Quirinale: chi potrà rappresentare pienamente i grandi valori del popolo italiano?
di suor Anna Monia Alfieri
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GLI ITALIANI GUARDANO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA COME AD UNA FIGURA AL DI SOPRA DELLE PARTI, UNA SORTA DI PATER PATRIAE CHE, INDIPENDENTEMENTE DALLA PROPRIA APPARTENENZA DI PARTITO, SI È GUADAGNATO NEGLI ANNI LA STIMA E IL RISPETTO DI TUTTE LE FORZE DELLA SOCIETÀ E DELLA POLITICA…
“Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale”. Così recita l’articolo 87 della nostra Costituzione. Rappresentare l’unità nazionale significa, dunque, conoscere e incarnare pienamente i valori della Costituzione, fondamento della nostra convivenza civile. Gli italiani, quindi, guardano al Presidente della Repubblica come ad una figura al di sopra delle parti, una sorta di pater (o anche mater, perché no?) patriae che, indipendentemente dalla propria appartenenza di partito, si è guadagnato negli anni la stima e il rispetto di tutte le forze della società e della politica.
Gli italiani, inoltre, attraverso il loro Presidente, si sentono idealmente rappresentati all’estero ed è quindi loro vivo interesse, o almeno così dovrebbe essere, che sia scelta una figura dall’alto profilo politico e istituzionale. Chi giunge al Quirinale in qualità di Presidente sa che porre il piede nella casa degli italiani significa che, nell’arco del settennato, il suo compito sarà servire il Paese nella modalità più alta.
Se penso alla mia esperienza, ho sempre visto nel Presidente della Repubblica un punto di riferimento morale e civile. Nata nel 1975, ricordo benissimo i Presidenti Francesco Cossiga, ancor meglio Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi. Figure straordinarie di servitori dello Stato in momenti non facili della nostra storia repubblicana. Ricordo che rimasi colpita dall’autorevolezza e dalla sobrietà del discorso di insediamento tenuto, come vuole la prassi, a Camere riunite proprio dal Presidente Scalfaro.
Allora avevo 17 anni. Ne riporto solo alcuni passi: “Dopo il vostro voto mi sono fermato in silenzio a meditare, a pregare, per chiedere luce e forze e capacità di sacrificio a Dio, in cui credo con tanta povertà di cuore. Mi sono fermato a chiedere protezione e coraggio a colei che umile ed alta, più che creatura, è madre di Dio e dell’uomo. E lì, nella meditazione, ho pensato di chiedere a tutti voi, a voi tutti, a ciascuno indistintamente di aiutarmi a colmare le mie lacune, ad accrescere la mia volontà, ad esser larghi del vostro consiglio, a confortare la mia inadeguatezza. Ma proprio perché ho espresso sentimenti della mia fede religiosa, in quest’aula solenne sento di inchinarmi alla fede religiosa di ogni credente di ogni altra fede. Sento il bisogno di inchinarmi alla libera scelta di chi non accoglie nel suo animo pensieri e valori trascendenti. La mia devozione per la libertà di coscienza di ciascuno oltre che rispetto di un principio di diritto naturale sancito nella Carta costituzionale, è rispetto sentito, profondo e devoto, perché la libertà di coscienza è il midollo della libertà e della dignità della persona umana. Incontriamoci dunque sui valori dell’uomo: sono il denominatore universale! Incontriamoci sull’amore vero, umile, silente ma concreto per questa nostra patria, che ha diritto alla nostra ferma volontà di una unità vera sui valori umani che non tramontano”.
Parole straordinarie che ancora oggi insegnano a tutti non solo il vero significato di laicità dello Stato (ricordo che Scalfaro era Terziario francescano) ma anche l’atteggiamento, fatto di profondo rispetto per gli altri, le loro posizioni, con il desiderio di trovare un terreno comune di confronto e dialogo per il maggiore interesse dei cittadini. Significativo anche un altro passaggio di quel discorso: “Rileggo le parole che mi scrisse De Gasperi il 6 agosto del 1954, a pochi giorni dalla morte, «una morte come quella di un antico patriarca», scrisse Saragat. «Quello che ci dobbiamo soprattutto trasmettere l’uno all’altro è il senso del servizio del prossimo come ce lo ha indicato il Signore, tradotto ed attuato nelle forme più larghe della solidarietà umana, senza menar vanto dell’ispirazione profonda che ci muove ed in modo che l’eloquenza dei fatti tradisca la sorgente del nostro umanitarismo e della nostra socialità».
Un insegnamento per i cattolici che vogliono fare politica. Ecco, credo che nelle parole del Presidente Scalfaro si trovi una perfetta sintesi delle qualità che gli italiani si aspettano dal Presidente: una persona che non nasconde le proprie idee ma rispetta chi ne ha di diverse, una persona che si accinge ad adempiere l’alto compito affidandosi all’aiuto degli altri, avendo come punto di riferimento la Costituzione.
Se noi guardiamo agli uomini che si sono succeduti al Quirinale, troviamo giuristi insigni (De Nicola, Segni, Leone, Cossiga), economisti di fama internazionale (Einaudi, Ciampi, quest’ultimo con una prima laure in Lettere!), personalità dalla profondissima cultura storica, giuridica, politica, formatisi nelle file dell’antifascismo prima, della Costituente poi. Certamente, la generazione dei Costituenti è terminata per il naturale corso degli eventi, ma possiamo ancora contare su figure che hanno attinto da loro l’esempio, la prassi, la rettitudine. Il Presidente Mattarella ne è stato e ne è tuttora l’esempio.
Ho citato Oscar Luigi Scalfaro ma voglio citare l’esempio e le parole anche di altri Presidenti. A cominciare da Sandro Pertini e da quello che disse al suo insediamento che avvenne a ridosso dell’uccisione di Aldo Moro: «Contro questa violenza nessun cedimento. Dobbiamo difendere la Repubblica con fermezza, costi quel che costi alla nostra persona. Siamo decisi avversari della violenza, perché siamo strenui difensori della democrazia e della vita di ogni cittadino. Ed alla nostra mente si presenta la dolorosa immagine di un amico a noi tanto caro, di un uomo onesto, di un politico dal forte ingegno e dalla vasta cultura: Aldo Moro. Quale vuoto ha lasciato nel suo partito e in questa Assemblea! Se non fosse stato crudelmente assassinato, lui, non io, parlerebbe oggi da questo seggio a voi.» Quale rettitudine emerge da queste parole. Ancora: Non posso, in ultimo, non ricordare i patrioti coi quali ho condiviso le galere del tribunale speciale, i rischi della lotta antifascista e della Resistenza. Non posso non ricordare che la mia coscienza di uomo libero si è formata alla scuola del movimento operaio di Savona e che si è rinvigorita guardando sempre ai luminosi esempi di Giacomo Matteotti, di Giovanni Amendola e Piero Gobetti, di Carlo Rosselli, di don Minzoni e di Antonio Gramsci, mio indimenticabile compagno di carcere. Ricordo questo con orgoglio, non per ridestare antichi risentimenti, perché sui risentimenti nulla di positivo si costruisce, né in morale, né in politica.» E concluse il suo discorso dicendo di voler essere “il Presidente della Repubblica di tutti gli italiani, fratello a tutti nell’amore di patria e nell’aspirazione costante alla libertà e alla giustizia”.Ecco cosa significa che il Presidente rappresenta tutti gli italiani. Ecco il valore della fraternità di cui la nostra società ha tanto bisogno, quella fraternità che deve divenire vera categoria culturale per uscire dalla palude in cui il covid rischia di farci sprofondare.
Nella nostra storia repubblicana, in cui i Governi cadevano e si alternavano, il Presidente della Repubblica è sempre rimasto solido punto di riferimento: salire al Colle ha sempre significato rivolgersi a chi avrebbe risolto la situazione, attirandosi sempre le critiche ma mai rispondendo esacerbando i toni o entrando nella dialettica politica. Ancora, i Presidenti della Repubblica hanno dovuto affrontare momenti di grave crisi e sempre lo hanno fatto con serietà e gravità istituzionale: basti pensare al Presidente Leone nei momenti drammatici degli anni di piombo e del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro o, ancora, lo stesso Presidente Scalfaro che dovette affrontare le proteste dei palermitani ai funerali del giudice Borsellino. Proprio lui che aveva iniziato il suo mandato a seguito dell’attentato di Capaci.
Come, poi, non ricordare il Presidente Cossiga, colui che dovette affrontare in qualità di Ministro degli Interni il rapimento dell’amico Aldo Moro e sostenere la linea del rifiuto della trattativa con i terroristi. Si può solo immaginare il dramma vissuto nell’intimo della propria coscienza. Lui che, a distanza di anni, avrà il coraggio di dire ad una brigatista che anche lui aveva concorso all’uccisione del caro Aldo. Proprio a lui toccò affrontare i prodromi di quella che si sarebbe rivelata la crisi della prima Repubblica, una crisi che avrebbe cancellato il partito nel quale aveva militato sin dalla giovinezza.
Nel Discorso di fine anno del 1991, il più breve della storia dei Discorsi di fine anno, tentò di richiamare la politica ad un alto senso morale: “«Parlare non dicendo, tacendo anzi quello che tacere non si dovrebbe, non sarebbe conforme alla mia dignità di uomo libero, al mio costume di schiettezza, ai miei doveri nei confronti della Nazione. E questo proprio ormai alla fine del mio mandato che appunto va a scadere il prossimo 3 luglio 1992. Questo comportamento mi farebbe violare il comandamento che mi sono dato, per esempio di un grande Santo [Tommaso Moro] e uomo di stato, e al quale ho cercato di rimanere umilmente fedele: privilegiare sempre la propria retta coscienza, essere buon servitore della legge, e anche quindi della tradizione, ma soprattutto di Dio, cioè della verità. E allora mi sembra meglio tacere». Da lì a poco sarebbe scoppiato lo scandalo di Tangentopoli.
Attraverso le parole di Pertini, Cossiga, Scalfaro si possono cogliere utili indicazioni per il nostro presente. Chi vogliamo prosegua questa tradizione di valori democratici, di devozione alla Costituzione, di vigile apertura ai cambiamenti della società? Chi nell’attuale scenario politico riteniamo abbia tali qualità e sia degno di inserirsi in questa nobile tradizione? Chi riteniamo abbia un passato sgombro da ombre, accuse, processi e che possa rappresentare pienamente i grandi valori del popolo italiano? Ancora chi riteniamo abbia l’autorità per richiamare i concittadini, soprattutto i più giovani, ai grandi valori, all’impegno, alla costruzione di un bene più grande di quello del singolo?