Dall’Unione europea solo problemi e “sfide” che si aggiungono alle questioni insolute degli Stati nazionali
di Giuseppe Brienza
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L’ITALIA DEL 2022 SI PORTA IN EREDITÀ TUTTI I PROBLEMI DEGLI ANNI PASSATI, AI QUALI SI AGGIUNGONO I NUOVI PROBLEMI E LE “SFIDE” INDOTTE DALL’UNIONE EUROPEA
Caricatura della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (Ppe) vestita da fattucchiera con davanti una palla di vetro a forma di bomba che sta per scoppiare sulla copertina dell’ultimo numero de “Il Borghese”, disegnata da Alessio Di Mauro.
La vignetta, con la scritta: “Previsioni per l’anno delle sfide. Il futuro dell’Europa”, si riferisce al titolo dell’editoriale di apertura, “L’anno delle sfide”, del numero di gennaio della rivista mensile di cultura e politica edita da Pagine.
Nel suo fondo il direttore Giuseppe Sanzotta ricorda come il nuovo anno, a causa della poca lungimiranza e delle difficoltà contingenti incontrate dagli ultimi Governi, si è portato in eredità tutte le promesse ed i buoni propositi del passato, rimasti solo sulla carta. Ai problemi insoluti, oltretutto, si aggiungono le “sfide” e le questioni continentali non solo non risolte dall’Unione europea, ma «anzi aggravate da una mancanza di incisività in uno scenario mondiale in cui noi europei rischiamo di essere vittime, o nel migliore dei casi, spettatori. Perché l’Europa non parla con una voce sola, non affronta le questioni importanti per la vita di tutti noi: preferisce intervenire per dettare regole come quella di abolire gli auguri di Natale, oppure pensa a come danneggiare il patrimonio immobiliare con vessazioni dettate dalla smania ecologista. Ai problemi delle popolazioni non sa dare una risposta. Così, l’invasione economica cinese prosegue senza contrasti» (p. 3).
Al tema della cancel culture, ovvero dell’ideologia della cancellazione del passato e delle tradizioni che stiamo importando dagli Stati Uniti, è dedicato l’articolo del filosofo Hervé Cavallera, ordinario di Storia della pedagogia all’Università del Salento, dal titolo “Il cancellare la storia, ossia il suicidio dell’Occidente” (p. 20).
Si riferisce alle conseguenze della perdita d’identità dei popoli, che si collega all’abbandono di luoghi, tempi e tradizioni storica delle comunità. Per questo avremmo bisogno nei prossimi Governi di «di strateghi di ampio respiro, provenienti dal mondo umanistico, che diano indicazioni. […] Si pensi ad esempio a quanto espresso (e poi per il momento ritirato) da una commissione europea che avrebbe voluto sopprimere Natale e Pasqua in nome di una indefinita “festività”. Insomma si vorrebbe trasformare il mondo, per usare la frase del filosofo Schelling, “in una notte nera in cui tutte le vacche sono nere”. Ossia un mondo senza distinzione alcuna e questo proprio per ossequiare la pluralità e la diversità. Ma una pluralità e una diversità fine a sé stesse sono solo la confusione e il caos».
Segue l’articolo del giornalista e scrittore Italo Inglese contro il buonismo in politica, che si traduce in pratica «nell’ostentazione di falsa bontà». È ovvio che non c’è niente di male nell’essere buoni, afferma Inglese, anzi tale disposizione dell’animo è del tutto encomiabile. Il problema, però, consiste «nell’ipocrisia di chi, per fare un esempio, si sente a posto con la propria coscienza donando una somma di danaro a una Ong operante nel Mediterraneo, sul presupposto che tale atteggiamento, la cui validità è del tutto opinabile, costituisca un modello a cui tutti dovrebbero uniformarsi. Ora, a parte che rendere obbligatoria la carità è una contraddizione in termini perché la sua essenza risiede nella spontaneità e nell’anonimato, la presunzione di ritenersi monopolisti della bontà e la conseguente pretesa di imporre le proprie convinzioni, minacciando marchi d’infamia, a chi invece ragionevolmente propende per più efficaci e realistici comportamenti, è una caratteristica precipua del buonista. Si tratta, insomma, di un utopista che, come tutti i fanatici delle idee astratte di progresso e degli aprioristici cambi di paradigma, se non fosse contrastato, trascinerebbe sé stesso e il mondo intero nel baratro» (Mutazioni antropologiche. Il buonista di destra, p. 8).
L’opinionista e filosofo Marcello Veneziani dedica la sua rubrica mensile Ultimatum al «significato politico, filosofico e teologico» dell’opera di Dante Alighieri (1265-1321). Nel pezzo, intitolato “Dante, il fascismo e l’Italia nuova”, il giornalista e scrittore confuta anzitutto «la lettura nazionalista e risorgimentale» che durante il Ventennio è stata presentata del grande poeta fiorentino. A distanza di un secolo dal fascismo, però, si è passati dalla padella alla brace nella riduzione e distorsione della figura di Dante.
Per gli autori e critici più celebrati dalla Prima Repubblica, infatti, come Edoardo Sanguineti (1930-2010) e Umberto Eco (1932-2016) ad esempio, Dante diventa un «“reazionario” antimoderno anche se qualcuno lo leggerà come un contestatore e un eretico. Oggi il Dante politico e civile oscilla tra le censure della Cancel culture e le forzature indebite nell’Oggi, tra la condanna nel Medioevo oscuro e la riabilitazione grottesca in versione politically correct. Tra Dante e il ‘900 restano però insormontabili montagne: il Medioevo, la Visione del Sacro, il poema della Luce» (p. 80).
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