La Russia aderisce al “Consenso di Ginevra” per difendere il diritto alla vita dei nascituri
Di Angelica La Rosa
Nei giorni scorsi è stato annunciato al Campidoglio degli Stati Uniti che il governo russo ha aderito alla Dichiarazione-consenso di Ginevra sulla Promozione della salute delle donne e sul rafforzamento della famiglia. Una dichiarazione che lo scorso anno ha lanciato un chiaro avvertimento alle Nazioni Unite, le quali vengono diffidate dall’intromettersi nelle politiche dei singoli stati in materia di tutela alla vita.
Mentre annunciava due nuovi firmatari della dichiarazione, come detto la Federazione Russa, preceduta qualche settimana fa dal Guatemala, la dottoressa Valerie Huber, presidente dell’Institute for Women’s Health, architetto della Dichiarazione del Consenso di Ginevra sotto l’amministrazione Trump, ha affermato che la dichiarazione “è viva e vegeta”.
La Dichiarazione era stata originariamente co-sponsorizzata da Stati Uniti, Ungheria, Egitto, Brasile, Indonesia e Uganda. Dall’ottobre 2020 ad oggi hanno via via aderito 33 paesi. Nel frattempo, però, dopo l’elezione a Presidente di Biden gli Stati Uniti si sono ritirati dall’accordo e hanno invitato altri paesi a smettere di sostenere la dichiarazione, chiaro segnale della linea abortista dell’amministrazione Biden.
La dichiarazione, infatti, promuove la salute delle donne sulla base degli autentici diritti umani e del rispetto della sovranità degli Stati per legiferare sull’aborto, senza interferenze esterne da parte delle Nazioni Unite o di paesi potenti.
L’accordo prevede che “in nessun caso l’aborto dovrebbe essere promosso come metodo di pianificazione familiare”. Al tempo stesso, “qualsiasi misura o cambiamento relativi all’aborto all’interno del sistema sanitario possono essere determinati solo a livello nazionale o locale, secondo l’iter legislativo nazionale”. Inoltre ha riaffermato il diritto del bambino a “cure e tutele speciali sia prima che dopo la nascita” e a “misure speciali di protezione e assistenza”, basate “sul principio dell’interesse superiore del bambino”.
Secondo il documento, “non esiste un diritto internazionale all’aborto, né alcun obbligo internazionale da parte degli Stati di finanziare o facilitare l’aborto”. Inoltre, si riconosce la centralità della famiglia come “unità naturale e fondamentale della società” e impegna i Paesi a proteggerla secondo il diritto internazionale.
“La coalizione di stati che sostiene la Dichiarazione è il modo più potente ed efficace per dare voce alla maggioranza silenziosa di miliardi di persone che sostengono la vita e la famiglia” , ha affermato recentemente il senatore Repubblicano Steve Daines, fondatore e presidente del gruppo pro-vita del Senato statunitense.
I senatori Daines e Jim Lankford (Repubblicano) hanno presentato una risoluzione simultanea per celebrare il primo anniversario dell’accordo e affermare i loro impegni fondamentali per proteggere la vita e rafforzare la famiglia.
La risoluzione (che ha il sostegno di 14 senatori e di 29 deputati della Camera dei Rappresentanti) rileva che “le leggi federali di vecchia data che vietano agli Stati Uniti di eseguire o finanziare aborti, di esercitare pressioni per l’aborto o di pianificazione familiare coercitiva in paesi stranieri rimangono in vigore” e impegna i membri del Congresso a “sorvegliare”.
Lanciando la Dichiarazione lo scorso anno l’ex Segretario di Stato Mike Pompeo aveva indicato la dichiarazione come un “impegno profondo e personale per proteggere la dignità umana”, coerentemente con l’impegno “senza precedenti” dell’amministrazione Trump a difesa dei non nati, anche “all’estero”. Come è noto, durante i quattro anni di mandato presidenziale di Donald Trump, gli Stati Uniti hanno difeso la dignità della vita umana fin dal concepimento ovunque e sempre.