San Francesco non fu “pacifista globalista” né scese a “compromessi” con l’Islam
LA TESTIMONIANZA “GUERRIERA” DELLA FEDE DEL POVERELLO DI ASSISI
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Di Daniele Trabucco
Nella giornata odierna la Chiesa celebra la festa liturgica (bianco) di san Francesco d’Assisi (1181-1226), diacono, fondatore dell’Ordine francescano e, dal 18 giugno 1939, patrono principale d’Italia insieme a santa Caterina da Siena.
“Araldo del Vangelo” lo definisce Papa Pio XII (1939-1958) in occasione del discorso del 05 maggio 1940 sui santi patroni della penisola, il “poverello di Assisi” fu guerriero intrepido, poco incline ai compromessi con il mondo, ma fiero e innamorato della sua fede.
Si comprende, allora, che la conversione del santo è il presupposto per testimoniare ovunque Cristo l’unico e solo Salvatore di tutti gli uomini. Pertanto, anche l’incontro, avvenuto nel 1219 durante la V crociata con il sultano di Egitto e Palestina dietro quell'”ardore di carità”, come lo chiama il biografo Tommaso da Celano, deve essere letto non nel prisma del pacifismo globalista contemporaneo, ma in quello dell’effusione del proprio sangue per diffondere la Verità rivelata.
Il “dialogo” di Francesco è una sfida a provare qual è il vero Dio, proprio come il profeta Elia nell’Antico Testamento con i sacerdoti di Baal, la quale si fonda sulla roccia della propria fede e della propria identità e non a scapito di queste.
Vanno, dunque, respinte quelle letture “oleografiche”, coperte da “ecumenismo neomodernista”, per cui in Francesco era assente qualunque annunzio attivo del Vangelo.
L’intento di questa “ermeneutica moderna” è evidente: evitare una chiave interpretativa ancorata ad una “Chiesa ritenuta intransigente” (in realtà solo cattolica) rispetto ad una “Chiesa inclusivista”.
A sostegno di questa tesi si cita il capitolo 16 della Regula non bollata: “I frati che vanno tra gli infedeli [e in specie tra i saraceni] possono vivere e comportarsi con loro, spiritualmente, in due modi. Un modo è che non suscitino liti o controversie, ma siano soggetti, per amore di Dio, a ogni umana creatura, e confessino di essere cristiani”.
Si dimentica, però, l’altro modo: “quando vedessero che piace al Signore, annuncino la parola di Dio, affinché quelli credano in Dio onnipotente, Padre e figlio e Spirito Santo, creatore di ogni cosa, il Figlio redentore e salvatore; e siano battezzati e diventino cristiani, poiché chi non nasce dall’acqua e dallo Spinto Santo, non può entrare nel regno di Dio“.
Bastano queste parole per smontare il “preteso irenismo ad oltranza” di Francesco. Egli non ha timore di portare alla Chiesa nuovi figli, consapevole che l’invito alla vera fede è proprio dell’annuncio del Vangelo e la conversione che ne segue frutto dell’incontro tra la grazia di Dio e la libertà dell’uomo.