere praticamente irresponsabili davanti all’autorità. I genitori-educatori non dettano regole, lasciano correre, non chiedono conto, non castigano né danno premio, fanno passare tutto. E ciò per un errato senso del rispetto della personalità del bambino. La pedagogia corrente e le stesse leggi civili sono per favorire la spontaneità e la piena libertà del soggetto e arrivano a sanzionare e punire quei genitori-educatori che danno castighi. Cosi i figli crescono sempre più convinti che a loro tutto è lecito e che non debbono rendere conto a nessuno.
Questa è una vera trappola satanica, che da una parte esautora i genitori o educatori impedendo di osservare un loro preciso dovere; dall’altra parte crea dei perfetti ribelli ad ogni norma del vivere civile e religioso, diretti solo dal principio del piacere e candidati alla divina condanna, per il cattivo uso della vita e dei suoi beni. Ed è questo che vuole Satana: fare degli uomini una massa di ribelli prima, e una massa di dannati poi. Egli insegna a contestare l’autorità: quella dei genitori immediatamente e quella di Dio in prospettiva. Sedotti dal Maligno gli uomini credono di essere felici se hanno tutto ciò che vogliono e se fanno tutto ciò che loro piace. Ma questa è proprio la via della perdizione.
Purtroppo, questa è la via presa dai più: è la via larga e comoda. Gesù ci mette in guardia e ci consiglia di prendere la via stretta della rinunzia, la via della sua sequela per cercare il Regno di Dio e la sua giustizia prima di ogni altra cosa. È la via più difficile; ma è l’unica giusta e santificante. Tutti i Santi l’hanno percorsa. E questa via comincia proprio dalla rinunzia a se stessi, cioè a contentare se stessi e a cercare di contentare Dio, quel Dio che ci dà ogni bene nella vita presente e più ci darà in quella futura. Beato chi sa prendere con gratitudine anche un bicchier d’acqua per darne lode a Dio. Beato chi non si ritiene padrone di nulla, neanche della propria vita, ma di tutto sa farne parte agli altri: non per forza ma per amore. Beato chi lascia questo mondo avendo beneficato con la parola e le opere tutti quelli che ha incontrato: questi non temerà giudizio di condanna, ma sarà accolto nei tabernacoli eterni come degno abitatore, per gioire della stessa gioia del Signore (cfr. Lc 16,9; Mt 25,21).
* Padre Giuseppe Tagliareni
(29 luglio 1943 – 25 gennaio 2022),
è il fondatore dell’Opera della Divina Consolazione