Il futuro del lavoro è il futuro della nostra società e della nostra civiltà

Il futuro del lavoro è il futuro della nostra società e della nostra civiltà

LA SFIDA È APERTA: L’ESITO DIPENDE DA CIÒ CHE SAPREMO METTERE IN CAMPO

Di Angelica La Rosa

Il futuro del lavoro è il futuro della nostra società e della nostra civiltà. Non bastano politiche economiche efficaci per superare la più grande crisi sociale del dopoguerra e affrontare i mutamenti del nostro tempo. Serve, come premessa, un nuovo pensiero dal quale nascano politiche e iniziative capaci di distruggere le vecchie retoriche ideologiche sul lavoro, sulla globalizzazione, sul futuro. In particolare, la tecnologia, pur con i suoi interrogativi etici, può essere un formidabile alleato nell’umanizzazione del lavoro. La sfida è aperta: l’esito dipende da ciò che sapremo mettere in campo.

Bisogna reimparare a dire “lavoro” con nuove parole, se vogliamo crearne di nuovo e cogliere l’opportunità che offre di rendere la nostra vita più consapevole e profonda. Oggi, infatti, il lavoro soffre proprio perché mancano nuove narrative che propongano un comune denominatore e un senso a tutte le attività umane ad esso connesse e rischiano di prevalere le “bufale” sulla fine del lavoro, le prospettive catastrofiste e le retoriche sull’impoverimento generalizzato del lavoro.

Il libro di Marco Bentivogli “Il lavoro che ci salverà. Cura, innovazione e riscatto: una visione prospettica” (Edizioni San Paolo 2021, pp. 256, euro 20) parte da qui, per dare un contributo alla costruzione di un nuovo pensiero del lavoro attorno ad una cultura che ne riconosca i nuovi significati e la grande portata prospettica che esso può rappresentare per le persone. Lo sforzo di riportare la cultura del lavoro dentro la storia come elemento di riscatto e salvezza.

Anche sulla scorta delle parole di Papa Francesco, Bentivogli accoglie e rilancia la sfida, in questo periodo di cambiamenti epocali, ad avviare processi, più che ad occupare spazi, e a coltivare il lavoro che fa fiorire il genere umano, perché seme di giustizia e dignità.

La trasformazione digitale, ben prima della pandemia, ha “scongelato” i pilastri degli spazi (luoghi) e dei tempi (orari) del lavoro. Ma se la tecnologia è indispensabile poiché abilitante, questi cambiamenti operano sul senso e la cultura e pertanto necessitano soprattutto di una modifica profonda del paradigma economico e imprenditoriale. Modelli organizzativi, gerarchici e di business basati sul “controllo” devono lasciar spazio alla libertà, alla responsabilità, all’autonomia e alla fiducia. Il lavoro a “umanità aumentata” non piove dal cielo. Si apre una fase straordinaria in cui serviranno schiere di “architetti del lavoro”, persone capaci di interpretare ed innovare spazio e tempo del lavoro in ottica ecosistemica.

Se, come sembra, il lavoro ripetitivo si sta contraendo in luogo di quello a maggiore ingaggio cognitivo (contributo umano), non vi sono più scuse per non riscoprire la dimensione comunitaria d’impresa in cui, l’elemento di “cura” delle persone sia un valore che consenta la crescita simultanea dei lavoratori e della produttività. Serve il coraggio di mettere in soffitta l’antagonismo e il paternalismo padronale nelle relazioni di lavoro, e di praticare la partecipazione strategica dei lavoratori come elemento di democrazia sostanziale e diffusa. Andrà in cantina il vecchio linguaggio della nave perché il futuro del lavoro è femmina. Non donna, femmina.

Femminili saranno le parole, le competenze che saranno sempre più richieste in ambito professionale, la dimensione di cura, il punto di vista per la soluzione dei problemi complessi, perché nessun robot sarà in grado di replicare le cosiddette soft skills, ovvero le capacità emotive e relazionali. Femminili saranno i modi di organizzare le aziende, perché le gerarchie rigide e il comando verticale non funzioneranno più in uno scenario complesso, veloce e incerto.

Questa è la sfida del lavoro, crocevia delle tre grandi trasformazioni, (digitale, climatico – ambientale e demografica) e terreno formidabile di riscatto e di salvezza per la condizione umana.

MARCO BENTIVOGLI è coordinatore Nazionale di Base Italia. Si occupa di lavoro, industria e intelligenza artificiale, anche come componente della Commissione del Mise e del Gruppo di lavoro presso la Pontificia Accademia della Vita. È stato segretario generale della Federazione Italiana Metalmeccanici dal 2014 al 2020. La sua visione, riportata in numerosi scritti (fra gli altri, Contrordine compagni. Manuale di resistenza alla tecnofobia per la riscossa del lavoro in Italia, Rizzoli 2019; Indipendenti. Guida allo smart working, Rubbettino 2020, con Pepe Mujica; Europa non rimanere sola, Castelvecchi 2019; Fabbrica Futuro, Egea 2019; Abbiamo rovinato l’Italia, Castelvecchi 2016) è innovativa.

Anche per questo si è distinto per il modo pionieristico di interpretare il ruolo del sindacalista nella società contemporanea – tanto da guadagnarsi la definizione di workitect – e, attualmente, per il suo impegno civile e di ricerca. Oggi ha riunito economisti, accademici, giuristi, esperti di nuove tecnologie e centinaia di attivisti nell’Associazione nazionale Base Italia, una start-up civica, con un’ambizione pienamente “politica” e ispirata al riformismo: la riscossa civile del Paese potrà passare solo per la ricostruzione dei legami sociali, la riorganizzazione degli spazi di comunità e la riscoperta della partecipazione civile.

 

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