Esclusivo. Il vescovo Suetta: “le autorità, in certi casi, hanno pesantemente e indebitamente limitato le libertà personali”
di Enzo Vitale
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MONS. SUETTA: “LO STATO DI ECCEZIONE, DA PIÙ PARTI DEPLORATO E DENUNCIATO, ORA DEVE RESTITUIRE IL PASSO ALLA GESTIONE NORMALE DELLA VITA PRIVATA E PUBBLICA“
Il Papa e l’unità nella Chiesa, il Covid e la liturgia, la formazione dei sacerdoti, il DDL Zan, l’eutanasia e il suicidio assistito: sono queste le tematiche che ha trattato Monsignor Antonio Suetta, vescovo della Diocesi di Ventimiglia-San Remo, in questa intervista esclusiva di InFormazione Cattolica.
Nella Chiesa ci sono spesso manifestazioni di dissenso da parte di alcuni gruppi nei confronti del Papa e sappiamo che Cristo pregò per l’unità dei Suoi. Cosa direbbe a chi fatica a camminare con Pietro?
Purtroppo, questa non è una novità: nella Chiesa si sono sempre succeduti, con vicende alterne, periodi di difficoltà sia per ragioni interne alla Chiesa e relative alla sua dottrina come, nei primi secoli, le dispute trinitarie e cristologiche o altre questioni; spesso poi anche per la fatica di trovare unità di azione, di valutazione e di giudizio nei confronti di contesti esterni alla Chiesa nel suo rapporto con il mondo. Ovviamente ci impressioniamo molto i problemi a portata di mano, ma dobbiamo riconoscere che, nel corso della storia bimillenaria della Chiesa, rappresentano situazioni già viste. Dobbiamo tenere presenti il desiderio e il comando di Cristo che la Chiesa sia una. Di fatto la Chiesa è una perché così nasce dalla volontà di Cristo, la Chiesa è una perché raccolta intorno alla dottrina della fede, alla Rivelazione, essa è raccolta attorno ai Sacramenti e intorno ai pastori. Ci sono molteplici attività che la Chiesa svolge, e da queste, naturalmente, può derivare la fatica di trovare la modalità più giusta o la strada migliore. Nella ricerca di soluzioni possono nascere dissensi, contrasti o, addirittura, come la storia ci testimonia, divisioni anche gravi. Penso alle situazioni dei cosiddetti fratelli separati, la Chiesa ortodossa prima e le Chiese protestanti poi: si è prodotta una grande ferita ed è una grande sofferenza per la Chiesa.
Cosa dobbiamo fare per agire correttamente nella Chiesa Cattolica?
Il Signore ha affidato a Pietro la custodia della unità della Chiesa e ha messo nelle sue mani il compito di vigilare sulla sua missione. Dobbiamo imparare a riconoscere nel Papa la guida che il Signore vuole dare oggi alla Chiesa. È ovvio distinguere nella persona e nell’azione del Papa gli elementi che attinenti strettamente al ministero ricevuto dal Signore e altri aspetti legati alla persona, al carattere e alle attitudini del singolo: dobbiamo accogliere i primi con spirito di fede, di obbedienza e di docilità, mentre è possibile, sugli altri, avere pareri, giudizi, valutazioni e considerazioni contrastanti. L’importante è saper distinguere: obbedire dove si deve obbedire, discutere dove è possibile discutere, facendo in modo che anche le legittime differenze di opinioni non diventino mai occasioni per ferire o, peggio ancora, per distruggere l’unità della Chiesa. La consultazione universale in vista del Sinodo dei Vescovi conferma, anche da parte del Papa, questo opportuna distinzione.
Cosa pensa dell’eventuale protrarsi delle restrizioni causate dal Covid-19? Ci vede una limitazione delle libertà personali? Ritiene che andrebbero a limitare la libertà religiosa?
Prima di tutto penso che questa situazione generata dalla pandemia ha determinato un po’ a tutti i livelli della vita delle persone e della vita sociale, una situazione con profili di gravità piuttosto consistenti. Abbiamo l’evidenza immediata di disagi arrecati all’economia e a specifici aspetti della vita collettiva: il commercio, gli spostamenti, il turismo e congiunture macroscopiche di questo genere. Più faticosamente riconosciamo i danni e le gravi limitazioni causate dalla pandemia nella vita delle persone e delle famiglie. Insorgono forme di disagio psicologico, ambientale e spirituale e, da questo punto di vista, naturalmente la situazione tocca più da vicino la Chiesa. Ci sono state ricadute pesanti sulla vita della Chiesa; penso ai primi periodi della pandemia quando era molto difficile assicurare ai fedeli la partecipazione alle celebrazioni, ai sacramenti e alla Messa festiva: molte persone si sono sentite sole e quasi abbandonate. Da parte delle autorità civili e religiose forse la novità della situazione e l’urgenza incombente può aver indotto a disporre misure eccessivamente drastiche sotto il profilo delle chiusure e delle limitazioni, fortunatamente poi corrette e modificate.
Ed oggi come vede l’evolversi della pandemia?
Al momento sembra ci sia una evoluzione, tutto sommato positiva, della pandemia stessa, nel senso che si profilano prospettive di fiducia, di speranza, di esiti favorevoli e di superamento almeno della fase più critica. Si fa strada l’idea di doverci abituare alla convivenza con la presenza e la minaccia del virus. Stimo alcune misure esagerate ed eccessive; nell’urgenza di tutelare la salute pubblica, forse, le autorità in qualche caso hanno anche troppo pesantemente e, talvolta, indebitamente limitato le libertà personali. Ciò non corrisponde al dettato costituzionale e al buon diritto; non corrisponde al rispetto dei diritti delle persone e delle comunità, specialmente nelle circostanze in cui perdura oltre la ragionevole considerazione di urgenza e opportunità. Tale stato di eccezione, causato e motivato dall’imperversare di un’emergenza grave, è stato da più parti deplorato e denunciato e ora deve restituire il passo alla gestione normale della vita privata e pubblica. Un aspetto tipicamente ecclesiale è rappresentato dalla liturgia, cuore della vita ecclesiale. Su questo occorre ribadire che le autorità civili non hanno alcuna competenza. L’organizzazione della liturgia appartiene al singolo vescovo e alla Santa Sede: essi debbono recepire lo spirito e la necessità delle misure sanitarie indispensabili per tradurle, nella maniera più conveniente, in normativa liturgica per contemperare la doverosa prevenzione sanitaria, garantendo sempre il bene sommo dei Sacramenti e dell’Eucaristia per tutti i fedeli.
Rispetto al passato è molto cambiata e sta ancora cambiando l’idea del sacerdozio e del sacerdote. Come li definirebbe? Quali caratteristiche e particolarità devono distinguere il sacerdote? Che manca alla preparazione del clero?
Questo è un argomento vasto, di profondità straordinaria. Per comprendere la originale forma del sacerdozio cristiano occorre risalire ai testi del Nuovo Testamento, dai quali si evincono in primo luogo, l’organizzazione della prima comunità cristiana e, nello stesso tempo, il pensiero e alla volontà di Cristo, che ha fondato la Chiesa con una struttura gerarchica; ha pensato al popolo di Dio, animato, guidato e santificato dalla presenza dei sacri ministri. Gesù si discosta dalle connotazioni e dalla fisionomia veterotestamentaria del sacerdozio. Rivela ciò con estrema chiarezza la terminologia usata nel Nuovo Testamento circa la vita delle prime comunità cristiane. I termini per indicare i sacri ministri non corrispondono all’antica concezione sacerdotale, ma piuttosto a funzioni di servizio reperite nella vita familiare e sociale, mentre il sacerdozio è riferito a Cristo, come si vede soprattutto nella Lettera agli Ebrei. Questo non significa negare il carattere tipico e divino del sacerdozio, che tanto la Sacra Scrittura quanto la tradizione della Chiesa custodiscono e affermano. Indica piuttosto la necessità di collocare l’istituzione del sacerdozio da parte di Cristo, avvenuta contestualmente al dono dell’Eucaristia, nella prospettiva che egli stesso ha vissuto nel mistero dell’Incarnazione. Egli è il Signore, ha il potere della salvezza, ha la capacità di fare nuove tutte le cose, e consegna agli apostoli, mandati nel mondo come continuatori della sua missione, un’autorità nuova ed efficace: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28, 18-19): questa è la missione affidata da Cristo ai discepoli.
A questa missione del sacerdote è possibile aggiungere altro?
Al contempo impariamo a leggere questa missione nell’attitudine particolare indicata da Cristo: il servizio. Egli si è fatto obbediente alla volontà del Padre, obbediente fino alla morte e alla morte di croce (cfr. Fil 2, 5-8); ha usato immagini molto belle e significative per indicarne l’essenza e lo stile. Tra tutte, l’immagine più incisiva è quella del Buon Pastore, che dà la vita per il gregge. Il sacerdozio è questo: il potere di Cristo di liberare dalla schiavitù del peccato e della morte e di restituire l’uomo al progetto originario di Dio, progetto di salvezza, progetto di beatitudine e progetto di vita eterna. Il sacerdote, ministro di Cristo, è partecipe di questa missione, che è tipica per la Chiesa. Se si vuole comprendere il sacerdozio e, concretamente, la figura del ministro ordinato si deve guardare a Gesù. In lui il Regno di Dio con la sua potenza si è fatto presente in mezzo agli uomini, in lui è la rivelazione piena del volto e dell’amore del Padre, in lui è la rivelazione piena di tutto ciò che il Padre ha voluto farci conoscere, in lui è il gesto supremo dell’amore, che sulla croce ha dato la vita per la salvezza dell’umanità. Questi sono i tratti caratteristici anche del sacerdote che con il Sacramento dell’Ordine viene conformato a Cristo capo, e agisce non soltanto con la potestà di Cristo, che corrisponde alla grazia del Sacramento, ma deve anche camminare in una speciale e singolare sequela di Cristo per rendere sempre più evidente in lui la figura e la presenza del Buon Pastore.
Cosa direbbe oggi ad un sacerdote per poter essere fedele alla sua vocazione?
Oggi forse il contesto mondano rende più difficile il compimento fedele di tale missione. Tra i molteplici aspetti della figura del prete attiro l’attenzione sul punto focale della vocazione: è decisivo che il chiamato dal Signore al ministero sacro abbia chiara nel cuore e nella consapevolezza ideale la finalità essenziale di un tale appello e di tanto compito: la salvezza delle anime. Spesso nei discorsi a sfondo vocazionale cediamo alla suggestione, tipica del nostro tempo, di essere primariamente alla ricerca della felicità e della propria realizzazione. Umanamente si comprende come ogni uomo tenda al compimento pieno della propria esistenza e il più delle volte ciò viene concepito come la concretizzazione di un progetto personale. La vocazione invece risponde profondamente alla volontà di aderire ad un disegno di Dio. Chiaramente tra i due aspetti non sussiste contraddizione, è piuttosto questione di prospettiva. L’antinomia si pone quando l’uomo pretende di essere arbitro e artefice della propria fortuna, fatto mai vero in nessuna condizione. È dunque necessario che, nella cura delle vocazioni e nella formazione del clero, questo aspetto venga delicatamente coltivato, affinché chi accede al sacerdozio sappia e ricordi sempre di essere a servizio del Vangelo e della Chiesa e non un “libero professionista” del sacro.
LA SECONDA PARTE DELL’INTERVISTA A MONSIGNOR SUETTA SARA’ PUBBLICATA DOMANI, 30 NOVEMBRE 2021.