Padre Gabriele Amorth “ha combattuto lunghi corpo a corpo col demonio”
AGLI ESORCISTI PADRE AMORTH HA LASCIATO LA SUA ESPERIENZA, I SUOI CONSIGLI, IL CONFORTO DI UN MINISTERO APPASSIONANTE MA DURO, FATICOSO, NASCOSTO, PREZIOSISSIMO, MA NON SEMPRE COMPRESO E APPREZZATO…
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Di Don Stefano Stimamiglio*
Caro don Gabriele,
eccoci qui a darti l’ultimo saluto. Ci sono tante, troppe cose che ti vorremmo dire in quest’ultimo commiato terreno che ti facciamo, tutti qui uniti nell’unica fede che ci può salvare: quella in Cristo Risorto. Solo in Lui c’è salvezza, c’è vita, c’è speranza, c’è gioia, c’è liberazione dai tanti mali che ci affliggono, che colpiscono l’umanità. E questo tu, figlio fedele del beato Giacomo Alberione, fondatore della Famiglia Paolina, lo hai insegnato a tutti noi e in tanti modi nella tua lunga vita.
Oggi non vogliamo piangere la tua dipartita. Tu non lo avresti voluto. Adesso, per sdrammatizzare, ci diresti, come da tuo stile: «Compagnino bello, Compagnina bella, cos’è quell’aria funerea? Gesù non è mica contento! Fate festa, perché finalmente ho incontrato il mio Signore, e qui è festa. E che festa!».
Sai, don Gabriele, ti crediamo ma pensiamo che anche per te, come per tutti, è stato difficile quel passaggio stretto che è la morte. Ripensiamo alle parole del salmista che abbiamo appena ascoltato e sentiamo che erano anche le tue parole, in quegli ultimi istanti: «Rispondimi presto, Signore, viene meno il mio spirito. Non nascondermi il tuo volto, perché non sia come chi scende nella fossa». Parole di speranza, di attesa. Un istante dopo ti pensiamo immerso nell’amore di Dio, quel Dio che hai servito fedelmente come sacerdote fin dalla tua ordinazione, nel lontano 1954, e che hai cercato fin da bambino. Ma tu, cercandolo, lo hai servito sempre. Anche quando da ragazzino ti sei sentito chiamato a difendere il popolo italiano, la nostra Patria come partigiano, rischiando la tua vita. Sì perché, come dice l’Apostolo Paolo (cfr. Fil 3,8-9), il cristiano, l’uomo di Dio, il pastore è disposto a rischiare e perdere la propria vita per il fratello, in quanto egli sa che egli non ha nulla da perdere, perché ha guadagnato Cristo. Cioè tutto. E tu, da buon Paolino, questo lo sapevi bene e lo vivevi.
Ma il Signore lo hai servito anche quando ti sei affacciato alla vita politica, a poco più di 20 anni, seguendo le orme del tuo papà Mario. Hai intravisto il volto splendente del Signore negli uomini di Dio e nei santi che hai incontrato da giovane: quelli impegnati nella politica (i Servi di Dio Giorgio La Pira e Alcide De Gasperi, il Venerabile Giuseppe Lazzati, Giuseppe Dossetti); quelli consacrati a Dio nella Chiesa: san Giovanni Paolo II, san Pio da Pietralcina, il beato Giacomo Alberione, la Venerabile Mamma Nina, madre del tuo caro amico Paolino don Franco Testi, don Zeno di Nomadelfia e chissà quanti altri.
Ma tu il volto del Signore Gesù lo hai incrociato per molti anni, fin dal 1985, soprattutto negli occhi e nei volti segnati dal dolore di una categoria di tribolati della storia che Gesù amava: gli indemoniati, i tribolati dalle malattie dello spirito, i dubbiosi, i malati psichiatrici, che a migliaia hanno bussato alla tua porta chiedendo aiuto e conforto. Anche loro sono gli anawim, i poveri di Israele, che Gesù guardava con compassione, amandoli e liberandoli. E ha continuato a farlo per tanti anni anche attraverso la tua opera di esorcista della diocesi di Roma.
Oggi per noi si apre un grande vuoto ma la storia biblica ci insegna che ogni grande uomo di Dio quando muore lascia un’eredità da raccogliere. La mente va alla consegna del “testimone spirituale” di Elia, che lascia il mantello, segno della sua missione profetica, ad Eliseo mentre viene rapito su un carro di fuoco (cfr. 2Re 2). E i tuoi eredi, caro don Gabriele, siamo ciascuno di noi.
Noi Paolini e tutti i membri della Famiglia Paolina ereditiamo da te l’amore per quello che noi chiamiamo il “Primo Maestro”, cioè il beato don Alberione, il nostro fondatore. Tu ne hai conosciuto da vicino la forza spirituale, la santità, l’amore per Gesù, Divino Maestro. Hai interpretato, secondo il tuo “spartito di vita” – unico come unico è quello di ciascuno di noi – l’unione feconda tra apostolato e preghiera. L’uno senza l’altra rimane sterile, nudo esercizio di virtuosismi personali. Si è giornalisti, librai, diffusori paolini (e cristiani) solo se si vive l’unione con Dio. Una forma di “Ora et labora”, di benedettina memoria, stupendamente interpretato dalla spiritualità paolina nel mondo della comunicazione di oggi, verso il quale come Paolini e Paoline ci sentiamo chiamati.
Noi sacerdoti ereditiamo da te, che sei stato padre per molti, il senso di paternità. In un mondo che perde le identità, che rende tutti sempre più individui autonomi e autoreferenziali, senza tempo e senza spazio, senza memoria del passato né attesa del futuro, essere padri è segno di profezia. Tu sei stato padre per tanti, insegnandoci che paternità significa compatire, aiutare, ammonire, dare speranza di futuro, incoraggiare, comunicare con i gesti e le parole che siamo tutti figli dell’unico Padre che nel Figlio ci ha salvati. Essere padri, ci hai insegnato, significa amare.
Ai tuoi tanti colleghi esorcisti lasci la tua esperienza, i tuoi consigli, il conforto di un ministero appassionante ma duro, faticoso, nascosto, preziosissimo, ma non sempre compreso e apprezzato. Loro hanno avuto in te un maestro, un esempio di soldato nella lotta contro Satana, attrezzato solo con le armi dello Spirito, come ricorda ancora l’Apostolo Paolo: la cintura della verità, la corazza delle opere giuste, i sandali della prontezza ad annunziare il messaggio di pace del Vangelo, lo scudo della fede con cui spegnere le frecce infuocate del Maligno, l’elmo della salvezza, la spada dello Spirito Santo, cioè la parola di Dio (cfr. Ef 6, 14-17). Ti ringraziamo perché è grazie ai tuoi libri, alle tue interviste, alle tue insistenze in ogni occasione opportuna e non opportuna (cfr. 2Tm 4,2), che il numero di esorcisti è aumentato nella Chiesa, anche se non come avresti voluto tu (come dal 1990 in Polonia). È grazie al tuo essere comunicatore Paolino che tanti fratelli sacerdoti esorcisti hanno potuto formarsi in una materia tanto difficile e delicata. Ti chiediamo di proteggerli e di incoraggiarli dal cielo, perché perseverino in questo loro prezioso servizio a favore del popolo di Dio. E ti chiediamo di assistere i loro tanti aiutanti laici (colleghi di Rosa, il tuo storico “braccio destro” lungo tanti anni), che eroicamente donano il loto tempo a questa opera di misericordia spirituale.
I tuoi amici tribolati nello spirito ereditano da te il senso della speranza cristiana. Nel brano tratto dal libro dell’Apocalisse che abbiamo ascoltato, l’apostolo Giovanni scrive: «Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più». Dio fa nuove tutte le cose, fa nuova la nostra vita. Chi ha vissuto la liberazione dagli effetti nefasti del demonio questo l’ha sperimentato in prima persona. Chi è ancora in cammino sa che il Nemico dell’uomo, il diavolo, non avrà mai l’ultima parola e sa bene anche che lui non ci può provare oltre le nostre forze: questo ce lo assicura ancora una volta l’Apostolo Paolo (cfr. 1Cor 10,13). L’ultima parola ce l’ha solo Cristo Signore: è la croce che salva («Ecce crucem Domini», «Ecco la croce del Signore», si legge nel Rituale degli esorcismi). Croce non vuol dire morte ma vita. Ecco il senso ultimo della speranza cristiana. Ecco il senso della rivoluzione cristiana che vivete nella vostra carne.
Il popolo di Dio eredita da te tante cose. Innanzitutto lo spirito delle beatitudini, così mirabilmente espresso da Gesù nel brano del Vangelo di Matteo che abbiamo appena ascoltato: cioè il desiderio incontenibile di santità, unica prospettiva di senso della vita cristiana. Papa Francesco l’ha chiamato il “programma”, la “carta d’identità del cristiano”. La povertà di spirito (il non sentirsi grandi), la mitezza, la sete di giustizia, la misericordia, la purezza del cuore, l’essere operatori di pace, l’essere perseguitati o afflitti o insultati… Per il mondo sono follia, è la stoltezza della croce… Ma per chi si salva è potenza di Dio (cfr. 1Cor 1,18). Scoprire la pace e la gioia dentro la sofferenza, anche in quella terribile della possessione diabolica, fare esperienza della vita dentro la morte: ecco la sfida del cristiano che tu, don Gabriele, hai accettato, vissuto e sofferto nelle tue tante vicende in mezzo a noi, belle e brutte, e che ci hai riproposto in ogni occasione.
Ma la comunità dei fedeli eredita anche il senso tragico del peccato, che la nostra cultura contesta o ridicolizza, e la memoria del giudizio sulla nostra vita che ciascuno di noi vivrà nell’ultimo giorno davanti a Dio. Tu hai combattuto lunghi corpo a corpo col demonio, caro don Gabriele, cioè contro le manifestazioni straordinarie di Satana; ma non hai smesso di metterci in guardia contro il pericolo maggiore, che minaccia tutti: la manifestazione più ordinaria e, si può dire, banale del male, cioè il peccato: il farci uccisori del fratello, della sorella negli infiniti modi in cui questo è possibile. Al cospetto di Dio misericordioso, ci ricorda il brano dell’Apocalisse che abbiamo letto oggi, ci presenteremo e saremo giudicati come abbiamo vissuto, portandoci dietro le nostre opere, buone e cattive. Saremo tutti sottoposti al giudizio di misericordia di Dio.
Eredita, infine, il tuo amore per Maria. Tu che hai visto costruire questo nostro santuario, adempimento del voto fatto da don Alberione alla Regina degli Apostoli durante la guerra: se nessun Paolino o Paolina fosse morto egli le avrebbe costruito un santuario. Dentro questo voto c’eri anche tu, caro don Gabriele, quando ottenesti, durante un colloquio privato con lui, proprio da don Alberione (avevi appena 17 anni) di rientrarvi con i tuoi cari. Tu e i tuoi fratelli vi siete salvati e tua mamma (e tu con lei) ha sempre creduto che fosse stata lei, la Mamma Celeste, la Regina degli Apostoli, a proteggervi. L’arma del Rosario è potente: ecco il senso del tuo ultimo libro.
Grazie, don Gabriele, per quello che sei stato. Da lassù a noi tuoi eredi non far mancare la tua vicinanza, il tuo conforto. E un giorno, l’ultimo giorno, quando ogni nostra lacrima sarà stata asciugata (cfr. Ap 21,4), siamo certi di rincontrarti, santi fra i santi, e di sentirci ancora dire da te: «Benarrivato, Compagnino! Benarrivata, Compagnina!».
Sia lodato Gesù Cristo.
OMELIA TENUTA IL 19 SETTEMBRE 2016
NEL SANTUARIO REGINA DEGLI APOSTOLI DI ROMA
IN OCCASIONE DELLE ESEQUIE DI PADRE GABRIELE AMORTH