La risurrezione del Signore è modello della risurrezione di ogni carne
LA RISURREZIONE DELLA CARNE VA INTERPRETATA COME UN AVVENIMENTO ECCLESIALE, IN CONNESSIONE CON LA PARUSIA [SECONDA VENUTA] DEL SIGNORE
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Di Giuliva Di Berardino
LEGGI QUI LA PRIMA E LA SECONDA PARTE DELLA RIFLESSIONE
Per i credenti cristiani la risurrezione futura è l’estensione della medesima risurrezione di Cristo agli uomini, perché la risurrezione del Signore è modello della risurrezione di ogni carne. Va proclamato con forza: la resurrezione di Gesù non significa che la sua causa continua, che il suo insegnamento non muore, che il suo messaggio è vivente, bensì che lui, la sua intera persona umana morta in croce e sepolta, è stata resuscitata da Dio a vita gloriosa ed eterna.
È questo evento pasquale che rivela e annuncia anche la resurrezione della carne come evento che attende l’umanità di tutti i tempi, di tutte le latitudini e di tutte le genti. Sappiamo che già nel Nuovo Testamento, alle origini della chiesa, la fede nella resurrezione della carne è stata contestata: i cristiani di Corinto faticano ad accettare questo annuncio – ci testimonia Paolo (cf. 1Cor 15) – e sempre l’Apostolo o un suo discepolo deve mettere in guardia da chi, come Imeneo e Fileto, sosteneva che la resurrezione è già avvenuta con il battesimo ed è solo un fatto spirituale (cf. 2Tm 2,16-18).
La risurrezione di Cristo, invece, è causa della nostra risurrezione futura, dato che, come afferma San Paolo, “se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti” (1Cor 15,21). I cristiani credono che nell’acqua e nello Spirito, quindi nel battesimo, siamo rinati alla vita in Cristo, che è vita di comunione. Quindi la risurrezione di quelli che sono di Cristo si deve considerare come il culmine del mistero già iniziato nel battesimo.
Per questa ragione essa si presenta come la comunione suprema con Cristo e con i fratelli e anche come l’oggetto più alto della speranza. Scrive sempre San Paolo nella prima lettera ai Tessalonicesi: “E così saremo sempre con il Signore” (1Ts 4,17). Quindi la risurrezione della carne è il momento della comunione perfetta, una comunione che non sarà più solo spirituale, ma anche corporale, tra quelli che sono di Cristo, già risorti, e il Signore glorioso.
Non è difficile allora comprendere che la risurrezione della carne va interpretata come un avvenimento ecclesiale, in connessione con la parusia del Signore, come è descritto in Ap 6,11. Cristo stesso il fine e la meta della nostra esistenza, è solo verso di Lui che ci incamminiamo, con l’aiuto della sua grazia, in questa nostra breve vita terrena. I credenti attendono Cristo, non un’altra esistenza terrena simile alla presente: sarà solo Cristo il supremo adempimento di tutti i desideri.
Tuttavia, credere la risurrezione della carne è credere che la salvezza è nel corpo. Infatti la stessa formula “credo nella risurrezione della carne”, sembra sia entrata nel Simbolo romano antico, e dopo di esso in molti altri, proprio per evitare un’interpretazione spiritualistica della risurrezione, che, per influsso gnostico, attraeva diversi cristiani.
Per questo motivo, nel concilio di Toledo XI (675), si stabilisce che la risurrezione avviene non “in una carne aerea o in un’altra qualsiasi”, ma “in questa [carne] in cui viviamo, sussistiamo e ci muoviamo”. Una disposizione dogmatica che tiene presente sia il dogma della comunione dei credenti in Cristo Risorto, sia le stesse testimonianze sul sepolcro vuoto e sulle apparizioni di Gesù risorto che troviamo nei Vangeli.
Per esprimere le apparizioni del Signore risorto, tra i racconti di apparizioni, ricordiamo l’uso del verbo ôphthê, il verbo della vista, centrale per le testimonianze che gli studiosi chiamano «scene di riconoscimento», in cui si nota una tensione tra la continuità reale del corpo (il corpo che fu inchiodato sulla croce è lo stesso corpo che è risorto e si manifesta ai discepoli) e la trasformazione gloriosa di questo stesso corpo del Risorto.
La Chiesa ci consegna quindi la fede nella Risurrezione della carne perché è questa nostra carne, quella di tutti coloro che appartengono a Cristo, che, nella risurrezione finale, sarà conforme al corpo glorioso di Cristo (cf. Fil 3,21). Il Concilio Lateranense IV del 1215 insegna inoltre che “tutti risorgeremo con il proprio corpo che qui portiamo” (DS,801).
Anche i Padri della Chiesa e la Tradizione nei secoli hanno confermato la fede nella risurrezione dei corpi; Tertulliano nel suo De resurrectione carnis scrive: “La risurrezione dei morti è la fede dei cristiani: credendo in essa siamo tali“. Sant’Ireneo ci parla di “trasfigurazione” della carne, perché, “essendo mortale e corruttibile, diventa immortale e incorruttibile” nella risurrezione finale. Ma tale risurrezione si compirà “negli stessi [corpi] che erano morti; perché se non fosse negli stessi, neppure risusciterebbero coloro che erano morti”. I padri ritengono, quindi, che senza identità corporale non si possa difendere l’identità della persona.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica, al punto 990, recita: “La risurrezione della carne significa che, dopo la morte, non ci sarà soltanto la vita dell’anima immortale, ma che anche i nostri corpi mortali riprenderanno vita“. Poi aggiunge: “Il ‘come’ supera le possibilità della nostra immaginazione e del nostro intelletto; è accessibile solo nella fede. Ma la nostra partecipazione all’Eucaristia ci fa già pregustare la trasfigurazione del nostro corpo per opera di Cristo” (CCC 1000).
La liturgia della Chiesa ci fa cogliere la forza della fede nella risurrezione della carne proprio nei simboli e nei gesti che vengono eseguiti nel corso della liturgia dei morti: – il cero pasquale acceso, segno alla presenza del Risorto, ci ricordano che Cristo è “il primogenito di quelli che risorgono dai morti” (Col 1,18); – l’incensazione del corpo del morto, non è altro che una proclamazione e celebrazione del corpo del defunto che è tempio terrestre dello Spirito Santo (1Cor 6,19) e pegno della futura resurrezione; – l’aspersione con l’acqua battesimale, lascia emergere come la vita di ogni credente, di ogni battezzato, sia una “vita nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3)
Compreso questa verità, non possiamo fare altro che fare silenzio e non dire più nulla. Ogni tipo di domanda: come risorgeremo? Che corpo avremo (1Cor 15,35)?…può essere ricercata nella Scrittura e nella tradizione della Chiesa, come del resto cerchiamo di fare, ma è importante sapere che di fronte al mistero bisogna anche saper attendere con fede, attendere vivendo nella fede.
Solo così la fede nella resurrezione della carne, oltre a costituire una speranza di vittoria sulla morte, cambierà il nostro vivere oggi nel mondo. Il corpo è il luogo di salvezza per ciascuno di noi, nel corpo c’è la nostra storia, quella del nostro rapporto con l’altro, con Dio e con il mondo. Aiutiamoci, dunque, a credere che nulla di ciò che ha costituito, la nostra vita, la nostra persona andrà perduto.