Antidoti contro la transizione ideologica
di Matteo Castagna
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SI SENTE TANTO PARLARE DI “TRANSIZIONE ECOLOGICA”, SEBBENE POCHI SAPPIANO COSA SIGNIFICHI NELLA PRATICA, A PARTE I RINCARI SULLE BOLLETTE E SUI CARBURANTI
Viviamo i tempi dell’ apostasia di massa, pertanto la conseguenza diretta è il caos. La pandemia ha il merito di aver portato alla luce buona parte del sommerso, non solo sul piano religioso, ma anche politico, sociale, economico. Tutto diviene un’opinione, quindi tutto diventa relativo, fino a far morire addirittura il buon senso comune. Si sente tanto parlare di “transizione ecologica”, sebbene pochi sappiano cosa significhi nella pratica, a parte i rincari sulle bollette e sui carburanti.
Sembrerebbe di esser di fronte ad una transizione ideologica, per cui, ucciso Dio, la religione dell’uomo è il nichilismo, mentre il contorno si chiama tecnologia, green, uguaglianza assoluta, compressione fino alla distruzione del diritto naturale, vita artificiale. Lo smarrimento e la confusione generati raccolgono, in proporzione, una minoranza di persone perché il Sistema sovversivo globale, iniziato con la Riforma luterana, è stato progressivo nel corso dei secoli, per abituare lentamente i popoli a farla finita con la Chiesa e con la filosofia, accettando implicitamente di smetterla di pensare.
Obiettivo? Adeguarsi all’iniquità fino a renderla normale quotidianità senza accorgersi che si tratta di gravi iniquità. E’ il colpo da maestro del Principe di questo mondo, che, nel tempo, è riuscito pure a far chiamare bene il male e viceversa. La “nuova normalità” sarà, o forse già è, l’adattamento acritico al paradigma invertito della normalità “bene/male”: si dovrà credere che 2+2 molte volte farà 5, perché allo “Stato servile” – per dirla con Hilaire Belloc (1870 – 1953) – occorre che sia così per realizzare gli interessi della globalizzazione 2.0. E le amebe staranno mute, seguendo come pecore, ogni cattivo pastore, perché crederanno che egli agisca per il loro bene. Una moltitudine di elettroencefalogrammi piatti non si pone più alcun interrogativo.
Gli inguaribili tomisti, che, coi liberi e seri pensatori costituiranno la minoranza di pecore nere che non si rassegneranno ad annullare il cervello o a mettere la Fede in naftalina, ricorderanno che S. Tommaso d’Aquino è un maestro per tutti, anche e, forse, soprattutto per chi non crede. La sua ventunesima Tesi aiuta a restare o a diventare Uomini. Oltre ad essere costituiti d’anima e corpo, tutti noi, in diversa e differente misura, siamo dotati di intelletto e volontà.
“La volontà segue l’intelletto e non lo precede. Inoltre essa desidera necessariamente ciò che le viene presentato come il Bene assoluto. tuttavia riguardo ai beni particolari essa è libera. Perciò la scelta libera segue l’ultimo giudizio pratico, ma è la volontà che rende ultimo quel dato giudizio” (S.Th., I, q. 82-83; De Veritate, q. 22, a.5; De malo, q. 11; Summa contra Gentiles, lib. II, cap. 72).
La volontà è un appetito razionale che segue la conoscenza intellettuale. La natura tende al bene, per cui l’oggetto della volontà deve rimanere il bene, anche se solo apparente, perché il male in se stesso è contro-natura. Probabilmente è per questo che la Sovversione ribalta il paradigma bene/male inscritto nell’anima umana. Intelletto e volontà devono collaborare intimamente per non cedere.
“L’intelletto sa che la volontà vuole e la volontà vuole che l’intelletto conosca” (S. Th., I, q. 82, a. 4, ad 1). San Tommaso ci insegna che il bene viene scelto dalla volontà, solo dopo che la libertà di scelta è stata stimolata dall’intelletto. Quest’ultimo offre alla volontà i principi o le conoscenze (l’esempio o il modello) per poter tendere verso qualcosa, le presenta l’essere conosciuto come buono, ma tale presentazione è solo “conditio sine qua non” affinché il bene possa attrarre la volontà. Perciò, possiamo dire, con l’Aquinate, che la volontà realizza l’uomo interamente, offrendogli il suo fine, che è il bene e la felicità. La volontà, tenderà, per questo, all’atto finale dell’intelletto, che è la beatitudine (confronta S. Th., I-II, q.4, a.4, ad 2).
La scelta deliberata e consapevole costituisce l’atto libero con cui l’uomo accetta o respinge un determinato bene. Infine, non dimentichiamo che l’uomo che conosce, vuole e agisce deve saper educare la sensibilità e le passioni ad obbedire alla volontà, e questa all’intelletto. Cioè esattamente quello che la transizione ideologica verso il nichilismo vuole compromettere in maniera definitiva. Il diritto naturale è il primo bene da preservare, conservare e ristabilire.
Chi ha già la Fede può ben comprendere le parole di Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange (1877 – 1964), che scrisse ne “La sintesi tomistica” (Brescia, Queriniana, 1953, p. 203): “se nego il valore dell’intelligenza retta, comprometto la bontà dell’azione libera e volontaria. La volontà deve essere educata, illuminata e rettificata dalla sana e retta intelligenza e dal giudizio speculativo vero circa il Fine ultimo. Non si può amare Dio, Sommo Bene e Vero, senza la retta conoscenza della realtà. Tuttavia, l’intelletto pratico, che sceglie i mezzi, dipende dalla buona volontà. Ognuno giudica praticamente secondo la propria tendenza: se l’inclinazione del proprio appetito sensibile o razionale è cattiva (l’ambizioso). il giudizio pratico non è retto (per me qui e adesso è bene rubare). La verità del giudizio dell’intelletto pratico dipende dalla buona volontà“.
In quest’epoca in cui ci si riempie la bocca della parola “libertà”, fossilizzandosi maniacalmente sulla questione sanitaria, quasi facendola diventare parte dell’essenziale, i buoni cattolici scrivano su ogni pagina della loro agenda questa frase, sempre buona e giusta, di Cornelio Fabro (1911-1995): “L’unica libertà è la vittoria sul peccato” (Vangeli delle Domeniche, II Ed. Segni, pag. 273).