Kazakistan: una destabilizzazione pericolosa

di Vincenzo Silvestrelli

I DISORDINI IN CORSO IN KAZAKISTAN COSTITUISCONO UN ELEMENTO DI NOTEVOLE TENSIONE CHE SI AGGIUNGE AGLI ALTRI GIÀ PRESENTI NELL’ATTUALE CONTESTO INTERNAZIONALE

I disordini in corso nella Repubblica del Kazakistan (Stato transcontinentale una cui parte si trova in Asia ed un’altra in Europa) costituiscono un elemento di notevole tensione che si aggiunge agli altri già presenti nell’attuale contesto internazionale. Il Kazakistan è stato l’ultima delle Repubbliche ex-sovietiche a chiedere l’indipendenza e ha mantenuto fin dal 1991 forti legami con la Federazione russa. Fa parte della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), organizzazione internazionale con sede a Minsk (Bielorussia) composta da nove delle quindici ex repubbliche sovietiche cui si aggiunge il Turkmenistan come membro associato.

Il Paese è sempre stato stabile sotto la guida di Nursultan Ábishuly Nazarbaev, presidente dall’indipendenza nel 1990 fino al 2019. Il Kazakistan nel passato non è stato esente da proteste popolari contro il Governo ma il tenore di vita della è migliorato e il sistema complessivamente ha retto.

Merito di Nazarbaev è stato quello di aver contrastato il diffondersi del jihadismo e, pur rifacendosi alla tradizione islamica del Paese, permette una assoluta libertà religiosa. La lingua di comunicazione fra i diversi gruppi etnici che compongono il Kazakistan è il russo.

Secondo il giornalista russo Maxim Yusin, gli eventi in Kazakistan si stanno sviluppando secondo lo scenario più pericoloso. Lo Stato si sta ritirando sotto l’assalto dei manifestanti, procede ad una concessione dopo l’altra (fino alle possibili dimissioni) e, i manifestanti, stanno formulando nuove richieste di tipo “massimalista”.

La Repubblica, che fino a poco tempo fa sembrava la più stabile dell’area, si sta quindi trasformando in un territorio immerso e generatore di caos. I manifestanti assaltano le sedi delle autorità locali, bruciano le auto della polizia, si contano centinaia di agenti delle forze dell’ordine feriti. I rappresentanti delle Istituzioni sembrano confusi, poco pronti a ristabilire l’ordine, pur adottando misure dure.

Quali conclusioni possono essere provvisoriamente tratte dagli eventi in Kazakistan?

  1. Il sistema di trasferimento graduale del potere da un leader all’altro mostra la sua inefficacia nei paesi post-sovietici. In tali contesti senza la presenza di una leadership stabile, i conflitti tra gruppi e clan si intensificano, le élites nazionali iniziano a contendersi il potere e la macchina statale facilmente collassa;
  2. la stabilità degli ultimi anni in Kazakistan era solo apparente. Non appena si è presentata l’occasione, infatti, è scoppiato contemporaneamente in molte regioni e città il malcontento di gran parte del popolo;
  3. i disordini attualmente in corso non sono sorti spontaneamente in tutto il Paese. Almeno una parte delle élites e dei clan nazionali sarebbero dietro alle manifestazioni e alla destabilizzazione, in quanto interessate alla spartizione nel vuoto di potere che va creandosi;
  4. è difficile credere alla pista straniera suggerita dall’attuale presidente della Repubblica Kassym-Jomart Tokayev. Mosca e Pechino chiaramente non sono interessate a destabilizzare la situazione in Kazakistan e, le nazioni che teoricamente potrebbero essere interessate ad assumere influenza (Stati Uniti, Turchia, Gran Bretagna) non hanno un tale capacità d’azione nel Paese, un numero di agenti e risorse da poter, in poche ore, così abilmente ed efficacemente incendiare l’intero Kazakistan;
  5. le autorità del Kazakistan, che negli ultimi anni hanno flirtato con i nazionalisti, perseguendo una politica di sostituzione della lingua e dell’influenza russa, si trovano ora in una situazione difficile e paradossale. I giovani “patrioti kazaki”, infatti, costituiscono la forza trainante delle proteste;
  6. per Mosca gli eventi in Kazakistan rappresentano una grande sfida. È con questo Paese che la Russia ha il confine più lungo, 7600 km. Caos, destabilizzazione, persecuzione di persone per motivi etnici e politici, flusso di rifugiati rappresentano uno scenario geopolitico da incubo per il Cremlino;
  7. il presidente Putin è interessato a che la situazione in Kazakistan si stabilizzi il più presto possibile. Gli accordi all’interno dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (CSTO) fra le nazioni dell’area post-sovietica (Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan) non prevedono l’assistenza in caso di crisi politica interna. A seguito della richiesta avanzata il 5 gennaio dalle autorità del Kazakistan, però, forze di peace keeping della CSTO sono operative in Kazakistan con compiti di sorveglianza di obiettivi strategici.
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