Niente di ciò che soffri andrà perduto, dialogo tra mamme e scrittrici spericolate
di Lisa Zuccarini
–
L’incontro “Niente di ciò che soffri andrà perduto, dialogo tra mamme e scrittrici spericolate“, che si è tenuto venerdì scorso nella Chiesa di san Giuseppe a Paolantonio (Teramo) con la giornalista e scrittrice Costanza Miriano, ha visto una insperata partecipazione di pubblico, considerando sia l’attuale clima atmosferico sia quello psicologico generale, a causa della c.d. “quarta ondata”. Una chiesa piena e la messa a disposizione di un altro locale sottostante collegato in diretta video tramite maxischermo.
Il ruolo della sottoscritta, autrice del libro Doc a chi?! Cronache e disastri di una mamma col camice appeso al chiodo, è stato quello di proporre alcune riflessioni a Costanza Miriano riferendomi soprattutto alla sua ultima opera, Niente di ciò che soffri andrà perduto. Mistica della vita quotidiana.
La prima domanda che le ho rivolto chiedeva cosa l’avesse guidata nella scelta di una scrittura che mettesse al centro la famiglia, partendo dal tema paolino della sottomissione della donna, Sposati e sii sottomessa, attraversando Sposala e muori per lei fino ad arrivare a Niente di ciò che soffri andrà perduto.
Costanza ha ricordato la casualità degli eventi che l’hanno portata alla realizzazione di Sposati e sii sottomessa, con l’intento di rivolgere delle lettere alle sue amiche per incoraggiarle a considerare il sacramento del matrimonio, fino all’ultimo libro nel quale il nucleo resta sempre la famiglia ma con la prospettiva traslata su come disporsi al sacrificio nella vocazione matrimoniale.
La seconda domanda ha riguardato il concetto di “tradimento” nel matrimonio, come affrontarlo e viverlo. Costanza ha richiamato in proposito il parallelismo tra la storia della sua amica Gabriella e quella della santa romana Elisabetta Canori Mora (1774-1825), e il compimento anche in un’occasione dolorosissima come quella di subire l’adulterio di una grazia di conversione vera del cuore, fino alla via estrema della santità.
La terza domanda ha avuto per tema la differenza uomo-donna e come sia possibile abbracciare le piccole croci quotidiane. Costanza ha ripassato i punti fondamentali della diversità maschio-femmina, l’interpretazione dei linguaggi verbali reciproci, l’utilizzo per la donna della parola come mezzo terapeutico e dell’uomo come strumento finalizzato a comunicazioni esatte, la diversa attitudine a compiere una singola azione per volta o tante insieme. Il tutto realizza un disegno specifico di incontro con Cristo attraverso la vocazione al sacramento del matrimonio.
La quarta domanda ha fornito il collegamento per passare dal suo libro al mio. Dalla malattia come via di beatificazione per Benedetta Bianchi Porro (1936-1964) ai malati nelle corsie degli ospedali che ho avuto modo di assistere durante gli anni di studio. Ho spiegato come è nato il mio libro, inizialmente dall’intenzione di condividere le mie disavventure a tratti umoristiche di mamma alle prese con le sfide quotidiane di questo tempo, successivamente condivisa con l’editore Berica di ampliare l’argomento motivando la mia scelta di lasciare la corsia ad un passo dalla laurea in medicina e chirurgia per dedicarmi al ruolo totale di moglie e mamma.
Ho potuto spiegare che le disavventure, come quelle epiche descritte nel capitolo Chiavi in mano, mi forniscono spunti di riflessione per ricordare che non ci si salva da soli, che in particolare nel Sacramento del matrimonio ci si deve salvare perlomeno in due. E che le prove anche piccole servono alla nostra crescita nella fede per costruire un rapporto adulto con Dio. Ho sottolineato che il camice mi permetteva un rapporto diretto con gli ammalati il che mi appagava, ma la divisa da medico rendeva allo stesso tempo vivissimo il mio orgoglio. E che l’arrivo di quello che sarebbe diventato mio marito avrebbe messo definitivamente in crisi una vocazione che in realtà sentivo meno urgente di quella di moglie e madre, da cui il capitolo intitolato La triplice vocazione che non ho. Ecco tutto.