Rifiuto del green pass, eccezionalità del contesto socio-politico e diritto di sciopero…
LA PROTESTA CONTRO IL PASSAPORTO VERDE È UNA DIFESA DELLO SPAZIO DI LIBERTÀ COSTITUZIONALE DEL CITTADINO-LAVORATORE NEI CONFRONTI DELLO STATO? UNA RIVENDICAZIONE DEI SINGOLI LAVORATORI A DIFESA DI DIRITTI COSTITUZIONALI AGGREDITI E/O MINACCIATI O COMUNQUE MINATI NELLA LORO EFFETTIVITÀ DAI PROVVEDIMENTI DELL’AUTORITÀ GOVERNATIVA?
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Di Mario Cerbone*
Il recente sciopero – proclamato dall’organizzazione sindacale FISI (Federazione Italiana Sindacati Intercategoriali) per il periodo dal 15 ottobre al 20 ottobre 2021 e che ha ricevuto la formale adesione del Coordinamento dei lavoratori portuali di Trieste – pone all’interprete non pochi interrogativi.
Anzitutto, va subito premesso che la fattispecie in esame risulta di difficile inquadramento giuridico, attesa la assoluta eccezionalità del contesto sociale e politico nel quale si inserisce la protesta. Stiamo parlando di una protesta che, è a tutti noto, si incunea in una conflittualità più ampia, che intercetta le istanze di cittadini contrari all’applicazione generalizzata del meccanismo della certificazione verde Covid-19 (c.d. green pass). Una protesta cioè che, sin dall’inizio, presenta motivazioni che oltrepassano i confini della (semplice) rivendicazione lavorativa.
Ciò detto, in punto di diritto, emergono alcuni aspetti specifici che conviene precisare.
Mi pare evidente che la Commissione di garanzia, nel suo intervento, abbia recisamente rifiutato, pur senza motivare, di inquadrare lo sciopero proclamato nell’alveo della fattispecie normativamente tipizzata di cui all’art. 2, comma 7 della legge n. 146/1990, ove si stabilisce che “… le disposizioni del presente articolo in tema di preavviso minimo e di indicazione della durata non si applicano nei casi di astensione dal lavoro in difesa dell’ordine costituzionale, o di protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori”.
L’ampiezza semantica e contenutistica della disposizione citata tuttavia non escluderebbe, in linea di principio, una lettura diversa, più aperta a valutare la legittimità della protesta sulla base delle “cause di insorgenza del conflitto” (art. 13, comma 1, lett. i), formula quest’ultima che costituisce anch’essa parametro legislativo per la stessa Commissione. Indagando la ratio della disposizione di cui all’art.2, comma 7, infatti, è pacifico ammettere che lo stesso legislatore abbia voluto fare riferimento astrattamente ad ipotesi di assoluta straordinarietà, ove la protesta, per la sua intrinseca connotazione finalistica, possa sottarsi al rispetto delle regole ordinarie del preavviso e della indicazione della durata. La particolare rilevanza delle finalità dello sciopero prevale sulle esigenze degli utenti, peraltro comunque garantite dal persistente obbligo di assicurare le prestazioni indispensabili sia pure con le difficoltà e i limiti derivanti dall’assenza o brevità del preavviso.
Orbene, provando ad applicare al caso di specie la fattispecie normativamente fissata, non si può escludere la riconducibilità dello sciopero in oggetto – proteso al rifiuto del c.d. green pass in ragione delle conseguenze negative nei confronti dei lavoratori – all’ampia motivazione ivi riportata, segnatamente nella parte in cui si richiama il concetto di “ordine costituzionale” (comma 7). Tale specifica motivazione, peraltro formalmente e convintamente addotta dal soggetto proclamante, può costituire elemento che, in via del tutto eccezionale, abbia condotto gli scioperanti ad assumere una forma di protesta così forte, che si ricollega – come si evince anche dalle dichiarazioni dei promotori – non già ad aspetti relativi all’ordinario svolgimento del contratto di lavoro ma a motivazioni/rivendicazioni più ampie, estese alla libertà costituzionalmente prevista di auto-determinazione dei singoli cittadini-lavoratori in materia sanitaria, che induce poi, di riflesso, a rifiutare l’applicazione di un meccanismo coercitivo (o comunque avvertito come tale) come la certificazione verde Covid-19 quale condizione per lavorare.
La protesta assumerebbe, in altri termini, un valore lato sensu di difesa dello spazio di libertà costituzionale del cittadino-lavoratore nei confronti dello Stato, proponendo, in senso ribaltato, una rivendicazione dei singoli lavoratori a difesa di diritti costituzionali aggrediti e/o minacciati o comunque minati nella loro effettività (almeno secondo la prospettazione degli scioperanti) dai provvedimenti dell’autorità governativa. In questi termini, essa rientrerebbe nelle larghe maglie normative dell’art. 2, comma 7.
Naturalmente, per suffragare questa lettura occorrerebbe un’attenta analisi dei comportamenti assunti e una ponderazione del processo volitivo che ha ispirato il soggetto sindacale nella proclamazione dello sciopero in rapporto alla esposizione formale delle motivazioni che ne erano alla base.
Su questo specifico aspetto, la Commissione avrebbe avuto uno spazio per attivarsi con un’attività istruttoria, magari facendo ricorso al potere di cui all’art. 13, comma 1, lett. c) di “… convocare le parti in apposite audizioni”. Tra l’altro, l’audizione avrebbe consentito senz’altro di vagliare, in ogni sua implicazione – e si tratta di un elemento tutt’altro che secondario nella vicenda – il significato della formale adesione che il Coordinamento dei lavoratori portuali di Trieste ha inteso conferire allo sciopero in esame.
L’intervento della Commissione di garanzia ha voluto, invece, come detto, respingere ab initio questa lettura, facendo utilizzo delle sue prerogative di moral suasion, formulando appunto una “indicazione preventiva” ex art. 13, comma 1, lett. d) della l. n. 146, accompagnata da una “nota” al Viminale, di preoccupazione per l’ordine pubblico (riconducibile al potere di cui all’art. 13, comma 1, lett. f).
La posizione del garante, a quanto consta, si fonda su base esclusivamente documentale e non è accompagnata – come anche è nei poteri della Commissione – da una valutazione acquisita per le vie brevi in contraddittorio con il soggetto proclamante. Evidentemente, è prevalsa nella lettura della Commissione l’urgenza di una decisione da assumere nella immediatezza di uno sciopero (qualificato) contrario alla regola della rarefazione oggettiva. Siffatta decisione, comunque, giova precisare, non ha una valenza formale di tipo sanzionatorio a carico dei soggetti proclamanti (come prevedono l’art. 4 e l’art. 13, comma 1, lett. i) ma è una mera prospettazione alle parti, con valore anticipatorio della decisione (indicazione immediata preventiva, appunto).
Sul piano procedimentale, si potrebbe argomentare su una possibile presunta sovrapposizione con l’area di intervento dell’Autorità precettante, dal momento che, nella logica della l. n. 146, le situazioni di pericolo grave ed imminente per i diritti degli utenti, derivanti dalle modalità particolarmente dure dello sciopero, sono affidate non già alla Commissione di garanzia quanto all’Autorità precettante (art. 8 della l. n. 146/1990 s.m.i.). Purtuttavia, è evidente che, pronunciandosi la Commissione di garanzia in via preventiva (con lo strumento della indicazione immediata) con la qualificazione in radice della illegittimità della protesta, è essa stessa ad escludere le condizioni per l’intervento dell’Autorità precettante.
*Professore aggregato di Diritto del lavoro
Università degli Studi del Sannio