Quella dei “conquistadores” delle Americhe è stata una guerra di liberazione
SENZA LA PENETRAZIONE CATTOLICA I NATIVI SUD E NORD AMERICANI NON AVREBBERO AVUTO DESTINO MIGLIORE, ANZI.
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Di Pietro Licciardi
Già nell’ormai lontano 1992, in occasione dei cinquecento anni della scoperta dell’America, si sono levate critiche dal mondo laicista contro la Spagna e le altre potenze cattoliche che procedettero alla civilizzazione e colonizzazione del continente americano, colpevoli, secondo costoro, di aver compiuto un autentico genocidio delle popolazioni indigene, di aver fatto scomparire fiorenti civiltà e aver depredato di oro e altre ricchezze quelle terre.
Per inquadrare i critici di allora e di oggi, i fanatici della cancel culture e gli abbattitori di statue di Cristoforo Colombo, valgono le parole allora pronunciate da Franco Cardini, il quale giustamente osservò che «la situazione che si è venuta creando è da un lato uno sforzo di uno stretto manipolo di storici e dall’altro una ciurma di ideologi improvvisati, di rimasticatori di libri altrui, di moralisti orfani di tutte le utopie umanitarie del mondo, e di suffragette per le quali perfino Franca Rame è una studiosa».
La storia vera infatti dice altro.
Innanzitutto per sapere esattamente cosa erano le fiorenti civiltà precristiane – nella fattispecie Maya e Atzechi – è sufficiente riguardarsi il bel film di Mel Gibson Apocalypto, in cui si narra la tremenda avventura di un gruppo di indio sopravvissuti alla strage compiuta da guerrieri atzechi nel loro villaggio i quali, catturati, sono deportati nella città per essere sacrificati al dio del sole mediante asportazione del cuore ancora palpitante. Uno di loro riesce fortunosamente a fuggire per tornare dalla propria famiglia che era riuscito a nascondere. Braccato come un animale riesce infine a mettersi in salvo proprio nel momento in cui vede avvicinarsi le navi spagnole con le loro grandi croci sulle vele spiegate dalle quali sbarcheranno i primi “conqustadores”.
Come è noto furono i circa cinquecento uomini di Hernán Cortés a sbaragliare e sottomettere alla corona spagnola l’impero atzeco e su come sia riuscito nell’impresa gli storici hanno discusso a lungo. Alcuni hanno attribuito le sue vittorie al fatto che i soldati spagnoli erano armati di archibugi e qualche cannone, altri che i guerrieri atzechi erano terrorizzati dai cavalli, che non avevano mai veduto prima. Ma queste spiegazioni non reggono. Innanzitutto gli archibugi del tempo caricati con polvere da sparo assai sensibile alla tremenda umidità dei luoghi sparavano una volta si e due no; in secondo luogo anche i romani a Canne furono sconfitti da Annibale, che usò contro di loro gli elefanti, mai visti prima; ma i legionari, da quei guerrieri provetti che erano, trovarono presto il modo di neutralizzare quell’”arma segreta”. Non c’è dubbio che anche i feroci atzechi passato il primo momento di sconcerto avrebbero trovato il modo di travolgere quel pugno di europei anche solo col peso del loro numero.
La verità è piuttosto un’altra. Gli spagnoli trovarono immediatamente l’aiuto e il sostegno delle popolazioni indigene, sottomesse e usate come bestie da soma o agnelli sacrificali immolati a decine di migliaia per volta agli idoli, le quali furono ben felici di unirsi alla lotta contro gli oppressori. Quella di Cortés fu quindi innanzitutto una vera guerra di liberazione.
Ciò non toglie che molti conquistadores che pur portando con sé le insegne cristiane e affermando di voler diffondere la fede cattolica, erano mossi in realtà dall’ambizione di ricchezze e potere, tuttavia furono ancora di più gli uomini di Chiesa o fedeli laici mossi dal sincero fine dell’evangelizzazione e del bene degli indigeni americani.
Dopo la scoperta dell’America, con la Bolla Inter Caetera, Papa Alessandro VI ordinò agli Spagnoli «di nominare nei suddetti continenti e isole uomini valorosi, timorosi di Dio […] allo scopo di istruire i suddetti abitanti e residenti nella fede cattolica e di educarli nella buona morale». Ma lo spettacolo dei sacrifici umani impressionò talmente tanto gli spagnoli che nelle Università europee si cominciò a disputare se gli indios avessero o no l’anima razionale e quindi se potessero anche essere ridotti in schiavitù. Perciò, la regina cattolica Isabella di Castiglia nel suo testamento (1504) ordina «di non permettere che gli indìgeni […] subiscano il minimo torto le loro persone come nei loro beni che vengano trattati con giustizia e umanità».
Da Roma il primo pronunciamento ufficiale è del 1537 quando Paolo III Farnese (1534-1549) con la bolla Sublimis Deus dichiara che: «Gli stessi indios, in quanto uomini veri quali sono, non solo sono capaci di ricevere la fede cristiana, ma, come ci hanno informato, anelano sommamente la stessa […] anche se vivono al di fuori della fede cristiana, sanno usare in modo libero e lecito della propria libertà e del dominio delle proprie proprietà; che non devono essere ridotti in servitù e che tutto quello che si è fatto e detto in senso contrario è senza valore».
Ciò nonostante la situazione degli indios non fu sempre idilliaca e sarà il domenicano Bartolomeo de Las Casas a prendere decisamente le difese dei nativi americani e grazie alla sua opera l’imperatore Carlo V emanerà nel 1542 le Leggi nuove sulle ìndie che, tra le altre cose, vietavano la schiavitù e intendevano garantire un trattamento dignitoso per gli indios. Questo tra l’altro smentisce la credenza che la difesa dei diritti umani sia iniziata nel Settecento illuminista.
Proprio per dare elevazione materiale e spirituale agli Indio sudamericani i gesuiti crearono soprattutto in Paraguay, Argentina e Brasile le reductiones: comunità autosufficienti e indipendenti dall’autorità coloniale, ispirate al modello di vita evangelico, pensate per sottrarre gli indios allo sfruttamento. Questo le renderà invise ai coloni che inizieranno una campagna di diffamazione portando alla loro scomparsa nel corso del 1700, secolo dei Lumi e del nascente anticlericalismo ateo. Qui gli indigeni lavoravano sei ore al giorno invece delle 12-14 di chi era sotto l’autorità coloniale. La terra era divisa in due parti: una riservata alle famiglie che la coltivavano, l’altra era comune e i prodotti erano condivisi tra tutti. Il tempo libero era dedicato alla preghiera, alla musica, al canto e ad attività ricreative. Erano poi fomite dì scuole e ospedali. Lo scopo primario delle missioni era l’evangelizzazione, ma allo stesso tempo i gesuiti insegnavano tecniche agricole e artigianali, facendosi così portatori anche del miglioramento della vita materiale degli indiani d’America.
I cattolici inoltre erano alieni da ogni razzismo e non avevano alcuna difficoltà a sposare donne indigene dando origine alla popolazione creola, cosa ad esempio impensabile nel Nordamerica colonizzato dai protestanti, i quali non solo si guardavano bene dal mescolarsi con i nativi ma non fecero mai nulla per garantirne la dignità e la sopravvivenza, ma al contrario restringendo sempre di più i loro territori e massacrando chiunque si opponesse.
I cattolici infine dovrebbero avere un altro buon motivo per non credere alla “leggenda nera” che aleggia sui conquistadores e sull’evangelizzazione dell’America latina, poiché la stessa Maria Santissima ha in un certo senso apposto il proprio sigillo sull’intera vicenda storica. Lo ha fatto apparendo con sembianze creole nel 1531 sul colle Tepeyac – conosciuto oggi col nome di Guadalupe – all’atzeco Juan Diego al quale Vergine disse di essere Coatlaxopeuh, Colei-che-calpesta-il-Serpente.
Il Serpente era per gli aztechi il dio Quetzalcoatl, il Serpente Piumato, che secondo le leggende doveva tornare esattamente nel giorno in cui Cortés sbarcò sulla odierna costa messicana. Era un venerdì santo e Cortés vestiva di nero per rispetto, ma dieci anni prima la sorella dell’imperatore Montezuma, Papantzin, sconvolta da un sogno era caduta in coma; riavutasi raccontò l’incubo: un misterioso personaggio le aveva mostrato l’arrivo di navi recanti croci nere. Quando i dignitari aztechi – già impressionati da quei presagi – furono accolti a bordo dell’ammiraglia spagnola condirono il cibo servito loro con sangue umano, suscitando lo sdegno degli spagnoli il che confermò ancor più gli aztechi nelle loro credenze, in quanto sapevano da sempre che Quetzalcoatl sarebbe venuto a far cessare i sacrifici umani.
Tutto ciò spiega perché l’evangelizzazione del Messico fu rapidissima, specialmente dopo l’apparizione della Vergine, e a tutt’oggi impossibile a sradicarsi, nonostante le follie della cancel culture.