Il tentativo di demonizzare Medjugorje
IL GOVERNO ITALIANO CON UN’ORDINANZA HA DI FATTO VOLUTAMENTE BLOCCATO I PELLEGRINAGGI
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Di Gicci
Il tentativo di demonizzare Medjugorje parte da lontano. Parte innanzitutto nel giugno del 1981 con le persecuzioni del governo comunista ai bambini che allora raccontarono per la prima volta di aver visto una splendida figura femminile con un bambino in braccio, da subito identificandola con la Madonna. E’ proseguito poi negli anni con detrattori e scettici che, nonostante il fallimento della cosiddetta scienza, incapace di spiegare con strumenti “terreni” i fenomeni che videro da subito protagonisti i bambini e il luogo stesso, ne hanno detto di tutto, cercando di metterla in cattiva luce.
Infine codesto tentativo è arrivato ai giorni nostri, ai tempi del Covid quando, a seguito delle restrizioni decise dal governo italiano con l’ordinanza del 26 ottobre 2021, si sono di fatto volutamente bloccati i pellegrinaggi. Un provvedimento cui fatalità seguono titoli allarmistici e velatamente denigratori sui media che dipingono questa terra benedetta, nella quale mi trovo proprio in questi giorni, come terra “untrice”.
Questa demonizzazione ci offre l’occasione, è necessario dirlo, di avere una prova provata che quanto sta accadendo nel mondo ha una matrice fondamentalmente politica ma evidentemente diabolica.
Medjugorje, nota anche come il “confessionale del mondo”, è la città certamente più famosa della Bosnia Erzegovina, una terra di 51mila chilometri quadrati, che nel 2020 ospita una popolazione di appena 3,281 milioni di abitanti. Di per sé la Bosnia è uno Stato semplice: chilometri di campi, rocce, montagne, sono interrotti sporadicamente dai paesini che la compongono. Medjugorje, adagiata tra due colline, il Pdbrodo e il Krizevac, è uno di questi: nemmeno tremila abitanti. Qualche chilometro più a Nord sorge Monstar, città che durante la guerra fu teatro anche di atroci massacri ai cristiani, e ancora oltre Sarajevo, la capitale, che conta circa 276mila abitanti. Insomma, in altre parole, uno Stato grande due volte la Sicilia con quasi la metà degli abitanti, che fino al 1992 era parte della Yugoslavia.
Da un punto di vista economico, uscita dalle macerie della guerra, al di là del pur ristretto settore primario e di alcune risorse del sottosuolo, vive praticamente di turismo. Solo nel 2015, ad esempio, il numero di pellegrini giunti a Medjugorje era arrivato a 1,5 milioni. Di questi, nemmeno a dirlo, la stragrande maggioranza erano e sono italiani. In Bosnia Erzegovina, oggi, si alternano tre presidenti, che rappresentano le tre identità ospitate sul territorio: serbo, croato e musulmano.
Qui, come altrove, il Covid è arrivato, colpendo la popolazione soprattutto da un punto di vista economico. Gli aiuti dello Stato, raccontano gli abitanti del paesino meta di cattolici da tutto il mondo, sono risultati sproporzionati e spesso ne hanno beneficiato coloro che avevano delle attività più floride, spezzando così la schiena alla piccola economia locale. Insomma, potremmo dire, tutto il mondo è paese.
A Medjugorje questa “zona rossa”, questa chiusura delle frontiere con l’Italia appare, oggi, inevitabilmente un’ulteriore mazzata, coincisa con l’incontro tra i rappresentanti della polizia di frontiera della Bosnia-Erzegovina e quelli dell’OIM, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni avvenuta guarda caso in coincidenza con l’entrata in vigore dell’ordinanza tricolore il 26 ottobre 2021 presso l’ufficio principale della Bosnia Erzegovina L’organizzazione, collegata, nemmeno a dirlo, con le Nazioni Unite, ha sede in Svizzera. Guidato dal capo della missione e dal coordinatore regionale per i Balcani occidentali, l’italiana Laura Lungarotti, l’incontro era volto a presentare il progetto finanziato con fondi UE per oltre 6 milioni di marchi bosniaci. Lo stesso prevede, oltre a mezzi e altri interventi destinati alla polizia di frontiera, anche la presenza fissa in Bosnia di un coordinatore proveniente dall’Italia. Ma in tutto questo “movimento” non c’entra solo la rotta balcanica, visti gli attacchi mediatici di questi giorni indirizzati proprio al cuore della fede cattolica nei Balcani.
Il blocco è una doccia fredda sia per l’economia del luogo che per i pellegrini italiani affezionati al santuario mariano, in questi giorni soppiantati dai polacchi, distanti circa 700 chilometri, e dagli ucraini, distanti circa mille chilometri.
Da notare, inoltre, che a Medjugorje non impongono, oggi, le restrizioni più dure “all’italiana” che inevitabilmente ricorderebbero agli abitanti gli anni più bui del loro passato e, nonostante la consapevolezza della presenza di un virus, non rinunciano a vivere garantendo a tutti, turisti compresi, di praticare in pace la propria fede oltre che di usufruire dei diritti più elementari, spettanti a ciascuno per nascita, non solo per Costituzione.
Ma è evidente che qui è l’aspetto spirituale a farla da padrone: dal 18 marzo 2020, infatti, a Covid appena esploso, arrivò la notizia che la Vergine non sarebbe più apparsa mensilmente a Mirijana. La veggente, infatti, una dei cinque ancora oggi toccati da questa grazia, racconta che nell’ultimo messaggio lasciatole in quella data, giorno del suo compleanno, la Madonna ha detto: “In momenti di confusione e rinunce, dovete solo cercare il volto di mio Figlio. Vivete le Sue parole e non abbiate paura. Pregate e amate con sentimenti onesti, buone azioni e aiutate il mondo a cambiare e il mio cuore a vincere” specificando che il 2 del mese non sarebbe più apparsa come invece faceva, appunto mensilmente, da 40 anni.
Impossibile per i fedeli non notare in questo un segno dei tempi in un luogo che, nonostante i casi di Covid, pure non tantissimi, non smette di vivere e di diffondere grazia: perfino la non più giovanissima suor Cornelia, famosa per la sua comunità nella quale accoglie i bambini sfortunati, in un messaggio allarmante circolante sui social a causa della malattia sembrava data per spacciata, invece è tornata a casa e, con le giuste cure, si sta riprendendo. Padre Petar Ljubicic, invece, incaricato da Mirijana di diffondere con lei le profezie quando sarà il momento, incalzato sull’argomento sieri, parla di una Chiesa che “deve guidare nella fede”: in altre parole sulla fede ci pensi Dio che sui vaccini ci penso io. Così come i presunti fedeli rientrati in Sardegna tutti colpiti dal virus e tutti, in quanto pellegrini, “pericolosi” o “irresponsabili” untori: beh, quanti di loro in effetti erano vaccinati? Senza dimenticare che, per ingressi e uscite dalla Bosnia, si richiede il tampone. Allora delle due l’una: o i tamponi restano fallaci e dunque che senso ha affidarsi agli stessi, o sono affidabili e dunque inutile collegare quel focolaio al pellegrinaggio; piuttosto perché non ricondurlo al siero somministrato?
Domande sensate se non si volesse strumentalizzare la notizia e, quindi demonizzare, il santuario. Ergo: perché? Perché colpire Medjugorje? Che paura può fare uno Stato con poco più di 3milioni di abitanti, sparpagliati in chilometri e chilometri di “nulla”? Perché colpire i pellegrini per altro sottoposti a green pass? Cui prodest?
Non resta che concludere che la pace di Medjugorje, quella sì, nuoccia gravemente alla salute (spirituale) di qualcuno. Qualcuno in evidente grosso debito con Dio e che, percepita la “pericolosa” forza del luogo, voglia a tutti i costi privarcene. In pratica, a emergenza finita, niente di più che un tentativo di impedire di professare la propria fede, come accadde con la chiusura delle chiese del 2020.
Un tentativo del tutto inutile e pericoloso ma anche patetico di privare le persone della Verità che spazzerebbe via la paura e la confusione, anche spirituale, che sta colpendo l’Italia e il mondo oggi: perché Cristo ha già vinto e perché un giorno questi signori ne risponderanno personalmente. Altro che persecuzioni, confinamenti coatti e tamponi. Allora, per questi, sarà forse pianto e stridore di denti. Meglio per loro cominciare a rifletterci seriamente.