Politica e diritto: l’eterno conflitto
IL DISTICO DIALETTICO DI POLITICA E DIRITTO COSTITUZIONALE: OVVEROSSIA IL CONFLITTO IMPOSSIBILE TRA RAGIONE E VOLONTÀ
–
Di Vincenzo Baldini
Il distico dialettico politica/diritto (costituzionale) si presenta complesso, articolato in una serie di eterogenee connotazioni tutte però connotate da un comune denominatore, che è rappresentato dalla inscindibile relazione esistente tra tali termini. Tale distico reca in sé una intrinseca venatura polemica quando rivela la tensione tra la sfera del voluto, nella costruzione della vita pubblica; e quella del possibile perché ed in quanto lecito.
Come volontà normativa il diritto positivo procede dalla politica ed a questa si riporta, ma come espressione di volontà razionale (Badura) esso trova nella Costituzione quale Legge fondamentale la ragione ultima di ogni legittimazione.
Sebbene negli ordinamenti democratici il diritto riflette nei suoi contenuti le aspirazioni razionali della politica, anche in essi sussiste una naturale inclinazione della politica a liberarsi dai lacci della razionalità costituzionale per conferire effettività alle proprie ambizioni di modellamento della vita sociale. Così, dalla tensione alla prevaricazione il passo si fa breve.
Le esuberanze della politica si accentuano, poi, in situazioni come quella attuale dove una originaria condizione di emergenza (sanitaria) ha richiesto una reazione repentina dello Stato attraverso un’immediata e efficiente azione di prevenzione. In tale circostanza Governo e maggioranza politica più che riflettere, nelle misure adottate, l’esigenza di osservanza della Costituzione – che non vuol dire escludere, per ciò stesso, il possibile sacrificio di diritti e libertà fondamentali ma contenerlo entro limiti di tempo e di materia necessari al superamento dell’emergenza – ha quasi avvertito quest’ultima come un letto di Procuste, ostativa o addirittura inibitrice in relazione agli obiettivi perseguiti.
Ha preso avvio, così, una narrazione che è giunta a tradurre in termini virtuosi misure di limitazione di diritti e libertà fondamentali nell’intento di celare o coprire la vera causa politica che he ha sostenuto l’adozione. In questo senso va, ad es., la celebrazione di soluzioni – come la certificazione verde – descritta nella narrazione politica come presupposto di libertà o di tutela dei diritti individuali ma la cui capacità di generare chiare discriminazioni tra soggetti nell’esercizio di diritti costituzionali (libertà personale, libertà d’istruzione e culturale in senso lato, etc.) appare di tutta evidenza.
Nello specifico della citata certificazione verde (green pass) regolata dai più recenti dd. ll. governativi, la ragione che ne giustifica l’esistenza e l’obbligatoria esibizione da parte delle categorie di soggetti (in evidente espansione)a tanto tenute secondo la normativa emergenziale appare tuttora poco perspicua, oltre che di dubbia legittimità costituzionale. In effetti, è ormai notorio in quanto ammesso da scienziati della materia e definito anche nelle specifiche pubblicazioni scientifiche – che la suddetta certificazione acquisita attraverso la vaccinazione non offre alcuna garanzia reale di immunità dal virus del soggetto portatore. Stante la rapida mutazione del virus stesso e dunque la sua capacità di elusione della barriera vaccinale, difetta ogni sicurezza che il possessore di certificazione non sia o non possa più venire contagiato e, di conseguenza, risultare anche contagioso. Né tale sicurezza potrà investire il possessore di pass acquisito attraverso l’effettuazione di tampone molecolare e/o antigenico rapido, stante che l’esito della certificazione non preserva affatto dal rischio di contagio anche subito dopo il controllo ufficiale effettuato.
Tanto non può non portare a interrogarsi a lungo, oltre che sulla legittimità costituzionale della disciplina che prevede un tale strumento, sull’ obiettivo politico reale ad essa sotteso, tanto più che la stessa disciplina appare conformarsi poco alla ratio e ai caratteri del figurino corrispondente disciplinato dalla normativa comunitaria (Reg. UE n. 953/2021). In quest’ordine d’idee, ancor meno razionale e comprensibile è la decisione relativa all’esclusione dal novero dei controlli a seguito dei quali può ottenersi la detta certificazione, dei cd. tamponi salivari rapidi, non invasivi e molto meno costosi, peraltro ufficialmente validati anche dall’ISS ed usati in altri Paesi dell’UE.
Ciò tanto più, peraltro, se si tiene conto che il sopracitato regolamento comunitario parla di facilitazione al rilascio della certificazione in modo “economicamente conveniente” (41. “Considerando”). Peraltro, sintomatiche nella rivelazione di tale obiettivo possono intendersi le parole del Ministro della P.A., Brunetta, che nel magnificare “la logica …geniale” del green pass ha ammesso che i tamponi antigenici rapidi rappresentano “un costo psichico (“fatevi infilare dentro al naso fino al cervello i cottonfioc lunghi…”) … e un “costo monetario” per chi decide di sottoporvisi, oltre al “costo organizzativo” per svolgerli (occorre andare in farmacia, aspettare il tempo necessario etc.).
Non si fa esercizio di fantasia politica, allora, se si suppone che l’intento sotteso alla misura emergenziale in parola possa consistere nell’induzione (per usare un eufemismo…) alla vaccinazione di chi, esercitando una libertà costituzionale, ha scelto finora di non sottoporvisi. In questo senso, del resto, sembra andare anche la decisione, di natura premiale, di estendere in certi casi la validità della certificazione verde acquisita attraverso la vaccinazione (lasciando ovviamente inalterata alle sole 48 ore quella acquisita attraverso tamponi antigenici rapidi).
Così facendosi, tuttavia, si finisce nell’effetto per emancipare la validità della certificazione dal suo logico vincolante presupposto, vale a dire la efficacia protettiva del vaccino. In altre parole, disconosciuta in tal modo la corrispondenza, almeno virtuale e presunta, tra il tempo di durata di tale efficacia protettiva e i tempi di validità della certificazione in parola, il pass si converte in mero presupposto amministrativo (un’autorizzazione)per l’esercizio di diritti fondamentali, a partire dal diritto al lavoro (art. 5 u.c., d.l. n. 127/2021).
Ciò, oltre a evidenziarne i dubbi di costituzionalità condizionandosi l’esercizio di diritti costituzionali a presupposti e condizioni che la stessa Costituzione non sancisce (si pensi, per tutte, alla libertà di riunione, che la Cost. afferma in generale non sottoponibile ad alcuna autorizzazione: art. 17 Cost.), rivela le mire effettive di una politica insofferente a vincoli e prerogative sancite dal dettato costituzionale, tra i quali è la libertà di autodeterminazione individuale in materia sanitaria (art. 32 c. 1 Cost.).
Dietro l’introduzione del pass, dunque, si cela la volontà politica di introdurre surrettiziamente un obbligo vaccinale la cui ammissibilità, tuttavia, è dalla Legge fondamentale condizionata a presupposti di forma (riserva di legge) e di razionalità sostanziale (art. 32 c. 2 Cost.). Se poi si aggiunge che tra la misura in questione è stata estesa ai lavoratori del settore privato come ad altre categorie di dipendenti pubblici(es., magistrati, professori universitari, personale delle forze di P.S., etc.: art. 1, c. 1, d.l. n. 127/2021; per i magistrati, nello specifico, art. 2 cc.1 e 2., d.l. n. 127/2021), mentre per gli organi costituzionali è stato formulata l’esortazione ad adeguare “ciascuno nell’ambito della propria autonomia” i rispettivi ordinamenti alla stessa disciplina (art. 1, c. 12, d.l. n. 127/2021), se ne ricava la sensazione di una politica che miri ad una sorta di generale sanificazione vaccinale del Paese.
Quanto tali imposizioni possano coniugarsi, in particolare, con la condizione giuridico-costituzionale dei magistrati (art. 101 ss. Cost.), chiamati all’esercizio di attribuzioni di immediata rilevanza costituzionale, direttamente e immediatamente funzionali all’effettività del sistema delle garanzie dello Stato costituzionale di diritto, appare questione ulteriore, meritevole di attenzione. L’eventuale esercizio (legittimo!) della libertà di autodeterminazione di cui si è detto da parte dei magistrati, infatti, finirebbe verosimilmente per condurre a un conflitto politico-istituzionale di non poca misura, con inevitabile pregiudizio dei relativi diritti e interessi costituzionali, individuali e generali, che a tale assetto necessariamente si raccordano.
In conclusione, quanto più si manifesta l’insofferenza della politica per i limiti imposti dal diritto positivo tanto più si avverte la necessità che la sua azione debba essere contenuta entro le maglie della disciplina normativa. Le Costituzioni -come è noto-nascono per la tutela dell’individuo contro l’arbitrio del potere (U. Preuß) anche quando il potere non corrisponde ai capricci di un sovrano assoluto ma è legittimato dal popolo ed è esercitato da un collegio di rappresentanti. Le Costituzioni, dunque, si legittimano nell’effettività del rendimento cui sono naturalmente preordinate, nella capacità cioè di porre un argine effettivo all’arbitrarietà del potere e, nel contempo, di indurre e lasciar maturare una coscienza della libertà nei singoli anche in fasi in cui l’emergenza sembra giustificare una liberazione del Leviatano. Ma nessuna violazione della Legge fondamentale in nessun periodo deve essere consentita, rimanendosi nell’orizzonte dello Stato di diritto: se ciò non fosse, significherebbe che quest’ultimo è stato sacrificato sull’altare di un’autorità assoluta. E l’autorità assoluta è, essa stessa, arbitrio.
*Ordinario di diritto costituzionale dell’Università degli studi
di Cassino e del Lazio Meridionale