La benedizione nelle religioni
IN TUTTE LE FORME RELIGIOSE LA BENEDIZIONE È SEMPRE MEDIATA
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Di Giuliva Di Berardino
Oggi in questo nostro percorso di approfondimento di alcune tematiche di spiritualità e di cultura religiosa, intendo parlarvi della benedizione.
Tutti sappiamo che bene-dire significa dire il bene di qualcuno e tutti sappiamo che questo serve a promuovere la capacità di bene che è nell’altro, augurando il bene, la prosperità e la protezione celeste su una o più persone.
Per questo benedire è una delle possibilità più alte della persona umana perché si tratta di un’azione che suscita ed incrementa forze emozionali, psicologiche e anche spirituali che sono proprie del linguaggio umano, fatto di gesti e parole.
In particolare la parola di benedizione acquisisce un’autorità positiva sulla persona o la cosa che viene benedetta, al contrario della maledizione, che invece si caratterizza come una parola autoritaria e stigmatizzante, ma di entità negativa.
È interessante costatare che l’uso della benedizione, di fatto, anche se in diverse e molteplici modalità, si ritrova in tutte le religioni, sia in quelle in cui è più forte la percezione dell’elemento magico-superstizioso, sia in quelle che custodiscono e osservano una rivelazione codificata e si dirigono al Dio unico.
Una caratteristica comune a tutte le forme religiose è che la benedizione è sempre mediata da figure di riferimento, che svolgono un ruolo spirituale riconosciuto da una comunità di fede come i sacerdoti, o credenti che comunque si distinguono per la loro fede in Dio. Frequente nella Bibbia e nei diversi testi sacri, la benedizione emerge quasi sempre come una preghiera che si qualifica a volte come invocazione, più spesso come rendimento di lode e grazie a Dio. Infatti la benedizione può essere data dall’essere umano verso un altro essere umano, dall’essere umano verso Dio, ma può anche essere data da Dio stesso a una persona specifica, oppure a una o più creature in generale. In ogni caso, chiunque sia il destinatario, essa si presenta sempre come un augurio di prosperità e di felicità, di fecondità e di vita, per il bene. La parola ebraica che dice benedizione è berakhà, che deriva dalla radice barak (‘benedire’), e originariamente sta per ‘piegare le ginocchia’. Nel tempo, diventò una forma di intercessione, ‘pregare per il benessere di qualcuno’, ‘invocare su qualcuno benedizioni dal cielo’, ma anche ‘lodare ed esaltare Dio’. Le formule di benedizione che l’ebreo osservante recita nel corso del giorno ‘berakot’ individuali, familiari, oltre alle preghiere e benedizioni della liturgia familiare e sinagogale dei giorni feriali, dello Shabbat, o delle altre feste e solennità annuali.
Nell’ebraismo e nel giudaismo posteriore troviamo un intero trattato del Talmud babilonese, il primo, della Mishnāh che porta il titolo Benedizioni e contiene le prescrizioni relative a quelle che si devono rendere a Dio in ogni momento e per ogni azione o fatto nella vita. In questo trattato si trova scritto che chiunque goda di qualcosa di questo mondo senza aver pronunciato la benedizione commette peccato di appropriazione nei confronti di Dio e del prossimo. Perché? Per giustizia, che è il principio che garantisce la pace tra gli uomini e le donne. Nel momento in cui noi godiamo delle risorse del mondo “è buono e giusto” benedire e ringraziare Dio.
Da questo possiamo capire che può benedire Dio solo chi si rende disponibile a sentire e a vedere Dio come il Signore della pace, Colui che è all’origine della vita del mondo. Tutte le religioni riconoscono in questi termini la benedizione. Ricordiamo infatti che l’atto di benedire per «rendere grazie» per il cibo, in varie circostanze, si ritrova infine anche nel Vangelo. Accenno solo al fondamento della berakà che costituisce il banchetto eucaristico, in cui Gesù benedice, appunto, il pane e il vino come segno del dono della sua vita per la remissione dei peccati. Ma non solo! Affine a questo senso della benedizione è anche, in certo modo, la basmala (o anche bismillāh), invocazione del «nome di Allah clemente e misericordioso» nell’Islam. La benedizione è il fondamento del nostro essere al mondo che ci mette in una relazione di riconoscenza verso Dio, ma è anche il modo in cui Dio ci viene incontro e agisce in nostro favore.
La Bibbia a proposito ci trasmette un episodio interessante, raccontato nel libro dei Numeri, ai capitoli 22-24, in cui Balak, re di Moab, per eliminare la minaccia che per lui era il popolo ebraico, aveva aveva pagato il mago Balaam perché distruggesse il popolo di Israele con la forza contraria alla benedizione, che è la maledizione. Il testo racconta che Balaam, cercò in ogni modo di guadagnarsi quei soldi, ma nonostante i suoi sforzi, invece delle maledizioni dalla sua bocca uscivano benedizioni, delle bellissime benedizioni, tra le più belle benedizioni che mai su Israele siano state pronunciate. E perfino alcuni profeti (Is 43, 10-21) ricordano e sottolineano questo evento, affermando che il Signore ha trasformato la maledizione in benedizione.
Nella Chiesa cattolica la benedizione è un vero e proprio rito liturgico che consiste in un segno di croce, da solo o con una formula, e a volte accompagnato da aspersione con acqua benedetta o unzione con oli santi. Le formule delle benedizioni sono contenute in un apposito libro liturgico, il Benedizionale. Quello in vigore è stato promulgato dalla Congregazione per il culto divino a compimento di quanto stabilito dal Concilio Vaticano II (Ordo Benedictionum, 1984) e contiene una distinzione tra benedizioni: – benedizioni consacrative o costitutive, che servono a rendere sacro un oggetto, destinandolo così al culto, e non più a usi profani (come le benedizioni della chiesa, di un altare, di vasi sacri, ecc..) – benedizioni invocative o comuni, con cui si domanda a Dio un particolare bene spirituale o temporale (per esempio ci sono formule di benedizione dei cibi, di macchine ecc..). – benedizioni apostoliche, elargite dal papa, che possono essere a loro volta: ordinarie o comuni, cioè impartite in forma privata; solenni urbi et orbi, al mondo intero, cui č generalmente congiunta l’indulgenza plenaria e di cui gode anche chi le ascolti per radio o per televisione. Queste benedizioni sono impartite perciò in occasioni solenni dalla loggia esterna di S. Pietro o di altre basiliche romane; in articulo mortis data al malato in pericolo, anche non imminente, di morte. Anche a questa benedizione è annessa l’indulgenza plenaria; possono e debbono impartirla il parroco o il sacerdote che assiste il moribondo, secondo le formule del rituale. -benedizione papale impartita in nome e per delegazione del papa.
Nel rito bizantino della benedizione sono importanti le dita della mano, che sono poste in modo da produrre le lettere IC e XC (= Iesus Christus); Da questa antica gestualità sacra viene poi la posizione della mano che anche la chiesa romana antica ha fatto propria, con le tre prime dita della destra distese, che indicano la Trinità e le due ripiegate, che indicano le due nature di Gesù Cristo. Nel rito cattolico attuale, invece, la benedizione č accompagnata da un semplice gesto: le mani aperte, gesto della preghiera che raccogliere tutto nell’unità e che ci guida tutti verso la pace.
Per concludere sul tema della benedizione, vorrei illustrare una delle più antiche benedizioni che l’essere umano ha saputo pronunciare e che si trova nella Bibbia. Si tratta di un testo che viene considerato e si trova in Numeri 6, 22-27, conosciuta come la “Benedizione di Aronne sacerdote”, una benedizione “per eccellenza” ripresa in diverse forme religiose e che può essere il vero modello della benedizione che possiamo donarci l’un l’altro. Si tratta di un testo che si presenta come una vera e propria formula di benedizione che viene Leggiamo il breve testo: “Così benedirete i figli di Israele dicendo per loro”; e incomincia la formula della triplice benedizione, composta cioè di tre versi. Il primo verso è composto di tre parole, il secondo di cinque, il terzo di sette. Quindici parole, e il numero 15 è Ja, che vuol dire Dio, il Nome di Dio.
La triplice formula è questa: “Ti benedica il Signore e ti protegga. Illumini il Signore il Suo viso e ti conceda la grazia. Rivolga il Signore il Suo viso verso di te e ponga su di te la pace”. Cerchiamo di cogliere qualche caratteristica di questa formula di benedizione tra le più antiche, che potremmo definire “universale”: “Ti benedica il Signore e ti protegga” La prima osservazione è abbastanza evidente: se il Signore ti benedice, č ovvio che ti protegge. Quindi se c’č la Berakhŕ c’è tutto. Ma.. da che cosa deve proteggerti Dio? Dal tuo istinto malvagio, dalla tentazione maligna a cui tutti soggiaciamo e che insinua in noi: “sei tu il più grande, sei tu il più bravo, sei tu che crei, sei tu che determini tutto”. Se subentra questa tentazione e questo atteggiamento, la Berakhŕ perde forza, perciò la benedizione è necessaria, perché è l’assicurazione contro l’istinto malvagio che abbiamo tutti. “Illumini il Signore il suo viso e ti dia la grazia”.
L’illuminazione del volto di Dio nei confronti dell’uomo. Quando noi guardiamo, sorridendo, una persona la mettiamo nella condizione di aspettarsi qualche cosa di buono e di positivo da noi. Allora la benedizione è dire a qualcuno: “Il Signore ti renda partecipe della sua luce”… “e ti conceda la grazia” Cioè ti renda grazioso, simpatico, attraente, degno di affettuosa attenzione da parte degli altri. Ma può anche voler dire “che faccia posare” (dalla radice verbale di chanŕ che significa posarsi, accamparsi), nel senso che faccia scendere la luce della sua provvidenza su di te. “Rivolga il Signore il suo viso verso di te, e ponga su di te la pace” Qui si prega Dio che voglia orientare il suo volto in direzione della creatura. E chi è sotto lo sguardo di Dio, è in pace: “e ponga su di te la pace”. La condizione per vivere integralmente la compiutezza della pace č di essere sotto lo sguardo di Dio. Assistiamo ad un crescendo: ti benedica, ti protegga, indirizzi il suo sguardo di luce verso di te, ti riempia di grazia e di luce. E infine ” ponga su di te la pace”.
La pace è il dono che viene dall’alto, ma č anche uno strumento nostro per poter accelerare, aumentare, incrementare la discesa dello Spirito di Dio. In prospettiva dello Shalom non si può rimanere in posizione statica, ma costruendo la pace tra gli uomini e le donne di questo mondo, perché se chiediamo la benedizione dall’alto, occorre che cerchiamo insieme lo Shalom. La Berakhŕ ha bisogno dello Shalom. Senza Shalom la Berakhŕ rischia di perdersi per strada e, quindi, di non arrivare fino a noi. Il legame tra pace e benedizione è evidente già nel termine ebraico di Berakhŕ, perché questa parola, come notiamo, viene scritta con la lettera bet dell’alfabeto ebraico che indica anche il numero due, la pluralità. Benedire, allora, è fare sintesi, ricollegare la pluralità del mondo materiale all’unitŕ del mondo spirituale, che non è altro che la sintesi dell’esistenza. Ecco perché nella Bibbia la benedizione è legata sempre alla vita, anzi, alla trasmissione della vita e l’atto del benedire è sempre un atto spirituale, fatto di gesti e parole, che ricollega la persona alle fonti stesse della vita.
La benedizione sulla creazione, quindi, significa che ogni creatura viene ricollegata alla radice celeste perciò è la benedizione che collega il mondo materiale della pluralità e della dualità col mondo spirituale dell’unità, che è il Santo, Dio-Unità. Anche nell’insegnamento di Gesù si fa riferimento al bisogno che tutti abbiamo di fare unità dentro di noi per entrare nel segreto della dimora interiore, per poter benedire Dio, prima nel proprio cuore e poi insieme agli altri credenti, perché benedire Dio è innanzi tutto ritornare al centro di noi stessi, portare a compimento il senso della nostra esistenza sulla terra, che è la pace.