Il giustificazionismo di matrice protestante avanza
NELLA NOSTRA SOCIETA’ MANCA IL SENSO DEL PECCATO
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di Matteo Castagna
La secolarizzazione porta con sé il fatto grave per cui le autorità, gli opinionisti, i filosofi cattolici sembrerebbero aver dimenticato il senso del peccato. Il giustificazionismo di matrice protestante pare avere avvolto anche i migliori, come la nebbia addormenta, in un certo qual modo, i sensi.
Se la Fede senza le opere è morta – come scrive San Giacomo – è, altresì vero che non basta la sola fede per salvarsi. Occorre, in via ordinaria, morire in grazia di Dio, ovvero riconciliati, attraverso il sacramento della confessione, con il nostro Creatore, che è immensa bontà e, altrettanto, somma Giustizia. Non sarebbe buono se non fosse, parimenti, giusto. E’ ovvio che nessuno può sostituirsi a Dio nel giudizio, così come mettere in discussione la Sua infinita misericordia, tanto quanto non ci si può far scudo di essa per peccare fortemente, con pieno assenso e deliberato consenso, in materia grave. Dove starebbe, altrimenti, il merito per la salvezza eterna? Per questo, possiamo ritenere come il colpo da maestro di Satana non solo il fatto di esser riuscito a far credere al mondo che egli non esista, ma soprattutto aver suscitato nella mente di alcuni e, de facto, nella prassi di molte persone, la facoltà di vivere come se anche il peccato non esistesse, o, comunque, fosse un qualcosa di superabile, perché perdonato, in automatico, dal Signore.
Non vi è nulla di più pernicioso per le anime di non riconoscersi peccatrici. Vediamo perché il peccato vada riconosciuto, accusato, perché siano indispensabili una contrizione perfetta nei suoi confronti, il proponimento serio e sincero di non commetterlo più, ed il pieno ravvedimento. Esso è un atto umano contro la Legge divina, che si esprime in pensieri, parole, azioni o omissioni. Trattandosi di atto umano esso presuppone sempre la cognizione e la libertà del soggetto, e quindi sempre qualche grado di malizia. La legge divina è naturale o positiva. Oltre ai peccati mortali e veniali che differiscono per gravità e livello di malizia, vi sono i peccati di specie morale, che sono gli atti che si oppongono alle virtù, in modo contrario oppure diverso. Il peccato capitale è quello al quale la natura decaduta dell’uomo è molto proclive, e diviene sorgente di molte altre mancanze, senza che questo appellativo significhi che ciascuno di tali peccati sia necessariamente una colpa mortale. Anche le tendenze ai peccati, per cui conviene, in tal senso, parlare di difetti o vizi capitali. San Gregorio Magno rese comune l’uso di annoverare sette peccati capitali: la superbia, l’avarizia, la lussuria, l’invidia, la gola, l’ira e l’accidia. S. Tommaso (S. Theol., I-II, q.84, a. 3 e 4) giustifica questo numero tenendo conto dei beni a cui l’uomo decaduto maggiormente tende, e dei mali da cui più rifugge. Tre, infatti, sono i beni creati ai quali la natura umana, dopo il peccato, è più proclive: la propria eccellenza, donde la superbia; i piaceri dei sensi, donde la gola e la lussuria; le ricchezze, donde l’avarizia. Due sono, d’altra parte, i mali dai quali maggiormente rifugge la natura decaduta: la diminuzione della propria eccellenza, donde l’invidia; la privazione della propria quiete e il dolore, donde l’accidia e l’ira. Nella Sacra Scrittura (Eccle. 9,15), la superbia è detta principio di tutti gli altri peccati; è stato, infatti, il peccato degli Angeli decaduti e di Adamo e, per natura sua, può condurre a qualunque peccato. La lotta contro i peccati capitali e le tendenze ad essi dà una pace profonda perché ristabilisce in noi l’ordine infranto dal peccato. Come sarebbe utile sentir predicare in tutte le chiese queste verità, indispensabili alla vita soprannaturale ed allo stato di grazia!
Ci sono, poi, i peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, quelli contro lo Spirito Santo e quelli che rendono l’uomo un pubblico peccatore. Dal sec. XVI invalse l’uso di includere nella prima categoria le colpe che infrangono gravemente l’ordine sociale, e delle quali è detto espressamente nelle Sacre Scritture che gridano al cospetto del Signore, ossia invocano il castigo di Dio su coloro che li commettono. Sono quattro: l’omicidio (Gen. 4,10); la sodomia (Gen. 19,13); l’oppressione delle vedove e degli orfani (Es. 22,22 ss.); il negare la mercede dovuta agli operai (Deut. 24, 14 ss: Giac. 5,4); (Tratto da: B. Markelbach, Summa theol. mor., I, Parisiis 1938, n. 445). Nella seconda categoria, l’espressione peccati contro lo Spirito Santo deriva da testi scritturistici (Matt. 12,31; Marc. 3,29; Luc. 12,10). Si intendeva la sistematica opposizione a qualunque influsso della grazia, da parte dei Farisei, i quali, per malizia, attribuivano al diavolo le opere miracolose fatte da Cristo per confermare la sua divina missione a salvare gli uomini. I Padri e gli Scolastici estesero in questa categoria tutti i peccati che consistono nel disprezzo e repulsione, per cattiva volontà, dei mezzi concessi dalla divina bontà all’uomo, al fine di ritrarlo dal peccato e salvarlo: una tale repulsione è un’offesa tutta particolare allo Spirito Santo, cui vengono attribuite le opere divine di santificazione. Essi sono: la disperazione della propria salvezza; la presunzione di conseguire l’eterna beatitudine senza meriti e penitenza; l’impugnazione ossia la negazione della verità cristiana, conosciuta come rivelata da Dio; l’invidia del bene soprannaturale del prossimo; l’ostinazione nel male, ossia la volontà di persistere nel peccato; il proposito di non pentirsi, ossia il resistere fino alla morte agli impulsi della grazia. Infine, peccatori pubblici sono coloro il cui stato di permanenza nella colpa grave è reso noto per mezzo di una sentenza di condanna, o è, di fatto, conosciuta da una gran parte degli abitanti di un luogo o dei membri di una comunità. Fra i pubblici peccatori si devono, dunque, annoverare, tra gli altri: coloro che danno grave scandalo con la loro condotta contraria alle Leggi di Dio, con ubriachezze e bestemmie; i nominalmente scomunicati o interdetti; i manifestatamente infami; i concubinari e le donne pubbliche, da molti conosciute come tali; coloro i quali notoriamente esercitano una professione illecita, o liberamente e pubblicamente fanno parte di una associazione proibita, ad esempio alla Massoneria, al partito comunista, o altre società dello stesso genere. A tali soggetti sono proibiti la Comunione, il Viatico e l’Estrema Unzione, laddove essi non siano pentiti sinceramente e abbiano dimostrato sincera volontà di riparare, nella misura del possibile, allo scandalo dato. (tratto da: B. Merkelbach, Summa Theologiae moralis, III, Parisiis 1939, n. 89, 277, 705, 871; M. Pruemmer, Manuale theologiae moralis, III, Frigurgi B. 1940, n. 79, 503. Cfr pure tutti gli altri testi di teologia morale e di diritto canonico nei trattati de Eucharistia, de sepoltura ecclesiastica. Contenuti presenti nel Dizionario di Teologia Morale, vol. II, pag. 319 – 322 Card. Roberti – Mons. Palazzini Ed. Effedieffe 2019, da Edizione Studium, 1955). Gesù non ha mai detto che essere cristiani sia facile. Occorre meritarsi la corona di Gloria, teniamolo sempre a mente, anche se queste eterne verità vengono sottaciute, deformate o, addirittura negate.