Che cos’è la “comunione dei santi”?

Che cos’è la “comunione dei santi”?

LA LITURGIA CI OFFRE LA FELICE OPPORTUNITÀ DI CELEBRARE LA FESTA DI TUTTI I SANTI. UNA RIFLESSIONE DELLA TEOLOGA DI BERARDINO

Di Giuliva Di Berardino

 

La liturgia ci offre la felice opportunità di celebrare la festa di tutti i santi. Si tratta di una grande festa, che celebra un mistero profondo, una delle verità che i credenti professano ogni domenica nella celebrazione della santa messa con la formula: “credo nella comunione dei santi“.

Allora oggi ci chiediamo: che cos’è la “comunione dei santi”?

Per comunione dei santi la Chiesa Cattolica intende un’intima unione in Cristo che fa di tutti i credenti, di tutti i tempi e di tutti i luoghi, una sorta di “organismo vivente”, animato dallo Spirito Santo, che rende possibile una vera e propria comunicazione di beni spirituali tra i fedeli, sia vivi che defunti.

Secondo la dottrina cristiana, in virtù della stretta unione che esiste tra i cristiani e Gesù Cristo, i credenti non sono dei singoli individui che si affidano a un Dio, ma costituiscono un “popolo“, una “comunità” di credenti, che insieme entrano in relazione con un Dio che è relazione già nel suo essere, nella sua essenza: Dio è Trinità, comunione in sé. Così anche il popolo di Dio vive di questa relazione di comunione: in comunione esso si esprime e nella comunione trova il suo senso di essere nel mondo.

Questo sistema di relazione, poiché è, di fatto, comunione tra credenti in Cristo, immersi nella vita di Dio Trinità attraverso Cristo, viene anche denominato “corpo mistico di Cristo“, perché questa specifica e viva comunione del popolo di Dio ha come capo, fondamento di comunione e centro di relazione, la fede in Cristo. Per questa fede si professa che Cristo è il capo e i fedeli le varie membra dell’unico corpo mistico di Gesù Cristo Risorto che vive nei credenti e attraverso di essi. Questa realtà di fede del “corpo  mistico di Cristo” è un mistero della fede che dona fondamento anche alla realtà sacramentale celebrata in ogni eucaristia, in quanto sempre, in sede celebrativa, e quindi liturgica, il corpo mistico di Cristo si rende presente in forma sacramentale, secondo la fede cattolica. È per questo motivo che è importante partecipare alla celebrazione eucaristica della domenica, in quanto, celebrando nel “giorno del Signore”, che nelle fonti più antiche era chiamato in greco “kiriakè emera” o in latino, “dies dominica”,  ciascun credente, convocato a questa celebrazione che fa memoria della Risurrezione di Cristo, si rende presente anche alla comunione dei santi in Cristo, come corpo vivo, vivificato dalla vita stessa di Cristo Risorto.

Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, ai numeri 960-961, troviamo una importante spiegazione di questo mistero di fede che la tradizione della Chiesa definisce “dogma” della comunione dei santi. La lunga tradizione cattolica, infatti, ha articolato la grande comunità dei credenti, che è la Chiesa universale, in tre grandi rami che si chiamano rispettivamente:

– Chiesa “militante“, perché i suoi membri o si trovano ancora a lottare tra le battaglie della presente vita.

– Chiesa “paziente“, in quanto altri membri espiano in purgatorio l’ultimo debito dovuto alla divina giustizia.

– Chiesa “trionfante“, perché ci sono altri ancora che finalmente godono in cielo il premio della loro vittoria.

Sicuramente i contenuti di questo dogma di fede, e quindi tutta la dottrina sulla comunione dei santi, si ricava dai vangeli (Mt 10,40; 18,17; 19,28..; Lc 10,16; Gv 15,5..), ma ci sono anche altri scritti del Nuovo Testamento che esplicitano in modo chiaro il contenuto della comunione tra credenti come un corpo vivo. In particolare l’esempio del corpo viene descritto da San Paolo:

«Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito»  (1Cor 12,12-13).

Di conseguenza San Paolo ne ricava l’intima unione tra i cristiani: «Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte» (1Cor 12,26-27).

A testimonianza, inoltre, dell’antichità di questa verità di fede esistono numerosissimi testi epigrafici e alcuni autori della più remota letteratura cristiana, come: – Clemente Romano, I Cor., V, 1, 4, 5; XXXVIII,1; LII, 2; LV, 6; – Erma, Pastore, vis. III, c. 4; – Ignazio di Antiochia, Rom., III, 2; IV, 2; Fil., V, 1, ecc.; Didaché, I, 3; X, 5; Epdi Barnaba, XXI, 7.

Anche nel sec. IV questa dottrina ebbe un grande sviluppo, soprattutto per opera dei grandi Padri della Chiesa, come Basilio, Gregorio Nazianzeno, Epifanio, Ilario, Ambrogio, Agostino…

Per questo, non oltre l’inizio del sec. V, non provocò nessuna opposizione il fatto che venisse inserita nel Simbolo apostolico della fede, cioè nel “Credo”, l’espressione communio sanctorum (cioè comunione dei santi) che si presentava come una sintesi della dottrina trasmessa dalla tradizione fino ad allora.

L’espressione “comunione dei santi“, infatti, compare per la prima volta nell’- explanatio symboli, n. 10, di Niceta di Remesiana (cfr. Patrlat., LII, col. 871) e poi anche nel trattato De Spiritu Sancto, I, c. 2, di Fausto di Riez, vissuto nello stesso secolo di Niceta.

Secondo San Niceta la Chiesa è “sanctorum omnium congregatio” (= riunione di tutti i santi), in quanto in essa partecipano tutti coloro che sono in grazia di Dio, vivi, defunti o nascituri, compresi quindi anche i giusti dell’Antico Testamento e gli angeli.

Queste sono le parole di Niceta di Remesiana: «…justi qui fuerunt, qui sunt, qui erunt una ecclesia sunt…Ergo in hac ecclesia crede te communionem consecuturum esse sanctorum…» (“I giusti che sono stati, quelli che sono, quelli che saranno, formano tutti una sola assemblea…quindi in questa assemblea credi che anche tu riceverai la comunione dei santi”).

Secondo la Chiesa cattolica, inoltre, la comunione dei santi non si interrompe con la morte, ma continua anche dopo.

San Tommaso D’Aquino spiega bene questo principio nella Summa Theologica: “Tra i beati del cielo e i fedeli della terra vivissime si mantengono le relazioni, poiché mentre da una parte i fedeli venerano e invocano continuamente i santi, questi intercedono presso Dio in favore dei viventi. Non meno viva è la relazione tra la Chiesa paziente e la militante: questa, compatendo le pene in cui si trovano immerse tante anime sorelle, si sforza di alleviarle con i suffragi, quali la messa, le indulgenze, preghiere, elemosine e altre opere di pietà e penitenza. Le anime purganti da parte loro pregano per le militanti, come piamente si crede, e giunte al possesso della gloria, intercedono presso Dio per esse. Anche fra la Chiesa trionfante e la paziente si mantiene stretta relazione: i beati non possono più direttamente soccorrere le anime purganti, ma le amano come sorelle, e offrono i meriti con cui essi arricchirono il tesoro della Chiesa, affinché le anime militanti, con le buone opere e le indulgenze, sappiano applicarli a quelle anime bisognose” (Summa theol., II-III, p. 83, a. 11).

Comprendiamo allora perché la Chiesa Cattolica creda che i santi siano in grado di intercedere presso Dio a favore dei credenti che sono vivi sulla terra. Tuttavia anche i vivi su questa terra possono pregare, ottenendo indulgenze in favore dei defunti.

In virtù di questo principio di comunione è certo che i santi non sono solo quelli proclamati dai papi, o che leggiamo sul calendario.

A questo proposito è opportuno riportare le parole del santo padre, papa Francesco, che spiega in termini molto semplici e facilmente comprensibili chi siano i santi: “santi sono tutti coloro che si trovano in Paradiso al cospetto di Dio, principio e fonte di ogni regalità e di ogni santità.. I santi sono ancora qui, non lontani da noi; e le loro raffigurazioni nelle chiese evocano quella nube di testimoni che sempre ci circonda… Sono testimoni che non adoriamo – beninteso –, ma che veneriamo e che in mille modi diversi ci rimandano a Gesù Cristo, unico Signore e mediatore tra Dio e l’uomo.. Un santo che non ti rimanda a Gesù Cristo non è un santo, neppure è cristiano… I santi ci ricordano che anche nella nostra vita, pur debole e segnata dal peccato, può sbocciare la santità, anche all’ultimo momento… Non a caso nei Vangeli leggiamo che il primo santo canonizzato è stato un ladro, canonizzato non dal Papa, ma dallo stesso Gesù!.. La santità è un percorso di vita, di incontro con Gesù, sia lungo, sia breve, sia di un istante”, perché “non è mai troppo tardi per convertirsi al Signore, che è buono e grande nell’amore… In Cristo c’è una misteriosa solidarietà tra quanti sono passati all’altra vita e noi pellegrini in questa: i nostri cari defunti, dal cielo continuano a prendersi cura di noi. Loro pregano per noi e noi preghiamo per loro e con loro. Il primo modo di pregare per qualcuno è parlare a Dio di lui o di lei: se facciamo questo frequentemente, ogni giorno, il nostro cuore non si chiude, rimane aperto ai fratelli. Pregare per gli altri è il primo modo di amarli e ci spinge alla vicinanza concreta… Anche nei momenti dei conflitti. Un modo di sciogliere, di ammorbidire il conflitto è pregare per la persona con la quale io sono in conflitto, e qualcosa cambia con la preghiera. La prima cosa che cambia è il mio cuore, il mio atteggiamento: il Signore lo cambia per rendere possibile nuovo incontro ed evitare che il conflitto divenga una guerra senza fine. Il primo modo per affrontare un tempo di angustia è quello di chiedere ai fratelli, ai santi soprattutto, che preghino per noi. Se nella nostra vita le prove non hanno superato il colmo, se ancora siamo capaci di perseveranza, se malgrado tutto andiamo avanti con fiducia, forse tutto questo, più che ai nostri meriti, lo dobbiamo all’intercessione di tanti santi, alcuni in cielo, altri pellegrini come noi sulla terra, che ci hanno protetto e accompagnato, perché tutti sappiamo che qui nella terra c’è gente santa, uomini e donne santi, che vivono in santità. Loro non lo sanno, neppure noi lo sappiamo, ma ci sono dei santi: dei santi di tutti i giorni, dei santi nascosti, o come mi piace dire i santi porta accanto”.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 948 spiega che: «Il termine “comunione dei santi” ha due significati, strettamente legati: 1) “comunione alle cose sante (sancta)” e 2) “comunione tra le persone sante (sancti)”».

– La comunione ai beni spirituali, quindi alle cose sante (sancta), l’abbiamo nella Chiesa per mezzo dell’unica Fede; dei Sacramenti e, in modo particolare, dell’Eucaristia con la quale «viene rappresentata e prodotta l’unità dei fedeli» (CCC 960); dei carismi che sono dati per l’edificazione e il bene di tutti; dei beni materialiogni cosa era fra loro in comune», At 4,32) e della carità che ci lega gli uni gli altri («nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso», Rm 14,7).

– Per quanto riguarda la comunione tra le persone sante (sancti), invece, occorre fare una precisazione. Attualmente quando parliamo di persone sante, normalmente intendiamo riferirci a persone che si sono distinte dalle altre per eroismo di virtù e che, per questo, sono state elevate dalla Chiesa all’onore degli altari. In realtà, però, il termine fu preso in questo senso solo quando nella Chiesa venne meno il fervore e aumentò il numero dei peccatori. In principio, però, non era così. Questo termine era usato nelle prime comunità cristiane indistintamente per indicare tutti i cristiani, come testimoniano le lettere di san Paolo apostolo che, rivolgendosi ai cristiani dell’una o dell’altra comunità, si serve di espressioni come: “Salutatemi tutti i santi che sono nella tale città”, ecc. E questo sia perché con il Battesimo noi veniamo realmente santificati (cf. 1Cor 6,11), sia perché diventiamo membra del Corpo mistico di Cristo, che è tutto santo (cf. 1Cor 12,27), sia, infine, perché siamo tutti invitati alla santità e chiamati alla gloria del Paradiso (cf. At 20,22).

Oggi quindi possiamo percepire la gioia che ci proviene da questa comunione di fede così profonda e viva, una gioia che ci fa entrare nella festa, che manifestiamo nella lode e nel rendimento di grazie, unendoci sempre di più nella fede in Gesù, come un corpo unito, vivo e santo.

Concludo con le parole profonde e intense del teologo svizzero Hans Urs von Balthasar, che ci offre parole capaci di farci percepire l’ampiezza, la larghezza e la profondità del dono d’amore che ci viene fatto attraverso la comunione dei santi:

Questa è la comunione dei santi, di cui ci gloriamo… Allorché dunque io soffro, non sono solo a soffrire; con me soffre Cristo e soffrono tutti i cristiani; dice infatti il Signore: “Chi tocca voi, tocca la pupilla del mio occhio”. Il mio peso, quindi, altri lo portano, la loro forza è la mia. La fede della Chiesa viene in soccorso della mia angoscia, la castità altrui mi sorregge nelle tentazioni della mia lascivia, gli altrui digiuni tornano a mio pro, un altro si prende cura di me nella preghiera. E così posso menar vanto dei beni altrui come dei miei propri; e miei propri sono quelli in verità, se me ne delizio e rallegro. Sia pur io vituperevole e turpe, coloro a cui tributo il mio plauso sono belli e gradevoli. Grazie a questo amore faccio miei non solo i loro beni, ma essi medesimi, e così in virtù della loro gloria la mia ingloriosità diventa onore, in virtù della loro dovizia viene colmata la mia indigenza, in virtù dei loro meriti sono sanati i miei peccati. Chi, allora, vorrà disperarsi per i suoi peccati? Chi non vorrà piuttosto rallegrarsi dei suoi castighi, quando non sopporta peccati né castighi egli stesso o almeno non da solo, dacché lo assistono molti santi figli di Dio e il Cristo medesimo? Una cosa sì grande è per la comunione dei santi e per la Chiesa di Cristo. Ma chi non crede che tanto avviene ed è un fatto, costui è un incredulo, che ha rinnegato Cristo e la Chiesa. Anche se non lo si sente, ciò avviene in verità; e chi è che non finisce col sentirlo? Se tu non disperi, non perdi la pazienza, a che lo devi? Alla tua virtù? No di certo, sibbene alla comunione dei santi. Credere che la Chiesa è santa che altro vuol dire se non che essa forma la comunione dei santi? Con i buoni così come con i cattivi: tutto appartiene a tutto, come è significato sensibilmente dal sacramento dell’altare nel pane e nel vino: vi siamo designati dall’apostolo come un solo corpo, un solo pane, una sola bevanda. Quel che soffre un altro, lo soffro e sopporto io; quel che gli capita di buono, capita a me. Lo dice anche Cristo, e avviene a lui quel che viene fatto al minimo dei suoi. Chi riceve la sia pur più minima particola del sacramento dell’altare, ha certamente dentro di sé il pane. E chi spregia quella minutissima particola, spregia il pane in quanto tale. Pertanto, quando abbiamo afflizioni, quando soffriamo, quando moriamo, qui si volga il nostro sguardo. Crediamo fermamente e siamo persuasi che noi o non solo noi, ma con noi Cristo e la Chiesa sopportano afflizioni, soffrono, muoiono. “Cristo ha voluto che il nostro sentiero di morte, del quale ogni uomo ha orrore, non fosse solitario, ma che battessimo la via della passione e della morte accompagnati da tutta la Chiesa che in questo soffre più fortemente di noi” (Lutero, Tessaradecas, 1520)”.

Entriamo allora nella festa di questa comunione e sentiamoci immersi nella gioia di essere anche noi parte del corpo risorto e vivo del Signore, in tutto ciò che viviamo. Il Signore ci renda uniti e forti, nella consapevolezza di essere tanto amati, perché a Lui tutti apparteniamo e in Lui viviamo.

 

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